E pensare che erano partiti dal garage, questi SLIFT. “La planète inexplorée” del 2018, primo disco del trio di Tolosa, mostrava certamente un marcato slancio psichedelico, ma rimaneva con i piedi a terra, ancorato, al netto di qualche guizzo kraut, a un suolo dal retrogusto punk. Il decollo della band verso le esplorazioni che stiamo per raccontarvi è cominciato invece nel 2020, anno di “Ummon”, giustamente pubblicato racchiuso in una copertina che rimanda in un certo qual modo a Silver Surfer.
Da quel momento in poi, i fratelli Fossat (Jean a chitarra, tastiere e voce e Remi a basso e voce) e il batterista Canek Flores non sono mai più tornati sulla terra. Negli ultimi 4 anni, che hanno visto i tre francesi firmare per Sub Pop, il loro juggernaut space rock, che conta su una propulsione ritmica stoner metal e imprevedibili rotte progressive, ha raggiunto piena consapevolezza. “Ilion” è il suo primo, torrenziale e imponente diario di bordo. Un racconto in otto movimenti che non teme rimandi in salsa spaziale a "Iliade" e "Odissea".
L’integralismo sonico degli SLIFT, che nulla concede a mode e tendenze, passa tanto per un sound contundente e in alcuni aspetti anche démodé quanto per una durata monstre di un’ora e diciannove minuti. La durata imponente è però saggiamente distribuita in otto capitoli organizzati, nonostante la predominanza di momenti senza parole, come delle narrazioni ambientate in uno spazio profondo, misterioso e selvaggio.
Schiacciare play su “Ilion”, traccia che intitola e apre il disco, è come venire catapultati in un wormhole. Tempo un secondo e si viene rapiti da un tunnel di chitarre che viaggiano a velocità di curvatura dello spazio-tempo, debitamente sospinte dalla ritmica sinuosa e martellante. Nell’unico momento di tregua offerto dalle distorsioni, a prendere il sopravvento è un mantra ipnotico proclamato all’unisono da Jean e Remi. La susseguente “Nihm” è, se possibile, ancora più sfrenata: qui le dita del Fossat bassista sembrano davvero ignorare le leggi della fisica.
Le distensioni, gli ammorbidimenti di questo nuovo viaggio degli SLIFT sono fugaci ma notevoli. Nei primi minuti di “Confluence”, un sassofono disegna uno scenario notturno velato di pioggia e neon, ad esempio, mentre “The Story That Has Never Been Told” rinuncia alla scorza metal per prodursi in un epico e sfavillante crescendo progressive.
Un finale così dimesso come “Enter The Loop”, tutto gorgoglii e rigurgiti di un motore stanco, chitarre che disegnano la materia che si disgrega, non può che suggerire che il viaggio sia tutt’altro che finito e che presto saremo risucchiati da nuove, perigliose rotte. Speriamo di dover aspettare meno che per “Dune: Part Two”, tanto per ricorrere a un’assonanza cinematografica.
29/01/2024