Bedhead

Rock svogliato per cuori malinconici

La band texana guidata dai fratelli Matt e Bubba Kadane si è inserita con classe in quel filone in bilico tra slow-core e post-rock che ha fatto dell'approccio "dilatato" il suo marchio. Ecco la loro storia, fino allo scioglimento e al ritorno con il nuovo progetto New Year

di Marco Delsoldato

La storia dei Bedhead non è poi così originale: nome di culto, spesso considerato minore, tornato in auge col successivo progetto (The New Year) dei suoi protagonisti (i fratelli Bubba e Matt Kadane). Un già letto che, se da una parte comporta il piacere di (ri)scoprire una formazione con uno spessore di gran lunga superiore a quello di rinomati gruppi contemporanei, dall'altra conferma il tendenzioso atteggiamento di stampa e pubblico. Negli anni in cui slow-core e post rock andavano per la maggiore, i Bedhead si mettevano a metà fra i due generi: rarefatti come i Codeine (ma senza la stessa disperata incomunicabilità) e amanti di frenati crescendo che si ritroveranno in gruppi come i Windsor For The Derby. A questo si aggiungeva un'indole non distante da un'area affine ai Cowboy Junkies, attraverso un approccio dilatato in cui le canzoni, seppur non in senso canonico, riuscivano a compiersi con puntualità disarmante.

Gli esordi ufficiali del gruppo sono fra il 1992 e il 1993, con i 7" "Bedside Table" e "The Rest Of The Day", entrambi per Direct Hit Records. In realtà, il primo vero lavoro è What Fun Life Was (Trance Syndicate, 1994), che riprende alcuni brani scritti dai Kadane anni primi. A loro si aggiungono Tench Coxe (chitarra), Kris Wheat (basso) e Trini Martinez (batteria). Il codice genetico del gruppo è palese: l'iniziale "Liferaft" (sarà così anche in "Crushing", "Powder" e nella dolce commozione di "Unfinished") parte con delicati arpeggi su cui si inserisce timidamente la voce di Matt. Con lentezza entrano in gioco gli altri strumenti e l'impatto cresce esponenzialmente, superando la ritrosia iniziale per rigenerarsi in un'indolenza emotiva palpabile. E' una tensione in divenire, che solo quando si concretizza lascia spazio al respiro ("Wind Down"). Ne è manifesto "Haywire", più impetuosa, ma ugualmente malinconica nei giochi fra chitarre e batteria, e destinata a esplodere in un terapeutico delirio conclusivo similare a quello di "Bedside Table". La somma fra i due atteggiamenti è l'utopica ansia di "Living Weel", incipit strumentale tormentato che sfocia in una (sporca) purificazione melodica. La vena soffusa e nostalgica, con legami maggiori a una determinata scena indie, traspare anche nell'affabile caducità di "The Unpredictable Landlord" e nell'andatura zufolante di "To The Ground", mentre "Foaming Love" caracolla come dei Modest Mouse immersi nella notte.

A seguito dell'album escono due Ep: 4 Song CD EP 19:10 (Trance Syndicate, 1994), registrato in una chiesa fra il 1990 e il 1991, e Dark Ages (Trance Syndicate, 1996), in cui il gruppo gioca alcune delle sue migliori carte. Una riflessività penosa, al limite della non comprensione, si manifesta nella title track ed è sublime nella strumentale "Inhume" (conclude il lavoro la sottovalutata "Any Life").

Il secondo disco, Beheaded (Trance Syndicate, 1996), conferma il valore del gruppo. Sempre trattenuti, i fratelli Kadane eliminano alcuni impeti per un viaggio lento e spirituale. La nuova versione di "The Rest Of The Day" è fra i migliori esempi della dimensione slow: il cantato al limite del sussurro è delicato nel cancellarsi in chitarre ripetitive che, senza alcun avvertimento, sboccano in un crescendo emotivo forse definitivo. A farle compagnia, episodi ombrosi e sottomessi (la title track, "Burned Out"), intimi (l'apatia di "Losing Memories") e solo di rado meno sofferenti (l'attitudine pop di "Withdraw", il quasi cantautorato di "Smoke", il solito brano modello marcetta "Felo De Se"). Il legame maggiore con il passato è il lieve incidere in avanti di "Left Behind", insieme alla morbida intensità di "Roman Candle" e "Lares And Penates", mentre a sorprendere è la purezza di "What's Missing", in cui gli arrangiamenti sembrano mostrare una consolazione comunque uggiosa.

Il 3 agosto del 1998 la saga dei Bedehad si conclude. Esce Transaction De Novo (Trance Syndacate) e, subito dopo la pubblicazione, il gruppo si scioglie. Passeranno tre anni prima di rivedere una Kadane-band (i già citati New Year, di cui si intravedono le forme in "Half-thought"), ma l'addio è in grande stile. La comunicatività è sempre tormentata, con gracili impressioni in primo piano, senza alcun bisogno di eccessi a contornarle. "Exhume" scorre come una litania, con campanelli adagiati su trame narcolettiche esaltate dalla dimenticanza di "Forgetting". A differenza dei Codeine, i Bedehad non esasperano mai la rassegnazione, ma la rendono più accettabile e fruibile. Così la fasulla serenità di "More Than Ever" fa coppia con le aperture alla Lou Barlow di "Extramundane". Il finale passa da "Lepidoptera" (favola in penombra, abile a farli apprezzare anche da chi non ama crogiolarsi nell'eccessiva mestizia) a "The Present", ninnananna con un carillon che rappresenta la notte scesa sul gruppo.

Il nome dei Kadane riappare in Macha Loved Bedhead Bedhead Loved Macha (Jetset, 2000), produzione dei Macha, formazione di Athens capitanata da Joshua McKay. Partito da brani incompleti dei Bedhead, il gruppo della Georgia aggiunge particolari stravaganti sporcati da un'elettronica spesso minimale. La rarefazione resta, ma è analizzata da un punto di vista differente. Spicca, fra i sei episodi, un'intrigante cover di Cher, "Believe", in cui lo strumento principale è la tastiera di un telefono. Questa l'ultima, ufficiale, comparsata del gruppo.

Il 2001 è l'anno del ritorno con abiti nuovi. L'esordio dei New Year, Newness Ends (Touch And Go), è fragoroso: un'immediatezza chitarristica elettroacustica realizza vere e proprie canzoni, assimilabili per l'inerzia della leggerezza ai Velvet Underground dell'album omonimo. Ai fratelli si aggiungono Mike Donofrio dei Saturnine al basso e Chris Brokaw (Come e Codeine) alla batteria. L'album è registrato agli Electrical Audio Studios di Steve Albini. Dieci canzoni, in potenza dieci singoli per emotività e impeto. Un album breve (circa trenta minuti) che vive di essenzialità e ispirazione. I colori sono tenui, venati da una sterile malinconia stritolata dal concetto di utopia. "Half A Day" è un tuffo in acque profonde, saltuariamente solcate da onde rinfrescanti ("Reconstruction", "Gasoline"). Il legame con la lentezza resta ("Alter Ego", "One Plus One Minus One Equals One"), ma è trasportato nei locali che alcuni cantautori (Oldham, Papa M) frequentano nelle sere d'autunno. L'assoluta delicatezza delle composizioni ("Great Expectations") non perde il suo aspetto sognante nemmeno quando un sottile rumorismo alla Built To Spill ("Carne Levare", "The Block That Doesn't Exist") fa capolino, esaltando una crescita invisibile ma sempre palpabile. La title track, inserita come ultimo episodio, è il perfetto sunto di un album bagnato da una pioggia incessante di emozioni.

Nel 2004, Matt e Bubba prima si dilettano in Music From The Film House (Pleximusic), poi concludono la seconda fatica targata New Year. The End Is Near (Touch And Go) è la fisiologica continuazione dell'album precedente, immerso in una dimensione più cerebrale. Una sporcizia superiore, intrisa dalla solita malinconia (in "Chinese Handcuffs" :"I`ve come to face myself in a staring contest in the mirror, where there`s more chance of victory than in an argument with you..."), si adagia su diradate atmosfere di chiara matrice statunitense, che solo talvolta concedono spazio a progressioni emotive ("18", "Age Of Conceit"). Albini, chiamato ancora una volta dal gruppo, non è (caso raro) imponente, anzi, tende addirittura a nascondersi per permettere alle melodie di far battere il loro cuore, senza essere soffocate da un'asfissia in perenne attesa ("Start"). Oggi i New Year sono il massimo esempio di chi si mostra nudo senza temere le proprie fragilità. Fregandosene di mode e tendenze.

Quindici anni trascorsi ad attraversare generi e temperie musicali, a rincorrere una timidezza intrisa di malinconia, che li ha fatti rifuggire l'apparenza e finanche quella visibilità che i sempre troppo poco considerati (e poco citati) Bedhead avrebbero meritato. È un destino in penombra, quello dei fratelli Bubba e Matt Kadane che, mandata prematuramente in soffitta la loro prima band, giungono al terzo album con la nuova formazione The New Year, licenziando questo breve self-titled (trentaquattro minuti di durata), che pure è il prodotto di ben quattro anni di scrittura e un anno di registrazione.

Proprio l'ampia forbice temporale trascorsa dal precedente The End Is Near sta a testimoniare la rilassatezza creativa che la band texana può permettersi, aliena com'è da ogni aspettativa e da ogni pressione che non sia quella di un'ispirazione ancora una volta incentrata sui classici temi post-adolescenziali del trascorrere del tempo e della fallacia del desiderio, trattati adesso con una maturità ben distante da qualsiasi retorica.

Così, anche questo terzo lavoro di The New Year ripresenta l'abituale accostamento tra melodie ondeggianti e raffinate trame chitarristiche, a tratti solcate da increspature rumoriste. Il tutto viene, appunto, filtrato attraverso una maturità evidente tanto nei temi quanto nei suoni; basti pensare che quasi metà dei brani sono incentrati sul pianoforte, mentre persino le componenti elettriche più spigolose (che affiorano soprattutto in "The Door Opens" e nella conclusiva "The Idea Of You") risultano quasi sempre sfumate, affiancate da melodie oblique e ritmiche uniformi, a sostegno di un contesto morbido e in apparenza distaccato.
Accanto a residui di febbrile chitarrismo e accenni di insistita frammentazione ritmica, l'album assume toni in prevalenza compassati, esaltati dal contributo del pianoforte anche nei brani che si dipanano poi in veste maggiormente elettrica, come avviene nell'ottima "The Company I Can't Get" e in "MMV". Non mancano nemmeno spunti di esplicito romanticismo, in crescendo accompagnati da un minuzioso lavorio strumentale, né trasformazioni di rallentate asperità in forma quasi di southern-rock, in maniera non così dissimile da quanto posto in essere da Geoff Farina con le ultime opere dei suoi Karate e di recente con i Glorytellers.

Quali che siano le componenti dei loro brani, The New Year mantengono una quieta imperturbabilità di fronte a una sottile sofferenza, declinata senza eccessi, secondo una sensibilità umbratile ed espressa in armonie fluide, di lenta e accuratissima suggestione.
Non graffiano più i fratelli Kadane, né oggi avrebbero validi motivi per farlo, eppure, distaccati e incuranti delle mode e dei contesti musicali, riescono ancora a lasciare la loro impronta in canzoni del tutto prive di pretese, ma pregevoli e dalla scrittura inappuntabile.

A nove anni dal precedente omonimo, i fratelli Kadane sembrano essere tornati indietro nel tempo, quando i Bedhead esaurivano la loro travolgente tripletta slow-rock e rimaneva da pensare cosa fare di un paio di braccia che sapevano soprattutto tenere in mano uno strumento. Snow è forse il disco che molti loro fan avrebbero voluto come prima uscita del loro nuovo progetto musicale, The New Year: intelligente, ricercato, probabilmente anche più rispettoso dell’estetica nineties rispetto all’adolescenza recalcitrante delle tentazioni indie-rock dei primi dischi del progetto (quelli veri).


Orgogliose tirate alla pianola, arrangiate come un accompagnamento jazzato a una serata di poesia open-mic (“The Last Fall”), giri di chitarra in pieno amarcord dolceamaro (“Homebody”, “Mayday”): soprattutto nella prima metà del disco si consuma una reunion che sicuramente farà drizzare i peli sulle braccia ai fan della band, in quello che si scopre un po’ troppo presto come una leva nostalgica forse un po’ facile.
Poco coraggio e molto mestiere sono le vere debolezze di un disco in realtà non disprezzabile, che sembra davvero far rivivere un’epoca, con l’insistente risuonare insieme borbottante e cristallino di “Recent History”, con i quiet-loud esistenziali di “The Beast”.

Inevitabilmente didascalico, Snow gode comunque di un’esecuzione dal trasporto sincero e del talento compositivo dei Kadane, che trasporta i Bedhead in un chamber-rock cantautorale ai confini con l’alt-country (soprattutto nella title track, il brano migliore del disco) che è forse la destinazione naturale e auspicabile di questa seconda carriera del duo.

Contributi di Raffaello Russo per "The New Year" e di Lorenzo Righetto per "Snow"

Bedhead

Discografia

BEDHEAD
What Fun Life Was (Trance Syndicate, 1994)

8

4 Song CD EP 19:10 (Ep, Trance Syndicate, 1994)

6

Dark Ages (Ep, Trance Syndicate, 1996)

7

Beheaded (Touch & Go, 1996)

7,5

Transaction De Novo (Touch & Go, 1997)

7


MACHA + BEDHEAD

Macha Loved Bedhead Bedhead Loved Macha (Jetset, 2000)

5,5


MATT & BUBB KADANE
Music From The Film House (2004)

5


THE NEW YEAR
Newness Ends (Touch & Go, 2001)

8

The End Is Near (Touch & Go, 2004)

7,5

The New Year(Touch & Go, 2008)6,5
Snow (Undertow, 2017)

6,5

Pietra miliare
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