
Uno spettacolo per pochi intenditori perché purtroppo nel validissimo Teatro delle Api lo scenario è piuttosto desolante, contando a essere generosi una cinquantina di presenti; francamente scoraggiante se consideriamo l’ottima posizione della venue, a due passi dall’autostrada A14.
Poca pubblicità o pigrizia del pubblico marchigiano?

Detto ciò, chi non c’era si è perso un ottimo spettacolo, che bissa il successo della precedente apparizione in provincia, in quel Teatro Leopardi di San Ginesio straripante di iniziative prima di finire in ginocchio sotto le scosse del sisma. Proprio prima del live l’organizzazione ricorda il grande festival benefico a supporto del comune amico in programma nei giorni 29-30 aprile.

Come quella volta, anche stasera lo show è tutto sommato breve ma potente e senza tanti fronzoli. Immancabili i brani del nuovo lavoro: “Collapsing Hopes” e “Searching For The Code” guadagnano punti dal vivo, anche grazie al lavoro mai banale di Pipitone alla chitarra, guitar hero e intrattenitore come da tradizione con i Marta sui Tubi. Decisivo anche il contributo per alcuni brani del violoncello di Euleteria Arena, che arricchisce con discrezione gli arrangiamenti del quartetto.
Chi fa da padrone della serata è però il crimsoniano Pat Mastellotto, che dalle pelli detta i tempi di tutti quanti, pubblico compreso che dalle poltroncine non può che battere il tempo e lasciarsi andare all’ipnosi della crimsonianissima “Dream Of Black Dust”.

Il repertorio ancora limitato regala un’ora e mezza scarsa di spettacolo, anche comprendendo diversi brani dall’esordio “Inflamed Rides” come la sempre suggestiva “Pyre”, scaldata dalla voce di Lef, e la graffiante “Jellyfish”. Ma di ottanta minuti di alto livello parliamo, tra progressive, jazz, art-rock e accenni post-metal.

La conclusione viene affidata a un apparente omaggio al mai abbastanza celebrato David Bowie; in realtà, un desiderio di Mastellotto, una riflessione preoccupata per il destino della sua nazione e non solo: “I’m Afraid Of Americans” è potente e rabbiosa mentre evoca nuovi timori made in Usa.
Nel nostro piccolo, usciamo dal locale con il rammarico di quante persone avrebbero potuto e dovuto godere di questo repertorio. In un territorio in cui è sempre più difficile portare artisti internazionali, se non grazie agli sforzi di pochi volenterosi illuminati, certe occasioni non andrebbero perse.
