Qualche anno fa, durante alcuni viaggi per le lande e le isole danesi, Clarissa Connelly aveva mappato i siti tombali e archeologici antecedenti alla cristianizzazione delle terre scandinave. Dolmen, tumuli e rovine di antiche fortificazioni e abitazioni avevano condotto l'artista scozzese - ma da anni in pianta stabile a Copenhagen - attraverso un'esplorazione geografica, storica, memoriale e soprattutto artistica. Infatti, proprio da questi viaggi germogliava l'ispirazione per le composizioni che costituirono la seconda pubblicazione della musicista, "The Voyager". "World Of Work" sviluppa le intuizioni del suo predecessore cercando di penetrare le viscere dell'Universo per esondare in una dimensione metafisica. Se era dunque partita dalle riflessioni sul complesso rapporto che si instaura tra la contemporaneità e un passato sepolto che riemerge a tratti solo grazie a una lacunosa memoria storica, Clarissa si spinge ora verso una spiritualità che attinge tanto al misticismo cristiano medievale (Ildegarda di Bingen è stata un'influenza fondamentale durante la scrittura dell'album) quanto alla tensione all'Assoluto del Romanticismo nord-europeo.
Lungo le dieci composizioni di "World Of Work" si snoda un viaggio che attraversa per intero il suo ipotesto biblico, dal caos primordiale della Genesi di "Into This, Called Loneliness" all'approssimarsi dell'Apocalisse profetizzata nell'ultimo libro neotestamentario e rievocata nella traccia conclusiva. Su una distesa di chitarre arpeggiate, note di pianoforte e sintetizzatori, le melodie vocali scorrono come un flusso che scaturisce direttamente da una dimensione oltremondana. Esse sono però scandite dal rintocco terrestre delle campane che fungono da intermediarie tra la realtà umana e quella sovraumana e permettono ai due mondi di collidere fra loro nel crescendo post-rock di "An Embroidery" o nel canto tutto teso verso il cielo di "Life Of The Forbidden".
In "World Of Work" la musicista scozzese s'interroga sull'indissolubile legame che intercorre tra la morte e la vita in un continuo alternarsi di immagini funeree e scorci su un'imminente rinascita. Un conflitto che nella bellissima ballata "Crucifer" assume le sembianze di una lotta manichea tra le voci angeliche e gli spiriti infernali che si annidano in una notte senza fine. L'esito di questo scontro rimane avvolto nel mistero perché l'escatologia di Connelly, non potendo essere assertiva, si limita a sollevare dubbi e riflessioni. Tuttavia, la spiritata cacofonia che conclude "S.O.S. Song Of The Sword", capovolgendo in positivo la simbologia del sabba stregonesco e della tregenda nordica, funge da estremo rituale capace di purgare quel grande senso di afflizione e di perdita che affligge da sempre l'umanità. È il definitivo suggello della riuscita di questo debutto sulla prestigiosa Warp Records, in cui Clarissa plasma una musica che, come già in "The Voyager", cerca di disancorarsi da una connotazione temporale precisa e che, grazie alla sua fluida commistione tra reminiscenze ancestrali e rinascimentali e i suoni digitali della post-modernità, trova in un'astratta atemporalità un'alcova ammaliante e incantata, aperta a chiunque peregrini in cerca di un valico per una dimensione oltremondana.
10/05/2024