"Di colpo si fa notte/ s'incunea crudo il freddo/ la città trema/ livida trema"
Un brivido raggelato sembra pervadere la stessa Natura, il paesaggio notturno è pronto ad accendersi, come in un inferno di Bosch, sotto i colpi dei mortai. Ci si prepara a un'altra notte di guerra, l'ennesima dopo tre anni. La voce che ci trasporta in questo luogo è quella di Giovanni Lindo Ferretti, sul secondo album dei Csi, "Linea Gotica". La città ha nome Sarajevo.
Come in un cortocircuito, in questi versi si riannodano i fili delle esperienze condotte da Ferretti (la voce) e Massimo Zamboni (la chitarra), dalle case occupate di Berlino al successo italiano del "punk filosovietico" dei Cccp-Fedeli alla linea, fino a questo nuovo gruppo in compagnia di Gianni Maroccolo (basso), Giorgio Canali (chitarre), Francesco Magnelli (tastiere), Ginevra di Marco (voce e cori). Ci sono già stati "Ko de mondo" e "In quiete", dischi caratterizzati dalla ricerca della musicalità e della bellezza, ma qui si tratta di più di una raccolta di canzoni, c'è l'urgenza di chiamare di nuovo a raccolta i pensieri e gli amici per alzare la voce e commentare lo stato delle cose. Il punto di partenza è Sarajevo, città assediata, dove si sta consumando la sconfitta di una Europa impotente, incapace di impedire che, cinquant'anni dopo l'orrore delle leggi razziali, si verifichi un nuovo genocidio nel cuore stesso della civiltà occidentale.
"Cupe vampe", il brano iniziale, introduce la nuova Apocalisse attraverso il recitato solenne di Ferretti e l'accompagnamento incalzante di una chitarra acustica e di un violino ostinato, capaci di aprirsi in refrain corali ("s'alzano gli occhi al cielo/ s'alzano i roghi in cupe vampe) fino al parossismo della requisitoria finale: "Bella la vita dentro un catino/ bersaglio mobile di ogni cecchino/ bella la vita a Sarajevo città/ questa è la favola della viltà". Il rogo della Biblioteca di Sarajevo, simbolo di cultura e millenaria convivenza di popoli diversi, viene posto in copertina del disco, per sbatterci subito la realtà in faccia.
Lo spettro della musica folk, comparso già nell'ultimo Cccp ("Epica Etica Etnica Pathos") e nel live "In quiete" per rappresentare l'apertura della band al mondo, ritorna coerentemente a introdurre un album sulla fine della civiltà. La voce del cantante, cavernosa, baritonale, si mostra subito al suo apice drammatico, capace di solenni declamazioni sulle strofe come di alzarsi invasata nelle aperture melodiche dei ritornelli.
Come però dicono le note di Ferretti, "Linea Gotica" è "un disco di chitarre elettrificate", perché "questo è il suono del nostro tempo, per quanto detestabile possa essere questo suono e questo tempo". E' il momento quindi di riappropriarsi di un altro spirito, indomito, da brace sotto le coltri di cenere dell'esistenza: resuscitare il punk, in "Sogni e sintomi", come un lento spogliarsi dell'anima da orpelli inutili in tempo di guerra, zoppo della batteria, redivivo sotto le sembianze di un'estasi livida e psichedelica.
Punk non come riproposizione pedissequa di stilemi o ideologie vetusti, ma come forma di ascesi del suono, ridotto alla ferocia di una chitarra elettrica, perché, di fronte all'inaudito, ogni ulteriore abbellimento mancherebbe di forza e pudore. Lo stesso è chiesto alle parole: che dicano solo ciò che è vero e che è necessario, come strappandolo a forza alla morsa di un silenzio che l'anima, annichilita, reclama. E' la stessa intransigenza di quando i Cccp intitolavano il loro primo disco "Ortodossia", nel 1984. Lo spettro musicale, che nei due precedenti dischi sembrava allargarsi a esplorare le più svariate possibilità offerte dall'interazione di tastiere atmosferiche, chitarre acustiche e disturbi noise, qui sembra raccogliersi attorno a un nucleo centrale, suonare all'unisono come di necessità, pur senza perdere la propria ricchezza.
Il sovrapporsi dell'elemento melodico all'ascetismo punk crea la forza di questo disco che trova il suo centro in uno strumento, sintesi delle due anime del gruppo, ovvero il basso di Gianni Maroccolo. Sono le sue linee monumentali, dure e scabre come la pietra, inesorabilmente ritmiche ma al contempo melodiche a costituire lo scheletro di molti di questi brani, in gran parte privi di batteria.
Altrove, come in "Esco", il cuore del suono consiste in una dicotomia tra arpeggi lisergici e devastanti unghiate chitarristiche di Giorgio Canali. Fondamentale, quanto apparentemente defilato è il contributo di Zamboni, fatto di interventi semplici ma efficaci.
"Linea gotica" è un disco maturo, che aggredisce con durezza ma che sa anche e soprattutto avvolgere l'ascoltatore nell'abbraccio sonoro, consapevole della necessità di stringersi a raccolta quando "è l'instabilità che ci fa saldi ormai/ negli sgretolamenti quotidiani". Protagonista di questa calda inclusione è la voce femminile di Ginevra di Marco, disposta ad accogliere quanto la controparte maschile sa respingere: suo è il tocco che impreziosisce una ballata come "Blu", aggiungendosi alla voce di Ferretti nel ritornello corale.
"Linea gotica"è anche un disco pittorico, dove il rimbombo cavernoso del basso sembra aprire alla mente gli ampi spazi, le vertigini di buio di una cattedrale gotica, mentre i timbri chiari degli strumenti acustici sono file di ceri accesi a guidare l'occhio lungo le navate, fino alla luce dell'altare. Non per caso il senso profondo del disco verrà celebrato con un concerto nella cattedrale di Alba, preservato nell'album "La terra. La guerra. Una questione privata".
Mentre la guerra in Jugoslavia ripropone in modo terribile il tema delle identità nazionali, i Csi decidono di tornare indietro a un altro conflitto e al nucleo identitario di un altro Paese, il nostro.
"Alba la presero in duemila il 10 Ottobre e la persero in duecento il 2 Novembre dell'anno 1944". C'è bisogno di Fenoglio, delle sue parole essenziali e potenti, "aride schegge secche adatte al fuoco", dense come il fango in cui affondavano gli stivali, dure come la roccia delle montagne su cui combattevano i partigiani. Fenoglio, il narratore della Resistenza, la voce autentica (perché poetica) che ha raccontato questa parte di Storia senza retorica e paludamenti ideologici, proprio per questo attualissima. I Csi vogliono ricordare i cinquant'anni della Resistenza con un disco ("Materiale Resistente"), un concerto (a Correggio, il 25 aprile 1995), un film (di Guido Chiesa) in cui raccolgono intorno a sé parte della scena indipendente italiana per raccontare i canti e le storie dell'epoca, per tener viva la memoria.
Il brano che intitola il nuovo disco, "Linea gotica", nasce quindi da questa esperienza, ma, mentre Ferretti dipana la sua litania più solenne e terrigna, si rivela una vera mappa di riferimenti cui il cantante sembra aggrapparsi di fronte a una situazione storica di caos. "Occorre essere attenti/ e scegliersi la parte dietro la Linea Gotica" è un manifesto di sincera intransigenza, così netta era la linea che divideva l'Italia conquistata dagli Alleati da quella sotto i nazifascisti, tanto lo è la scelta di impegno che la realtà degli anni Novanta richiede a chi "vuol essere padrone di se stesso", non ci sono vie di mezzo. Ma la "piccola patria"che per il cantante "sa scegliersi la parte" è quella Emilia di cui è stato narratore fin dagli esordi, quindi la mappa di riferimenti è anche fatta di una serie di puntelli privati, sentimentali.
Il "Comandante Diavolo" Germano Nicolini e "il Monaco Obbediente" Giuseppe Dossetti (ai quali è dedicato il disco) sono i simboli della Resistenza nella regione, il primo di parte comunista, il secondo cattolico. Sono citati nel brano-chiave, quasi come a evocare le due anime complementari della cultura di cui Ferretti è figlio e a cui, a partire da questo disco, sembra aggrapparsi in un disperato bisogno di comprendere le proprie radici. E' questa la "questione privata" che (sempre citando Fenoglio) anima l'inquieta figura di questo intellettuale prestato alla musica attraverso i modelli (parole sue) dei canti degli alpini e di quelli da chiesa.
L'ultima parte del disco approfondisce quindi il vero nucleo problematico della sua ricerca di identità, ovvero il rapporto con la spiritualità e il cattolicesimo. Se le religioni organizzate si svelano nella luce più negativa nella disanima del conflitto jugoslavo in "Cupe Vampe", "Millenni" ripropone il tema abbracciando l'intera Storia come in un incubo, mentre "L'ora delle tentazioni" declina la problematica in chiave privata e autobiografica.
Questi ultimi due brani sono sintomatici dell'eclettismo che ormai caratterizza la band sul piano musicale e delle atmosfere: "Millenni" è un rock gotico e monumentale trainato dai giri ossessivi del basso e da lancinanti distorsioni chitarristiche, mentre il secondo brano costruisce una intensa recitazione su sparse note di pianoforte. Questo è insieme il momento più teatrale e il più didascalico, colorato da parchi interventi di chitarra fino all'apertura finale coi vocalizzi liberi della De Marco. Eppure il senso di coesione tematica, sonora, timbrica, è talmente forte che lo spettatore non sente soluzione di continuità. Ritorna qui un'altra ossessione già dei Cccp: l'idea della contemporaneità come nuovo Medioevo. Se dunque "Millenni" sembra rievocare i fiumi di sangue versati dalla Santa Inquisizione, la litania "rosa una rosa mistica rosa", sussurrata nel brano seguente da un Ferretti in deliquio sacrale, richiama il nodo irrisolto della cultura medioevale: il dissidio tra amore carnale e spirituale (si veda il "Roman de la rose" di Guillaume de Lorris e Jean de Meung). Ne "L'ora delle tentazioni"questo dubbio doloroso si trasforma in travaglio privato, mentre viene rievocata la rigida educazione cattolica ricevuta da ragazzo e si giunge al climax di "scaldano le braccia del peccato/ scaldano il freddo del firmamento/ ché è fredda la notte, è fredda la notte". Questi versi sintetizzano tutta l'atmosfera dell'album, che dipinge un mondo buio e freddo dove ci si cerca gli uni con gli altri quasi spinti da bisogni primari, di una purezza animale.
Ecco quindi il senso della cover di "E ti vengo a cercare" di Franco Battiato, privata della leggerezza synth-pop e trasformata in una solenne processione monastica: è l'appello a una divinità che non sia quella terribile invocata dalle guerre sante, ma un Dio d'amore. Il breve intervento vocale del cantautore catanese, autentico nume tutelare di un'opera come questa, è come un caldo raggio di luce che filtri attraverso il rosone della chiesa gotica, a rischiarare la contrizione di Ferretti.
Torna invece la purezza degli animali nella favola di "Io e Tancredi", che rievoca una sorta di apologo morale: "Sul fronte d'assedio a Sarajevo un piccolo gruppo di cavalli croati requisiti dai militari si è suicidato gettandosi in un burrone". Il tono è quello di una litania asfittica, quasi senza aperture melodiche, a testimoniare l'estrema posizione di chi è disposto alla morte in nome degli ultimi ideali rimasti di dignità umana, tanto calpestati che a ricordarceli possono essere degli animali. L'atmosfera scura, densa, fangosa come un paesaggio di guerra di Fenoglio, giunge a rischiararsi per l'ultimo brano. La bellezza sospesa creata dall'organo e dalle timbriche acustiche ne "L'irata" è quella di chi si veste per il giorno di festa, sapendo però che "oggi è domenica domani si muore": la purezza non può essere riaffermata, se non come atto estremo.
A chi appellarsi, per l'ultima affermazione di resistenza intellettuale e personale di fronte a un mondo che va in pezzi, se non alla intransigenza disperata di Pierpaolo Pasolini? A chiudere il disco sono quindi le parole del poeta delle "Ceneri di Gramsci", anche lui vicino a quel mondo contadino, alla dignità di quei fanciulli guerrieri che sono stati raccontati dai Csi come le radici del nostro Paese. L'effetto ottenuto qui è quello di un lento mantra circolare: "...Ad onta di ogni strenua decisione o voto contrario mi trovo imbarazzato sorpreso ferito per un'irata sensazione di peggioramento di cui non so parlare né fare domande...".
Con "Linea Gotica"(e col successo del seguente "Tabula rasa elettrificata") i Csi hanno dimostrato che unire cultura alta e bassa, impegno intellettuale e riscontri di pubblico, è possibile anche in Italia, basta avere delle idee e il coraggio per dirle ad alta voce. Rispetto a una tale dimostrazione di integrità, contano invece ben poco le vicende dei singoli personaggi seguite allo scioglimento del gruppo: anche queste sono, in fondo, una questione privata.
12/04/2009