Headliner dell'evento Destination Morgue V di Roma sono stati gli storici Sigillum S. Impossibile quindi farsi scappare la possibilità di un'intervista con Eraldo Bernocchi e Paolo Bandera per parlare della primigenia scena industriale italiana e del loro percorso, tra evoluzione, cut-up e sperimentazione linguistica.
Partiamo dall'inizio, dalle origini e dalle radici...
Paolo Bandera: La parte iniziale della storia ha due connotazioni. Da una parte un discorso di apprendimento, sviluppo, etc e dall'altro il contesto specifico degli anni. Noi ci siamo formai alla fine del 1985 grazie all'incontro semi causale di me con Eraldo (Bernocchi) e Luca (Di Giorgio)... trovandoci nella maniera più classica possibile, ovvero con un annuncio lasciato in un negozio di dischi. Ci siamo incontrati e abbiamo scoperto di avere molte affinità sonore e concettuali... estetico, quasi esistenziale. Avevamo interessi di tipo occultistico, contro culturale, oltre che letterario e cinematografico. Sia io che Eraldo eravamo entrati in contatto, e ci eravamo affiliati, seppur per breve tempo, al Tempio della Gioventù Psichica dei Rosemary's Baby (altro gruppo industrial-post-punk italiano, la sua storia, insieme a quella di Ain Soph, Teatro Satanico e Sigillum S, nel recente libro "Rumori Sacri" per Kali Yuga edizioni). Poi sono da aggiungere molte altre esperienze che in quel contesto storico venivano genericamente definite post-industriali negli anni immediatamente successivi a quelli in cui la cultura industriale si era sviluppata. Io poi lavoravo anche in radio, scrivevo per diverse testate, sia musicali che non.... Come dicevo, un insieme di sfumature e affinità che ci hanno portato a lavorare bene insieme.[..]
La cosa più interessante è stata che abbiamo sviluppato tutto congiuntamente.
Questo fino all'inizio dei primi anni 90, poi abbiamo aperto dei filoni diversi. Ognuno di noi ha seguito anche le proprie idee soliste e ha portato avanti delle collaborazioni ma, contemporaneamente, abbiamo arricchito il progetto Sigillum S. Quando abbiamo voluto riprenderlo, come si può vedere nell'ultimo "23/20", ha coagulato in sé il nostro percorso.
Uno dei concetti fondanti del vostro lavoro, sin dall'inizio, è stato quello di approfondire i "livelli di coscienza" dell'essere umano, un concetto che viene da Huxley ma anche da prima, voi come avete affrontato questo tipo di indagine?
Paolo: Il punto cruciale è l'interazione fra la sensibilità mia, quella di Eraldo, di Luca, più degli altri che hanno collaborato nel corso degli anni. Io ho una formazione e attitudine più prettamente scientifica e tendo ad esplorare, sulla base di tutte le mie attività e background, in maniera sistematica, cercando di collegare ogni elemento. Eraldo tende a essere più emotivo e meno scientifico, con tematiche legate ad un sentire più esoterico.
Spaccando in due il discorso, io sono l'anima tecnologica-scientifica e a certi livelli brutale, Eraldo la parte più spirituale.
Eraldo: Sicuramente io sono più interessato alla parte esoterica, fa parte di me, ma non saprei pienamente spiegarlo. Non mi definirei un occultista, sarei risibile, ma ho un interessa da sempre, per diversi piani di realtà. Quando coniughi questo con la matematica, con l'approccio scientifico, hai l'idea di Sigillum S. Quello che abbiamo fatto in tutti questi anni è decostruire delle formule, deprogrammare tutta una serie di stimoli che avevamo. Per Paolo è più facile approcciarsi a degli stimoli numerici, serie matematiche, è quindi una persona molto meno legata al lato emotivo rispetto a me. Il mio lato emotivo ha un'espressione di tipo rituale.
La parola "de programmazione" insieme al vostro approccio stilistico, molto più affine a certa musica concreta che alle etichette che vi vogliono un act "death-ambient-industrial", mi porta all'idea di progettazione neurolinguistica e della decostruzione, che ne pensate?
Paolo: Io sono assolutamente affine a questi temi, a queste ricerche, sia da un punto di vista filosofico che operativo; ho analizzato e attuato concetti di questo tipo nei miei dischi solisti, e quando nel 2007 abbiamo riaperto i Sigillum S, ho voluto inserirceli. Ho voluto portare questo lavoro a un alto livello. Ho sempre giocato moltissimo con la semantica delle parole, delle frasi, diversi tipi di lingua, cercando di trovare una correlazione fra quelle che sono i diversi tipi di riferimenti culturali della parola, del discorso, e il corrispettivo sonoro. Su questa base preparo strutture, nuclei, che poi Eraldo elabora, li porta ad una struttura completa e poi li ricanalizziamo.
Passando a te Eraldo, quanto ti senti Burroughs o Edgar Varèse a livello artistico?
Eraldo: Bella domanda! Vorrei tanto sentirmi entrambi, ma non posso neanche lontanamente pensare ad avvicinarmi a loro, sono dei punti di riferimento... sono influenze estremamente importanti a livello di linguaggio, per la decostruzione, il cut-up... per dire.
Che ruolo ha avuto il cut-up nella vostra musica?
Paolo: Nei testi tuttora usiamo tantissimo la metodica, solo che ormai è divenuto uno strumento per noi comune. Io mi ci sono volutamente formato, anche prima di conoscere Eraldo, quando lavoravo a Milano per diverse radio e portavo manipolazioni di nastri, concreti, lavori miei personali, che poi miscelavo con testi di Burroughs, Ballard, Philip K.Dick e altri autori che mi interessavano. Poi li mandavamo dal vivo, in radio, anche con musica di altri. Il risultato era unico e personale, purtroppo gran parte delle registrazioni audio o non esistono, o sono andate perdute. Ho trovato di recente le matrici di testo che utilizzavo...".
A livello testuale come era la procedura di cut-up che seguivate agli inizi, nel 1986? Era in parallelo con le teniche usate dagli altri gruppi industriali?
Eraldo: Io mi occupavo di scrivere frasi, mettere nero su bianco delle emozioni che analizzavo, poi le passavo a Paolo che le tagliava, ricuciva, smontava. In certe cose che ho scritto ho ritrovato un elemento mantrico, di usare la voce, la parola, la frase. Una ripetizione ossessiva per diventare qualcos'altro per raggiungere una trasformazione estrema. Una decontestualizzazione totale, poi il significato che ogni ascoltatore ci trova non dipende da me.
Ora ti voglio fare una domanda, Paolo, su la riedizione del "Manuale di Cultura Industriale" (Shake ed.) che hai curato. Quale ruolo può avere questa nuova analisi, questo nuovo remix, come te lo hai definito, in questo momento storico?
Paolo: Esatto, il termine remix è quello più corretto. Il desiderio di riprendere la tematica è dovuta a vettori del tutto separati. Uno semplicistico, quello legato al notevole numero di richieste che richiedevano una ristampa del volume. Quando i nostri amici della Shake mi hanno chiesto di prendere mano al progetto, io mi son ritrovato a pensarlo rispetto al constesto attuale. Ed il contesto attuale non può prescindere da tutto quello che è successo negli ultimi 15 anni, in cui molto si è evoluto, e si è anche liquefatto. La cultura del web, digitale, dei social media ha portato ad un azzeramento della linea temporale, per cui ora ci troviamo a poter fruire in maniera simultanea di tematiche che prima erano a disposizione solo sporadicamente.
Un discorso molto simile, se non omogeneo, a quanto detto da Simon Reynolds nel recente "Retromania" no?
Paolo: Assolutamente. Il libro di Reynolds è oggi un riferimento culturale imprescindibile in questo momento. Quello che io ho cercato di fare nel libro, è di riportare in questo tipo di discorsi la visione di evoluzione, unendo la mia esperienza di interprete, artista, lettore/ascoltatore, oltre alla cultura che mi sono fatto nel corso degli anni. Quindi alcune linee temporali sono state semplicemente portate avanti, sono state aggiunte chiavi di lettura, e ho cercato di ripercuotere il tutto in una visione matriciale nel senso puro del termine: essere contemporaneamente uno sviluppo su una linea consequenziale ed al tempo stesso una visione a 360°.
Secondo te si può chiudere, si può dare un contorno preciso, al concetto di industrial?
Paolo: Secondo me, il concetto di industrial non si è mai riaperto. Perché era legato a quello che stava succedendo alla fine degli anni '70; quello che è successo dopo, sono tante linee di post-industrial. Esse sono arrivate adesso a questa visione semi-apocalittica, in cui tutte le linee di interpretazione di passato, presente e futuro collassano, per una serie di motivi: socio economici, culturali, mediatici ecc. E ciò che ci si presenta davanti è aperto all'interpretazione di chi l'ha vissuto (fine 70, primi 80) o lo sta vivendo adesso.
Tanto per soffermarsi un ultimo momento sull'argomento. Ho visto che in altri volumi usciti contemporaneamente a "Manuale di Cultura Industriale" si evidenzi un forte ruolo del industrial metal?
Paolo: Conosco gli autori, ho fatto diversi lavori/presentazioni congiunte a loro, e riesco a interpretare il perché, ma non fa parte della mia chiave di lettura, non li condivido.
Eraldo: Io sono un po' fondamentalista sull'industrial. Per me, dai Throbbing Gristle, Spk, Lustmord, Psychic Tv va tutto bene. Tutto il resto non è industrial, è appropriarsi di qualcosa d'altri. I NIN non sono industrial. Reznor è un ottimo produttore, capace di unire svariati generi, buon per lui.
Paolo: Gli artisti industrial partono da qualcosa che non ha nulla a che fare con la musica e incidentalmente entrano nel discorso musicale. Nel loro sviluppo si ritrovano poi a differenziarsi tantissimo, sia a livello estetico, filosofico etc. Noi, come altri, abbiamo scelto di abbandonare completamente l'intermediazione, andare verso l'autoproduzione. Mi sembra piuttosto emblematico che altri considerino possibile utilizzare modelli operativi "commerciali" che non hanno niente a che fare con le radici originarie.
Avviciniamoci alla conclusione e parliamo dei vostri progetti paralleli. Per esempio l'ultima uscita a nome "Winter Garden" che riguarda te Eraldo, quale è la linea, l'obiettivo che stai seguendo?
Eraldo: Non c'è una pianificazione. Non c'è una linea. C'è stata una grande soddisfazione senza dubbio per aver potuto di nuovo lavorare con Harold Budd e soprattutto con Robin (Guthrie), che è uno dei miei idoli. Ma non c'è un percorso, ci sono solo la voglia di collaborare con alcuni artisti e l'occasione temporale di potersi incontrare.
Che cosa stai pianificando al momento?
Eraldo: Al momento sto ultimando un disco di remix di "Winter Garden", il primo di disco dei Metallic Taste of Blood , band nuova che abbiamo fondato io e Colin Edwin (bassista dei Porcupine Tree) e poi ci sono le date europee di Obake (progetto doom metal che coinvolge anche Massimo Pupillo e altri). Inoltre ho un disco in duo con KK Null e un altro con Henrik Nordvargr.
E tu Paolo?
Paolo: Al momento sto completando il nuovo disco di Sshe Retina Stimulants. Ho poi alcune collaborazioni: una già registrata che rappresenta un'altra evoluzione dei lavori con i miei amici di Chicago con cui ero già uscito come "Sshe Retina Stimulants & The Fortieth Day" (questi ultimi progetto di Mark Solotroff e Isidro Reyes), con Terence Hannum (Locrian). Questo è caratterizzato da megadrone registrati dal vivo in una radio a Chicago. Un'altra vede mi vede assieme a K2 (progetto noise di Kimihide Kusafuka), con cui ci stiamo scambiando a vicenda materiale per poi lavorarci su.
Ormai vi sto intrattenendo da più di mezz'ora! Vi ringrazio davvero per il vostro tempo e vi chiedo l'ultimissima cosa... dopo "23/20" che progetti avete in mente?
Paolo: Materiale nuovo che stiamo già incidendo adesso e che uscirà come 7" in edizione limitata, un Ep in download gratuito sul nostro sito bandcamp e una collaborazione con i Mombu (gruppo formato da componenti di Zu e Neo). Poi, in parallelo una serie di reissue di materiali inediti e ormai irreperibile come cassette etc, che saranno ristampate in vinile e cd. Per un nuovo album nostro vero e proprio non se ne parla fino al 2013.