Questa è una storia che ha come protagonista un viandante solitario, un'ambigua creatura scarlatta (The Pilgrim) che si addentra raminga in un viaggio misterioso, tra nature inquietanti composte da foreste impenetrabili, mari tempestosi e montagne popolate da bestie improbabili e feroci, uccelli feriti e immagini spirituali di entità che non sanno se essere vive o morte: un'ombra, un fantasma, o un qualcosa di simile alla forma umana.
Tutto questo proscenio è presentato dai Tapir!, sestetto proveniente dal sud di Londra, che con l'album d'esordio "The Pilgrim, Their God And The King Of My Decrepit Mountain" mette immediatamente in chiaro, già dal funambolico titolo, che tra questi solchi non si odranno banalità.
Il disco è suddiviso in tre atti, distribuiti attraverso Heavenly Recordings in fasi distinte, le prime due separatamente, tra il 2022 e il 2023 ("The Pilgrim" e "Their God") e l'ultima ("The King Of My Decreipt Mountain") accodata alle altre in occasione della pubblicazione dell'opera completa.
Quella raccontata dal vocalist e chitarrista Ike Gray è una favola immaginaria, come accennato, dalle fisionomie piuttosto insolite. Le strutture melodiche si allineano alla tipicità della storia esposta, non tanto per l'utilizzo di nuance bizzarre, quanto per la personale miscela di ingredienti di per sé anche usuali, ma che amalgamati con tale schema rendono ancor più estroso l'impatto totale del prodotto.
Il preambolo offerto da "Act 1 - The Pilgrim" è quanto di meglio si possa ottenere come chiave d'accesso al percorso: in poco più di un minuto e mezzo, la voce narrante del musicista americano Kyle Field aka Little Wings introduce la storia volteggiando con destrezza tra sonorità che traslano dal folk, al progressive rock e al pop, per approdare anche ad accarezzare linee jazz.
Le strutture folk sono quelle che prendono gradualmente il sopravvento, con fraseggi ariosi costruiti su arpeggi di chitarra e fiati ("On A Grassy Knoll"), un brano che riecheggia da vicino le docili e complesse trame dei Grizzly Bear.
La cornetta comandata da Emily Hubbard dona lucida intensità a "Swallow", intessuta da efficaci puntigli elettronici. La sinistra dolcezza che s'impossessa di "The Nether (Face To Face)" chiude il primo atto tra levigate onde di pianoforte e chitarra, senza abbandonare le sfaccettature meno convenzionali generate dalle elettroniche e dalle puntuali percussioni.
Il secondo atto, sempre innescato dalla prefazione narrante, è aperto dalla splendida fuga psych-folk di "Broken Ark", da elevare tra gli episodi salienti di questa prima parte insieme alla seguente "Gymnopédie", quasi una sinfonia lo-fi che accosta aggraziate vibrazioni di violoncello a ruvide staccate di chitarra elettrica, che affondano all'interno di una descrizione mistica alquanto inconsueta.
Gli intrecci vocali che adornano "Eidolon" sono l'antipasto per il gran finale previsto nel terzo atto, dove si incontrano forse i due passaggi più importanti in scaletta. "Untitled", candida, esteriormente lineare, cesellata anch'essa sull'incrocio tra la voce maschile di Gray e quella femminile della Hubbard, riporta alla mente le migliori pagine dei Belle And Sebastian, quelle degli esordi, mentre in "My God" sembra di scorgere la figura di Nick Drake intenta a districarsi dalle nebbie che lo hanno attanagliato per tutta la vita, fino a essere finalmente pilotato verso la tanto agognata luce, un brano eccellente nella sua purezza e nella sua accorata sincerità.
La chiusura affidata a "Mountain Song" sugella in sette abbondanti minuti tutte le eccitanti dottrine gustate lungo il tracciato.
Con il loro sorprendente album di debutto, i Tapir! sembrano vogliosi di mostrare una via di fuga dalle trappole imposte dal convulso mondo odierno. Le loro idee fanno un passo indietro per essere poi in grado di compierne mille in avanti, raccontando di un paese delle meraviglie localizzato in un'epoca illusoria, preindustriale e non iperconnessa, dove creatività e umanità regnano ancora sovrane.
07/02/2024