Invisible

El jardín de los presentes

1976 (Cbs)
progressive rock

Gli Invisible furono la terza fra le varie band guidate da Luis Alberto Spinetta, padre del rock argentino. La loro avventura iniziò nel 1973, in seguito allo scioglimento dei Pescado Rabioso, e coincise temporalmente con la parentesi democratica a trazione peronista, che si concluse nel 1976, così come l’avventura della band. Prima e dopo, due regimi, il secondo dei quali particolarmente noto a livello internazionale per la ferocia con cui stroncò i suoi oppositori. 

“El jardín de los presentes”, terzo e ultimo album degli Invisible, viene registrato proprio durante i giorni del colpo di stato del '76, ma, a differenza di quanto si crede, la sua atmosfera inquieta non è stata influenzata dall’evento. Spinetta non è infatti contrario all’atto di forza della giunta militare: spera anzi che possa riportare un po’ di stabilità dopo la disastrosa gestione di Isabel Martínez de Perón, sfociata in violente repressioni delle proteste studentesche e nel crollo dell’economia locale. Si renderà conto dell’ingenuità solo diversi mesi più tardi, quando i musicisti rock si troveranno a fronteggiare censure, boicottaggi e veementi campagne di discredito.
La tensione, al momento, è semmai interna alla band. L’interesse di Spinetta per il tango lo spinge infatti a reclutare un quarto membro, Tomás Gubitsch, che non va particolarmente a genio al bassista Carlos “Machi” Rufino e al batterista Héctor “Pomo” Lorenzo. La mossa risulta così fatale per gli Invisible, benché vincente a livello artistico.
Figlio di immigrati austriaci, Gubitsch ha appena diciotto anni, ma è quanto gli basta per essere un dio della chitarra. Possiede una velocità e una pulizia d’esecuzione irreali, pur mantenendosi nei limiti del buon gusto grazie all’educazione tanguera. Un incastro di muscoli e cervello con pochissimi rivali nella storia del rock, non solo argentino. Spinetta è innamorato del suo talento e dalla somma delle parti esce quello che è forse l’apice del rock argentino anni Settanta.

Un album capace di parlare a qualunque palato, come evidente sin dall’iniziale “El anillo del Capitán Beto”: la melodia immediata e il tono limpido da soft rock radiofonico, la raffinatezza jazzata dei ricami chitarristici, gli improvvisi riff di stampo progressivo, i cambi di andamento all’ombra del tango, la produzione ricercata che gioca con le rifrazioni degli strumenti. Per trovare musica altrettanto cristallina e ariosa, senza rinunciare alla complessità, bisogna scomodare gli Yes.
Il protagonista del testo è un uomo comune, conducente di autobus, che si ritrova a errare nello spazio siderale con la sua vettura, costruita nella periferia di Buenos Aires e ora convertita in precario modulo spaziale ("Con la sua nave di fibra fatta ad Haedo, ieri autista e oggi padrone fra i padroni dell’aria"). La storia del Capitano Beto (diminutivo di Alberto), più che alla fantascienza classica, rimanda al surrealismo urbano di Italo Calvino. Folcloristico è il richiamo agli usi e costumi fondanti della routine medio-borghese, e ai sensi di nostalgia e smarrimento che derivano dalla loro assenza. Sono elementi costitutivi di questa memorabilia quotidiana: "Un triste santino", "la foto di Carlitos" (l’attore e icona del tango Carlos Gardel), la cerimonia del mate amargo (bevanda a infusione tipicamente argentina e uruguaiana) e l'assenza della figura materna, che la Via Lattea non sembra poter smaltire ("Dov'è quel posto che tutti chiamano cielo? Se nessuno viene fin qui a farsi due amargos con me, come sulla soglia della vecchia casa"). Come tante volte nella poesia, l’elemento fantascientifico è un pretesto per interrogarsi sul senso dell'esistenza, in questo caso con un intimismo malinconico che si avvicina al tango anche a livello filosofico e psicologico, oltre che musicale. 

Lenta e scarna, “Los libros de la buena memoria” tiene un piede in Argentina (per la prima volta in un album di Spinetta compare il bandoneón) e uno oltre il confine, verso le morbide tonalità da sottofondo della bossa nova.
Sebbene parli di alcol e liquore, lo fa con romanticismo ("Il vino rintiepidisce i sogni, ansimando dalla sua bocca di verdastra dolcezza"), descrivendo lo stato di sonnecchiante attesa dell’innamorato: "Rosse e verdi, le luci dell'amore, prestigiano sotto un alone di rossetto". Una sorta di semaforo dei permessi e dei divieti nel gioco della seduzione, che in un linguaggio erotico debitore del tango si risolve poi in una composizione ossimorica: "La mia voce arriverà a lei, la mia bocca pure. Forse le confesserò che eri il vestigio del futuro".

Dilaga Gubitsch nella strumentale “Alarma entra los ángeles”, in pratica un lungo assolo con la sei corde in modalità mitragliatrice, senza mai perdere il filo della melodia. Eccellente anche la seconda chitarra, quella di Spinetta, che disegna taglienti figure ritmiche in sottofondo. È uno dei tour de force virtuosistici più esaltanti di tutto il jazz-rock e più in generale del prog.
A metà di “Ruido de magia” spunta invece il neonato sintetizzatore della Solina, l’Arp String Ensemble, suonato da Gustavo Moretto degli Alas (cult band argentina che debuttò proprio in quei mesi). È un pop progressivo impeccabile, con la coda dominata dall’atmosfera spaziale delle tastiere.

A seguire è l’eterea ballata “Doscientos años”, con voce imbottita d’eco e un assolo di Gubitsch che dimostra come anche la velocità sappia veicolare delicatezza.
La frase "Duecento anni, a che è servito avere attraversato a nuoto il mare?" è probabilmente ispirata dall’impresa dell’argentino Antonio Abertondo, che nel 1961 completò un andata e ritorno nel canale della Manica. Spinetta si interroga sull’inutilità di certe imprese umane, ma al contempo riconosce un’epica personale ricca d’una dimensione simbolica collettiva. Come in una costruzione a più strati, è tuttavia probabile che l’espressione rimandi anche al bicentenario dell'indipendenza degli Stati Uniti, prima repubblica del Nuovo Mondo, celebrato proprio in quel 1976, magari con un cenno critico sul trattamento dei nativi. 

L’unico brano in cui Gubitsch è assente, e si torna quindi al power trio che aveva caratterizzato i precedenti album, è “Perdonado”. Introdotta da malinconici arpeggi acustici, dopo due minuti e mezzo deflagra, e tornerà a farlo in più riprese, in un hard rock allucinato. Si spegne dopo un assolo in acido e sette minuti di mutazioni. 
È lo stesso Spinetta a spiegarne il testo: "Guardando una cagnolina che avevamo in casa, a un tratto immaginai che fosse quasi un essere umano, e che certe entità (soprannaturali) l'avessero costretta a diventare un cane. Da qui sorse l’dea di un bimbo condannato a essere cane dal diavolo di febbraio*, ma al contempo perdonato, assolto dalla angoscia esistenziale di essere umano, o di essere un bambino che chiede l’elemosina sotto la pioggia” (*Un diavolo straccione e clownesco, come quello delle parate dei carnevali popolari).

La chiusura è affidata a “Las golondrinas de Plaza de Mayo”, che concentra in appena tre minuti le idee di ben sette talenti. Oltre agli Invisible e alle tastiere di Moretto, sono presenti due bandoneónisti d’eccezione quali Rodolfo Mederos e Juan José Mosalini. La canzone è impossibile da catalogare: guidata dagli arpeggi di Spinetta e Gubitsch, e da un riff di Machi che ha raggirato lo spaziotempo (sembra più un Roland 303 che un basso elettrico), si muove con passo andante fra pop, funk, tango, handclapping, fantasie tecnologiche e digressioni strumentali vagamente dissonanti.
Il testo è talmente evocativo che a oggi viene erroneamente ritenuto uno sfogo contro la dittatura e una dedica alle Madri di Plaza de Mayo, in realtà fondate solo l’anno successivo. “Le rondini di Plaza de Mayo, se ne vanno in inverno, tornano in estate, e se le osservate, capirete che volano soltanto in libertà”.

Il disco ha grande successo di pubblico e la tournée che segue raduna 25mila persone solo con le due serate di Buenos Aires, cifra record in un’epoca in cui i concerti rock vengono disertati per timore delle rappresaglie poliziesche. Al termine del giro i contrasti fra Spinetta e la sezione ritmica non sono più sostenibili, l’unica soluzione è lo scioglimento. Gubitsch rimane in Argentina giusto il tempo di prendere parte alle sessioni di “De todas maneras”, storico album di Mederos, per poi andarsene in Francia. Pochi mesi dopo, Astor Piazzolla in persona lo vuole come accompagnatore durante la sua tournée locale.
Spinetta prosegue invece in proprio, entrando in una fase di stallo e pubblicando un paio di opere di transizione, prima del ritorno in grande stile nel 1980. Per esplorare la sua carriera – si parla di una delle menti più prolifiche e visionarie della storia del rock – è possibile consultare l’apposita monografia di OndaRock.
 
Nomenclatura e grafica 
 
Il titolo dell’album è stato proposto da Eduardo Martí: amico, collaboratore e autore di molte foto di Spinetta per la stampa, ideatore di copertine e più tardi, negli anni Ottanta, direttore di videoclip. (Benché non del tutto correlato, vale la pena di segnalare che il suo figliastro, Emmanuel Horvilleur, fondò uno dei progetti più importanti della musica argentina anni Novanta, Illya Kuryaki And The Valderramas, in compagnia di Dante, primogenito di Spinetta).
Stando a Martí: "Ho suggerito quel titolo e Luis ne fu affascinato. L’idea di un giardino in cui tutti ci troviamo e ancora resteremo quando non saremo più in questo mondo. Staremo insieme di sicuro in qualche giardino immaginario. O forse no, ma ci conviene credere che così sarà". 
Il layout di copertina realizzato dal disegnatore Juan Gatti (futuro collaboratore di Pedro Almodóvar), include una foto scattata da Martí a Jorge Gubitsch, fratello di Tomás, truccato come un’imprecisata creatura di fantasia. Abitante del giardino incantato del titolo, ma anche silentemente triste, come una sorta di ibrido fra Puck e Pierrot in salsa rioplatense, rappresenta in modo più o meno esplicito quel senso di spettralità e di desiderata coesistenza armonica fra vivi e morti.

02/02/2020

Tracklist

  1. El anillo del Capitán Beto
  2. Los libros de la buena memoria
  3. Alarma entre los ángeles
  4. Que ves el cielo
  5. Ruido de magia
  6. Doscientos años (Una parola)
  7. Perdonado (Niño condenado)
  8. Las golondrinas de Plaza de Mayo