Richard John Thompson cresce in una famiglia di provetti strumentisti e appassionati di musica, conteso - negli ascolti e nella formazione - tra la tradizione della musica britannica e il pulsare del rock’n’roll proveniente d’oltreoceano. Quando, 1966, Thompson si unisce alle strimpellate dei due compari Ashley Hutchings e Simon Nicol nella soffitta di Muswell Hill, contribuisce in modo determinante alla nascita di una delle realtà più popolari del folk-rock britannico, i Fairport Convention. La sua ascesa marchia a fuoco la prima maturità del complesso, con creazioni originali come “Meet On The Ledge”, “No Man’s Land”, e soprattutto le composizioni per i loro album più amati, “Unhalbricking” (1969) e “Liege & Lief”(1969), tra cui “Genesis Hall” e “Farewell Farewell”, piccola matrice delle sue future canzoni-salmo.
Richard poi termina quell’avventura rimanendo in buoni rapporti con gli ex-compagni, e proprio questi (specie Denny e Hutchings, oltre a una schiera di apprezzati musicisti folk) lo sospingono e lo aiutano nelle registrazioni del primo album solista, “Henry The Human Fly”(1972), un disco che non per niente riprende e fa avanzare le idee dei primi Fairport, donando però compostezza e pulizia, e pure un significativo tocco di eccentricità. Le successive evoluzioni del cantautore sono già tutte all’appello, non ultima una delle chiavi di volta della sua carriera: Linda Peters.
Linda è una provetta cantante folk che gira i club fin dal 1966 grazie alle preziose amicizie dei membri dei Fairport, prima tra tutti la stessa Sandy Denny.
Quando, tre anni dopo, Richard e Linda si incontrano per la prima volta, tra i due scatta il più tipico dei feeling personali e artistici. Linda entra così a far parte delle registrazioni di “Henry The Human Fly”, e la loro relazione sentimentale muta in matrimonio poco dopo l’uscita del disco. Richard ha le idee chiare: fondare una premiata ditta con la neo-signora Thompson, portandola da semplice corista a controcanto, se non a voce principale e, dunque, a vera e propria anima artistica.
L’apporto di Linda è infatti determinante nell’estetica dell’autore; la sua spontanea, innata vocalità cristallina, emotiva e velatamente medievale, riempie alla perfezione i vuoti lasciati dal canto di Richard, non limitandosi a una semplice nuova versione delle armonie vocali già in voga nella musica pop o nelle cantate folk, ma donando nuove coloriture emotive, naturaliste.
Il risultato è “I Want To See The Bright Lights Tonight”, un’opera che possiede un sentore sacrale, e un respiro quasi sinfonico e corale, come se fosse una cantata a due.
Il ruolo di Linda nello snodarsi delle canzoni che compongono il disco ha un significato chiarissimo, come se fosse la musa che dona la più preziosa delle mestizie. E’ ampia e spiegata nella lenta e funerea “Withered And Died”, con riflessi opalescenti di accordion. Indi guida l’acustica vecchio stile di “Down Where The Drankards Roll”, ma trasfigurata da una calma gravosa e una grazia sovrannaturale. La meraviglia acustica di “Has He Got A Friend For Me” le permette poi di farsi vocalmente avventurosa, improvvisamente scoscesa in pianti, alture di commozione e cordoglio.
Questi salmi purissimi hanno dei gustosi contraltari di entusiasmo e distensione, ma ancora effimeri e illusori. L’eponimo motto “I Want To See The Bright Lights Tonight” è una sorta di risvolto ottimistico (ma sempre con un sentore di supplica dietro l’angolo), sottolineato persino dal canto sovrainciso e da una fioritura di fanfare barocche. L’unisono splendente dei due coniugi in “When I Get To The Border” dilaga in timbri di danze popolari, ma impaginati come in una sonata da camera, e gli assoli finali sono scambi gentili di timbri, ben lungi dalla turbolenza delle jam dell’acid-rock. “The Little Beggar Girl”, irresistibile saltarello, di nuovo rallentato fino a sembrare una preghiera da monastero, è uno dei più fulgidi e armoniosi esempi del folk-rock con una Linda che riesce a farsi fauno e folletto. Anche “We Sing Hallelujah”, cantata corale da pub, si riveste di un'austerità mozzafiato.
Il processo innescato da Linda rimane il costone principale, e lo dimostrano “The Calvary Cross”, gospel dal passo solenne che qua e là esala eternità e si amplia in visioni grandiose, e la tristezza da brividi contagia anche il tenore di Richard nella spettrale sconsolatezza di “The End Of The Rainbow”. Questo processo si assottiglia sempre più fino a “The Great Valerio”, in cui rimane sola con il tenue chiaroscuro sfumato della chitarra del marito.
Per essere quasi una dilettante, Linda domina l'album. Il compagno Richard, perfettamente intonato al suo tono anelante, disperato, fluttuante, quando non canta resta quasi in disparte a sorreggerla: la chitarra si fa trascendentale, e anche se nuovamente attorniata da strumenti, stabilisce più nettamente una gerarchia rispetto alle prime emanazioni del genere, i suoi Fairport e il suo primo “Henry”. Non è un album scisso, anzi, questa intrecciata modulazione maschile-femminile è un valore aggiunto al suo tono maiuscolo e umile a un tempo. E la sua trascendenza, prima della vocazione sufista che si esprimerà soprattutto in opere come “Pour Down Like Silver” (1975), contiene già i germi di quella importante svolta, e anzi il sentimento ne è forse più perfettamente accorato, come dimostrano canzoni immediatamente successive (la meravigliosa “A Heart Needs A Home” nell’inferiore e più vigoroso “Hokey Pokey”). Le sue note di cupezza che irradiano un fatato pessimismo cosmico innoveranno l’intero movimento folk-rock britannico. Registrato in fretta e furia con un budget limitato, come molti altri capolavori dell’epoca. Rimasterizzato in tempi recenti con tracce bonus.
30/08/2015