Jessica Pratt

Jessica Pratt

2012 (Birth)
folk, songwriter

Facile, se non facilissimo, appioppare a un disco come “Jessica Pratt” la superficiale etichetta di lavoro sprovvisto di spunti innovativi e liquidarlo in quattro e quattr'otto come oggetto privo di interesse. Ben più difficile invece, mettere da parte preconcetti e risibili paraocchi e immergersi in quello che sì, a tutti gli effetti è l'ennesimo parto dello sterminato scenario folk a stelle e strisce, scenario che però riesce sempre a mantenersi a buoni (quando non ottimi) livelli grazie alla percezione soggettiva e alle abilità di scrittura dei suoi numerosi interpreti. Tra i volti più convincenti ad essersi affacciati timidamente in questo gigantesco affresco, Jessica Pratt appunto.
Da San Francisco, uno dei centri nevralgici di quella California che nel decennio scorso tanto ha dato in termini di diffusione e fioritura di quel pentolone che è la New Weird America, era da tempo che mancava all'appello un disco di canzoni pure e schiette così efficace, da più tempo ancora che all'altare della sbornia psichedelica si sacrificava la melodia, a favore di (spesso pasticciate) emanazioni sciamaniche e ritualismi arcani. L'esordio della cantautrice viaggia fieramente controcorrente rispetto ai ricami esoterici di molti suoi colleghi, rinunciando a facili suggestioni a favore di una formula che mira a attrarre e appassionare con un fascino discreto, quasi sottotono, ma indubbiamente funzionale a sorreggere i delicati tratteggi in minore della chitarra.

Perché gli ingredienti su cui il disco basa propria la ricetta sono esclusivamente due: una chitarra acustica e quella voce così duttile, ora deliziosamente bambina, ora adagiata su un registro mite e posato, a corredare della giusta interpretazione il leggiadro arpeggiare sulle sei corde. Ma sono ingredienti utilizzati talmente bene, che anche la più banale e conosciuta delle alchimie assume una prospettiva se non nuova, quantomeno riconoscibile. Non è quindi un caso che pur nella loro intrinseca semplicità, le canzoni della Pratt abbiano saputo trovare ammiratori sin da subito.
Ammiratori come Tim Presley per esempio, che col suo progetto garage-rock White Fence ha acquisito una discreta fama nei circuiti indipendenti e che non ha esitato a fondare una nuova casa discografica appositamente per pubblicarle il disco. E' quindi grazie alla sua attiva partecipazione se la musica della Pratt è riuscita a scavalcare il congestionato marasma di auto-pubblicazioni (alcune anche di spessore, si ascolti Maggie Rogers) e ambire a un uditorio potenzialmente più vasto. E questo, senza modificare di una virgola la ruvida veste sonora, senza intaccare nemmeno involontariamente l'intrinseca essenzialità di cui vibra ogni singolo brano.

Di fatto, è lo stesso rifiuto a scendere a compromessi con la contemporaneità, la medesima fiera resistenza all'implacabile scorrere del tempo che ha dato vita agli stornelli dell'ultimo menestrello d'America Barna Howard, che ricopre le melodie polverose della statunitense, registrate dal vivo e prive di qualsivoglia intervento aggiuntivo. Equilibrate, quasi ancestrali, con un vago profumo psichedelico a macchiare di sentori antichi (e in nessun caso weird) il picking notturno e riflessivo dell'autrice, le canzoni sfilano con gentilezza nella loro timida leggiadria, colpendo di solito più per il bellissimo e ammaliante impatto d'insieme che per il passaggio singolo.
Non che non manchino i brani degni di essere ricordati: dalla malinconica progressione di “Night Faces”, apertura che lascia il segno grazie al ritornello più incisivo della raccolta, alla torpida stretta in cui si muove “Bushel Hyde” (con quel giro di accordi che tanto sarebbe piaciuto all'ultima Anaïs Mitchell), piuttosto che le ipnotiche armonizzazioni maschili di contorno al rasserenante adagiarsi di “Dreams”, la Pratt lusinga con la naturalezza di un approccio istintivo e agile alla melodia, con la serenità di chi non sente l'impellente bisogno di raccontare e raccontarsi con troppa fretta.

Ci scruta dalla copertina Jessica, col suo sguardo pensoso e non immune da una velata nostalgia: delle volte, un'immagine sa introdurre con impeccabile esattezza a quanto seguirà poi con l'ascolto.

10/01/2013

Tracklist

  1. Night Faces
  2. Hollywood
  3. Bushel Hyde
  4. Mountain'r Lower
  5. Half Twain The Jesse
  6. Casper
  7. Midnight Wheels
  8. Mother Big River
  9. Streets Of Mine
  10. Titles Under Pressure
  11. Dreams

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