Franco Battiato

Franco Battiato

Evadere le regole dell’universo

Compositore forbito, cantautore-filosofo, nobile ma mai snob, Franco Battiato ha saputo coniugare l'anima avanguardistica e quella pop con straordinaria disinvoltura. Spaziando dall'elettronica radicale alla classica, dal synth-pop alla world music e al rock, in una carriera che non ha eguali nella storia della musica italiana

di Domenico Ruoppolo + AA. VV.

Basandosi su poche ma importanti costanti generali, quali la ricerca colta e la sperimentazione del tutto personale, negli ultimi tre decenni Franco Battiato ha pubblicato un gran numero di album divaganti nei più disparati campi, dal progressive rock all'avanguardia, dalla musica classica e sacra all'elettronica, passando soprattutto per un anomalo tipo di composizione pop sospesa fra divagazioni intellettuali e tendenze commerciali.

Nato a Jonia (provincia di Catania, Sicilia) nel 1945, attorno ai diciannove anni Battiato si trasferisce a Milano. Dopo qualche anno di gavetta ottiene i primi contratti discografici; fra il 1965 e il 1969 pubblica cinque o sei 45 giri di non considerevole successo. Si tratta di semplicissime e commercialissime canzonette d'amore o d'influenza beat (tra l'altro neanche scritte da lui), secondo il filone seguito dalla quasi totalità della musica italiana del periodo. La molla del cambiamento scatta durante l'edizione del 1968 di "Un Disco per l'estate", celebre manifestazione canora radiofonica dell'epoca: Battiato si accorge di essere del tutto estraneo al contesto che lo circonda e, con ammirabile coraggio, rompe senza esitazione ogni contratto che lo lega a quel mondo discografico falso e deplorevole. Segue un breve periodo di profonda crisi personale, superato solo con l'aiuto di due nuovi fortissimi interessi che da lì in poi caratterizzeranno il suo modo di essere e di concepire l'arte musicale: il sufismo dei mistici mediorientali (non a caso la cultura araba sarà il centro degli studi universitari del compositore nel decennio successivo) e la musica elettronica. Alla fine dei 60 si avvia infatti all'esplorazione dei sintetizzatori (fu dunque il primo in Italia e tra i primi nel vecchio continente, almeno per ciò che riguarda il semplice ambito rock) e della musica concreta contemporanea. Compiuta la prima delle sue innumerevoli trasformazioni, quella cioè da giovane e mediocre cantante a sperimentatore e leader radicale della nascente seppur povera scena underground italiana, Battiato dà vita fra il 1971 e il 1972 al suo primo 33 giri, il rivoluzionario Fetus, pubblicato tra l'altro per una piccola casa discografica alternativa. Atmosfere elettro-acustiche, uso talvolta violento e sconsiderato del synth VCS3 e piccoli movimenti d'avanguardia caratterizzano questo oscuro album; dovette di certo trattarsi d'un vero e proprio shock per la vergognosamente arretrata scena leggera nazionale, già a partire dall'immagine di copertina (impressionante foto di un feto). Fra tristi melodie dal sapore mediterraneo arrangiate con strumenti elettroni analogici ("Una Cellula", "Energia, Mutazione"), pezzi surreali (la meravigliosa "Fetus" e la spietata "Cariocinesi") e scontri chitarra-sintetizzatore con contaminazioni campionate ("Fenomenologia", "Anafase" e l'ottima "Meccanica"), il disco risulta essere un viaggio psichedelico con balzi dal microscopico della cellula all'infinito dello spazio, ispirato tra l'altro da "Il Mondo Nuovo" di Aldous Huxley (a cui è dedicato). Battiato delinea così un concept album in forma ibrida, sospeso fra canzone e acerba "kosmische musik".

La distruzione del formato canzone ha seguito nel secondo Pollution (1973), un vero e proprio lavoro di "progressive rock d'avanguardia", sospeso fra interrogativi esistenziali e la questione dell'inquinamento, che si riflette musicalmente con la "contaminazione" di matrice elettronica. L'album si apre con il valzer campionato de "Il Silenzio Del Rumore" su cui si stende la voce recitante del nostro, confluente poi nel breve ed emblematico "31 Dicembre 1999 - Ore 9", con la batteria ad accompagnare squarci di chitarra elettrica distorta e ascesa di organo, fino alle esplosioni belliche finali. I tre brani che seguono rappresentano forse uno degli apici più originali della musica rock sudeuropea: "Areknames", con partitura e testo distorto rispettivamente suonato e cantato al contrario, si stende fra dure melodie per VCS3; in "Beta" frasi apparentemente demenziali e brevi effetti vibranti circondano il vuoto (non quello "cosmico" di Schulze o Froese, ma quello "mentale" di Battiato), presto però colmato da cinque sublimi minuti in cui basso, batteria e piano (filtrati attraverso il VCS2) incrociano eterei effetti vocali; in "Plancton" l'antitetica lotta chitarra acustica vs. sintetizzatore raggiunge il suo apice formale, prima di essere spezzata da un finale elettro-etnico. I principi di fisica cantati nella title-track e il pianto di "Ti Sei Mai Chiesto Quale Funzione Hai?" chiudono questo gioiello indiscusso del rock sperimentale.

Forte delle nuove esperienze internazionali che sta accumulando in questo periodo, come i concerti in supporto di Brian Eno, Magma, Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, John Cale e Nico ed altri, e soprattutto in base alle lezioni fattegli privatamente dal maestro e amico Karlheinz Stockhausen, già dallo stesso 1973 Battiato si converte a una forma d'avanguardia persino più intellettuale e intimista. Verso il finire dell'anno pubblica uno dei suoi massimi lavori, Sulle corde di Aries. Convergono incredibilmente in questo nuovo, serissimo lavoro la sperimentazione ripetitiva, un'elettronica alquanto sofisticata e soprattutto una particolare forma di musica acustica che si rifà notevolmente alla tradizione araba. E' giunto il tempo di "costruire qualcosa di nuovo", e Battiato lo fa eliminando chitarre, bassi e batteria in favore di fiati, oboe, violoncello, mandola, calimba e piano preparato.
I sedici minuti della suite "Sequenze e frequenze" dettano i parametri del nuovo stile (mai più ripreso in alcun altro album): due linee di sintetizzatore rapiscono i sensi dell'ascoltatore avvolgendosi magistralmente fra loro, fino alla sovrapposizione della voce dell'autore a delineare immagini d'indescrivibile bellezza. Il pezzo continua poi con tredici (lunghissimi!) minuti di estasi musicale, durante i quali i ritmi colorati ma ipnoticamente ripetitivi degli strumenti più tradizionali e delle percussioni si uniscono a un continuo background di programmazione elettronica. Il suono sembra più volte sfumare e concludersi, ma in realtà la sua marcia non ha fine; la musica diventa strumento di dissoluzione dell'ego e di esplorazione di nuove dimensioni mentali.
Completano il disco lo strumentale "Aries" e le due meravigliose "Aria di Rivoluzione" e "Da Oriente ad Occidente", riproponenti in piccolo la struttura di base del primo pezzo.

A seguire, con una nuova inversione di tendenza, Battiato dà vita al quarto e probabilmente ultimo capolavoro della sua prima discografia sperimentale, l'inquietante Clic (1974), totalmente dedicato alla persona e all'opera di Karlheinz Stockhausen. Abbandonate definitivamente le istanze da puro musicista di art rock, Battiato sforna sette brevi e inusuali composizioni quasi tutte strumentali di elettronica sperimentale. Atmosfere sospese fra il tetro e l'ultraterreno ("I Cancelli Della Memoria", "Il Mercato Degli Dei", "Nel Cantiere Di Un'Infanzia"), movimenti elettronici ("No U Turn", "Propiedad Prohibida") e collage rumoristico-sonori in stile John Cage ("Rien Ne Va Plus: Andante", "Ethika Fon Ethica") caratterizzano questa piccola opera curata in ogni particolare dal suo autore, che si alterna al piano, all'organo, agli strumenti elettronici e all'effettistica.
Nessun pezzo si eleva più degli altri, ma da citare sono soprattutto la tristissima "No u turn", unico brano anche cantato, in cui una parte incisa al contrario e una normale sono fra loro incastrate, e "Propiedad Prohibida", dove una piccola orchestra di strumenti elettronici in stile "musica cosmica" è sfruttata per creare un andamento straordinariamente incalzante fino a convergere in un coinvolgente assolo finale di violino.

Da trasformista quale è, Battiato si avvia comunque ad abbandonare quasi del tutto l'elettronica. Compie un breve tour per l'Italia meridionale come tastierista dei Telaio Magnetico (gruppo formato per l'occasione con alcuni amici della scena alternativa della penisola) dalle cui registrazioni verrà pubblicato venti anni dopo (1995) un album live (si tratta di improvvisazioni dal sapore vagamente cosmico). Dello stesso periodo è il disco M.elle Le "Gladiator" (1975), inferiore comunque agli standard del compositore. Circa dieci minuti di campionamenti e sovraincisioni (ma molto piu' duri e disarmonici di quelli di "Clic"), che fanno poi luogo a circa venti discontinui minuti di suoni d'organo, registrati nella cattedrale di Monreale.
Non si comprende a pieno se M.lle le Gladiator rappresenti una grossa e pretenziosa idea mal riuscita, o se al contrario sia semplicemente un disco fatto di "riempimenti sperimentali" volti a mascherare, se non la mancanza di idee, quanto meno la fase transitoria dell'autore.

Passato poi dalla piccola etichetta d'avanguardia Bla Bla alla grande Ricordi (che paradossalmente sembra dargli persino maggiore libertà musicale!), questo misterioso artista conosciuto da appena un migliaio di persone si dedica, almeno per due o tre anni, alla composizione classico-avanguardista colta. Trascorre le giornate chiuso in casa davanti al pianoforte nel tentativo di dar vita a nuove forme sonore e frequenta musicisti di classica (soprattutto il pianista Antonio Ballista, esecutore delle registrazioni su disco delle composizioni di Battiato di questo periodo, e Giusto Pio, suo maestro di violino e futuro collaboratore agli arrangiamenti degli album di musica pop dal 1979 fino al 1991). I risultati di tale ricerca musicale sono documentati nell'album Battiato (1977). Il brano "Za" regala diciannove minuti di ossessiva e durissima musica per solo pianoforte, con effetti di amplificazione acustica e variazioni lentissime. E' l'autore stesso a fornire una breve descrizione del pezzo nella copertina del Lp: "Apparentemente povero.Quasi completamente formato da un accordo. Volutamente percussivo (non vi viene mai usato il pedale di destra). Divide e sottrae risonanze con una tecnica di rilascio. Necessita di un ascolto che definirei meta-analitico, a favore di una non-spazialità a-temporale." Il lato B del disco presenta il raffinatissimo collage di "Cafe'-Table-Musik" (nome tratto dai "Coffee-table-books", espressione con cui Proust definiva i suoi libri). Il canto del soprano Maria Salvetta e alcune brevi parti recitate si intervallano a soavi frammenti pianistici.

Di minore importanza l'album Juke Box (1978), concepito come colonna sonora di un film tv italiano del periodo ma poi rifiutato dagli autori dello stesso. Si tratta di sei brani per piano, violini, soprano e coro. Niente di straordinario, ma molto divertente è il pezzo di chiusura "Telegrafi", nel quale il violino solo di Giusto Pio viene "sbattuto" in modo più che straziante per oltre sei minuti e mezzo, fino all'esaurimento mentale dello sfortunato ascoltatore.

Le lezioni pianistiche di "Za" sono portate all'apice dalle due lunghe parti che compongono l'ultimo vero album propriamente sperimentale di Battiato, dal titolo L'Egitto prima delle Sabbie (1978). Nella title-track (brano vincitore del premio internazionale Karlheinz Stockhausen di quello stesso anno), una stessa veloce "frase" di pianoforte è ripetuta decine e decine di volte all'infinto senza alcuna variazione, tranne che nella lunghezza delle pause; è probabilmente questo il massimo esempio della capacità di Battiato di creare atmosfere ipnotiche e marcatamente meditative. Il secondo lungo pezzo "Sud Afternoon" mette invece in risalto la componente notevolmente percussiva, quasi maniacale, del suono del pianoforte.

Ma improvvisamente Battiato mette in atto forse uno dei più grandi mutamenti di stile e di genere che la storia della musica ricordi. La differenza che passa fra L'Egitto prima delle Sabbie e il successivo lavoro è a dir poco sconcertante.Quelle de L'Era del Cinghiale Bianco (1979), pubblicato per la Emi, sono vere e proprie orecchiabilissime canzoni pop! Ma che pop! Abbandonata del tutto l'avanguardia, Battiato trasferisce la propria sperimentazione colta nell'ambito del formato canzone, scoprendosi così perfetto cantautore intellettuale. Nel bene o nel male il genere coniato dal siciliano - e portato avanti, seppur in continua fase di mutamento, nel decennio successivo - fonde in maniera personalissima musica per molti e musica per pochi; ciò non è però risultato di una mera mediazione: paradossalmente egli sforna canzoni piacevoli all'orecchio come mai se ne erano sentite, ma nel contempo più intellettuali di quanto si fosse mai sentito. Si potrebbe forse trovare nel resto della storia della musica qualcosa che assomigli vagamente a ciò, ma in Italia lo "stile Battiato" era e ancora e' qualcosa d'inarrivabile (l'esistenza di ben pochi "allievi" sta oggi a dimostrarlo).
Composizioni orecchiabili sono proposte con arrangiamenti ricchi nel segno della contaminazione e dell'originalita'. Eppure sono i testi a risultare fortemente impressionanti: evidenziando in sostanza un nuovo approccio con la dura lingua italiana, Battiato delinea una forma di "pseudo-psichedelia" riflessiva; si tratta essenzialmente di pezzi sospesi fra meditazione filosofica ed esoterismo, spesso accompagnati da continue citazioni "fin troppo" elevate e da "bombardamenti" di immagini evocative, talvolta evidentemente disconnesse fra loro.

Il culmine di tale forma canzone si trova proprio nel primo Lp del nuovo corso. L'Era del Cinghiale Bianco è una scatola pop che dà l'impressione di tendere a più punti, dal jazz-rock alla musica sacra, ma che (è questa la particolarità) resta sempre e solo musica pop. La title track unisce riff di chitarra elettrica e violino a un incessante battito di batteria, anche se a toccare l'ascoltatore è proprio la voce in falsetto dell'autore, che partendo dal vuoto si estende a dipingere un "Oriente virtuale" (come proprio Battiato lo ha poi definito).E' in effetti lo stesso "Oriente" evocato nel finto-rock di "Strade Dell'Est", mentre "Magic Shop" è una dura riflessione sulla commercializzazione di arte, cultura e soprattutto religione.Dopo l'andamento classicheggiante dello strumentale "Luna Indiana", arriva la parte meditativa dell'opera. "Il Re Del Mondo" (titolo da uno scritto di Guénon) è il capolavoro del disco: basso, batteria, tastiere, pianoforte e violino accompagnano magistralmente questo pezzo visionario e malinconico (epocale l'avvio della prima strofa: "Strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo/ stonasse con il ritmo delle piante al sole sui balconi."). "Pasqua Etiope" è una preghiera pop in latino e greco incentrata su melodia per oboe. Chiude "Stranizza D'Amuri" che, oltre alla particolarità di essere in dialetto siciliano, è forse l'unica semplice canzone d'amore (nel senso stretto e puro del termine) che si può attribuire alla sconfinata opera del musicista.

Il successivo Patriots (1980), pur nella sua originalità, è lievemente inferiore. La musica diventa più orecchiabile, gli arrangiamenti meno soavi ma ugualmente complessi, con un più marcato uso di chitarre elettriche e suoni elettronici. I testi si fanno stranamente più ironici, ma non perdono il loro carattere evocativo.
A svettare è soprattutto la geniale critica sociale di "Up Patriots To Arms", dove la voce in falsetto di Battiato canta con tono rassegnato la stupidità dei popoli, sorretta da un accompagnamento perfetto, dalla sezione ritmica fino alle tastiere in sottofondo. Altro grande classico diverrà la struggente "Prospettiva Nevski", ispirata all'omonima strada di San Pietroburgo, all'interno di un disco che omaggia altre due affascinanti città nel lirico raffronto "Venezia-Istanbul".

Sebbene già da un paio d'anni avesse abbandonato la pura sperimentazione, è solo nel 1982 che Battiato passa dallo stato di musicista underground a quello di popstar, con l'album La Voce del padrone (1981). Sette canzoni praticamente perfette e intelligenti e, cosa non da poco, orecchiabili e persino ballabili.
Musicalmente il disco si presenta come "pop", ma riaggiornato con spruzzate di quello che la scena musicale degli anni precedenti aveva prodotto, dal punk all'elettronica, dalla new wave fino alle trovate "classicheggianti" dovute in gran parte alla collaborazione stretta con il maestro Giusto Pio, autore delle musiche insieme allo stesso Battiato.
I testi sono un geniale pastiche di letteratura, musica, pubblicità, politica, filosofia, religione.e non ci è dato sapere fino a che punto si tratti di puro nonsense o di sapienti accostamenti. Certo è che Battiato non ha paura a mischiare citazionismo alto e basso: dai "Minima moralia" di Adorno (che in "Bandiera bianca" diventano "Immoralia") ai "Figli delle stelle" di Alan Sorrenti, dal "Cantami o diva" a "Il mondo è grigio/ il mondo è blu", di Nicola di Bari.
La critica sociale è spietata e alcuni testi, letti oggi, anticipano lucidamente e clamorosamente gli anni 80, cosiddetti del "riflusso", con il rampantismo, la crisi delle ideologie e la rincorsa al denaro ed al benessere ("Siamo figli delle stelle/ pronipoti di sua maestà il denaro"): d'altronde lo sventolio della bandiera bianca dell'omonima canzone (anch'essa una citazione, dall' "Ode a Venezia" di Arnaldo Fusinato, del 1849) non è altro che un segno di resa da parte del cantautore nei confronti della società, qualcosa di simile alla metafora del ritorno del "cinghiale bianco" di un paio di album anteriore.
Non mancano nemmeno la denuncia sociale, seppur velata d'ironia ("quei programmi demenziali/ con tribune elettorali", "Quante squallide figure che attraversano il paese/ Com'è misera la vita degli abusi di potere") e le punzecchiature, anche in questo caso più sarcastiche che convinte, verso la musica ("A Beethoven e Sinatra preferisco l'insalata/ A Vivaldi l'uva passa che mi dà più calorie", "e sommersi soprattutto da immondizie musicali", "Non sopporto i cori russi la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese/ neanche la nera africana").
E' grazie a questo mix che Battiato scala le classifiche, ma convince anche la critica, anche se nell'album, oltre ai tre brani più celebri e tuttora indimenticati ("Bandiera bianca", "Cuccurucucù" e "Cerco un centro di gravità permanente"), sono presenti alcune canzoni più raffinate e meno giocose, come "Gli uccelli", elegante e poetica descrizione del volo, "Segnali di vita", riflessione sul tempo e lo spazio che anticipa molto del Battiato che verrà, e "Sentimiento nuevo", pezzo atipico del suo repertorio, praticamente un inno all'amore fisico, seppur disseminato di citazioni classiche.
Meglio andrà successivamente (ad esempio con Caffè De La Paix e L'imboscata), con dischi però più cervellotici che piaceranno più alla critica che al pubblico: La Voce del padrone resta un esempio quasi unico, nella discografia italiana, di album che è riuscito a mettere d'accordo tutti.

Più che pop tendente a essere colto, quella della trilogia "Cinghiale/Patriots/Padrone" assomiglia a musica colta che si traveste perfettamente da musichetta pop. Battiato ha stravinto la sua più grande sfida: fare "volutamente" musica commercialissima senza però perdere la dignità culturale del proprio operato, anzi semmai rafforzandola. In tal senso, proprio La Voce del padrone può essere considerato l'esperimento meglio riuscito del compositore siciliano, un'opera quasi inimitabile. Non a caso nei lavori che seguiranno egli farà le cose migliori solo quando cercherà vie alquanto diverse.
Infatti, i lavori immediatamente successivi, che tentano di mantenere una parte della formula, presentano risultati più mediocri. L'Arca di Noè (1982) è una sorta di breve concept-album pessimistico, in alcuni punti apocalittico, dove persistono le melodie facili, ma gli arrangiamenti variegati del precedente disco sono sostituiti da un'uniformita' sonora tendente a un'elettronica ritmica ma pacata.
"Radio Varsavia", "L'Esodo", "New Frontiers" e soprattutto "Voglio Vederti Danzare" rappresentano il culmine di un album poco brillante, ma quantomeno piacevole.

"La Stagione dell'Amore" è invece la canzone che porta al successo il disco Orizzonti Perduti (1983), forse più "cantautorale" e, seppur nella sua invettiva intellettuale, commerciale. I meriti di questo periodo della carriera di Battiato vanno probabilmente ricercati solamente nell'introduzione di computer e tecnologie nascenti nella creazione di canzoni di consumo di massa, nell'opposizione all'oppressione musicale del mercato anglosassone, oltre che a poche altre trovate più bizzarre, come ad esempio l'uso di un coro di madrigalisti in ambito pop (vedi ad esempio La Voce del padrone e L'Arca di Noè).

Pregi e soprattutto limiti del genere tornano definitivamente in Mondi Lontanissimi (1985). Sospeso fra spunti fantascientifici ("No Time No Space", "Via Lattea"), momenti d'intimismo ("L'Animale"), pezzi da cantautore ("Risveglio di Primavera", "I Treni di Tozeur"), elettro-pop ("Chanson Egocentrique") e simili, Battiato sforna un album di canzoni che entrano come niente fosse nell'orecchio degli ascoltatori, anche di quelli che non ne comprendono le sempre elevate divagazioni culturali.

Con gli album in lingua spagnola Ecos De Danza Sufies (1985) e Nomadas (1987), Battiato inizia intanto a farsi conoscere anche in Sud America e nella penisola iberica (tanto che negli anni Novanta sarà costretto a riproporre in castigliano gran parte dei suoi dischi), mentre il corrispondente in inglese Echoes Of Sufi Dances (1985) avrà minore successo.

Il maestro Stockhausen gli aveva fatto notare qualche anno prima che non poteva continuare a fare il cantante oltre i 40 anni. Non a caso proprio a quell'età Battiato dà inizio a una carriera parallela di compositore colto (non che da artista pop non lo sia, la differenza è che adesso egli cerca talvolta di fuggire dal formato canzone). L'occasione per inaugurarla è l'originale opera classica in tre atti Genesi (1986), in realtà caratterizzata in gran parte da sonorità sintetiche ed elettroniche.

Il ritorno alla canzone è ora tutt'altro che commerciale: Fisiognomica (1988) apre una serie di dischi del cantautore siciliano influenzati dalla musica classica e sorretti da un nuovo crescente desiderio di spiritualità, tanto che il musicista sarà destinato a evolversi nei primi anni 90 in cantautore-filosofo avverso al consenso di massa.L'album ha tanti spunti notevoli (tipo le ballate "E Ti Vengo A Cercare" e "Secondo Imbrunire", che fondono canzone d'amore e tematica filosofico-esistenziale, o l'arrangiamento variopinto de "Il Mito Dell'Amore", che parte da sequenze per tastiera per sprofondare in passaggi pianistici, possenti cori lirici e finale con assolo di chitarra elettrica e organo da chiesa), ma il culmine è nel brano finale "Oceano Di Silenzio", che unisce tastiere e orchestra in un andamento calmissimo e ipnotico, e che già anticipa le magiche sonorità del successivo albumCome Un Cammello In Una Grondaia. Prima andrebbero però citate altre due uscite discografiche: il doppio live Giubbe Rosse (1989), che sembra chiudere definitivamente il periodo commerciale dell'autore, e Benvenuto Cellini - Una Vita Scellerata (1990), trascurabilissima colonna sonora di un film-tv italiano di quell'anno.

Come un cammello in una grondaia (1991), registrato agli Abbey Road, è una sorta di rivoluzione stilistica. Abbandonate la varietà di musica e testi che lo aveva reso famoso, Battiato dà ora sfogo alla propria religiosità e all'incessante desiderio intellettuale in modo semplice, elegiaco. Ne risulta però un album difficile, dove il canto è accompagnato dalla malinconia del pianoforte, oltre che da rari e impercettibili accordi di tastiera che confluiscono nel procedere continuo e ipnotico dell'orchestra nazionale di Londra. Ci sono quattro lieder classici (Wagner, Martin, Brahms, Beethoven) che servono appena a far numero, e altrettanti nuovi brani del cantautore. In "Povera Patria" e nella title-track, la tranquillità della musica è in antitesi con le quanto mai esplicite invettive politiche e sociali espresse. I pezzi più degni di nota sono però i due sublimi brani mistici e religiosi: la riflessione de "Le sacre sinfonie del tempo" e la preghiera direttamente rivolta a Dio de "L'ombra della luce".

Intervallando canzoni colte e lavori più classici, Battiato giunge alla seconda esoterica opera Gilgamesh (1992), meno elettronicamente filtrata della precedente "Genesi", ma sicuramente alquanto pretenziosa.

Dopo l'ormai storico "concerto di Baghdad" con l'orchestra nazionale irachena (trasmesso in mondovisione e ancora reperibile in Vhs), l'autore torna in Italia sorprendendo di nuovo tutti con uno dei migliori lavori della sua carriera: Caffè De La Paix (1993), che riprende ottimamente le innovazioni del Battiato pop degli anni 80, filtrandole però con i vortici di misticismo che lo assalgono in questo periodo.Batteria, basso, chitarre, tastiere e computer, definitivamente reintegrati, vanno a incrociare gli strumenti classici e talvolta persino quelli tradizionali arabi, formando così uno straordinario esempio di world music in formato canzone. Alle ormai solite quasi a-ritmiche espansioni tastieristico-orchestrali con testo mistico ("Sui Giardini Della Preesistenza", "Ricerca Sul Terzo", "Haiku") si intervallano una serie di efficacissime ballate variamente arrangiate, fra tradizione e modernità.
Oltre al classico arabo "Fogh in Nakhal", ci sono la colorata "Caffè De La Paix", che tratta della reincarnazione (vero credo del cantautore) e il nuovo slancio religioso di "Lode All'Inviolato", con andamento incalzante.
I capolavori del disco sono però la quasi magniloquente "Atlantide", forte di ritmiche incalzanti e rigurgiti d'elettronica, e l'apparentemente più quieta "Delenda Carthago".

Dell'anno successivo sono il poco importante live Unprotected (1994), la cui mediocrità è risanata solo dall'ottima scelta dei brani presenti, e il nuovo classico Messa Arcaica (1994), composizione religiosa per soli, coro e orchestra, portata in giro per le chiese (non solo cattoliche) d'Italia, e di non trascurabile successo.Nello stesso anno, in occasione dell'ennesima opera "Il Cavaliere dell'Intelletto" (mai pubblicata), nasce la collaborazione con l'anziano filosofo siciliano Manlio Sgalambro, che da quel momento in poi sarà autore di quasi tutti i testi di Battiato. Comincia così una nuova eclettica fase del cantautore siciliano, piena di veri e propri "voli pindarici" per quanto riguarda i generi intrapresi.

La bizzarra collaborazione ha inizio quasi per caso con l'album L'ombrello e la macchina da cucire (1995). In esso i testi filosofico-deliranti di Sgalambro - che nel comporre riprende gli stilemi intellettualistici collaudati da Battiato, talvolta in modo persino più enfatico - si associano alle pesantissime atmosfere elaborate dal musicista, venendo a formare un disco omogeneamente noioso. I pezzi migliori sono comunque le apocalittiche "Piccolo pub", "Breve invito a rinviare il suicidio" e la title track. Sorprende invece l'incedere elettronico di "Tao" e soprattutto il modo poetico e aulico di descrivere il desiderio sessuale in "Fornicazione".

Passato alla Polygram dopo 16 anni presso la Emi, Battiato riprende in mano la chitarra elettrica e a partire da essa delinea l'album che definitivamente gli ridona il contemporaneo appoggio non solo di critica, ma anche di pubblico: L'Imboscata (1996) incrocia la migliore tradizione di cantautore intellettuale di Battiato con l'uso delle chitarre elettriche. Notevole anche l'appoggio di Sgalambro, con i suoi testi in italiano elevato che sfiorano però il plurilinguismo (inglese, francese, portoghese, tedesco.). Comunque gran parte delle canzoni fanno a stento da semplice cornice ai pochi pezzi realmente ben riusciti. "Di passaggio" è una riflessione sul "panta rei" di Eraclito che si stende su lunghi riff di chitarra elettrica.
"La cura", un altro dei grandi successi commerciali, è una meravigliosa e aulica confessione d'amore sospesa fra utopia intellettuale e ricerca della propria essenza; ma è anche il pezzo meglio orchestrato fra tutti. Il rock di "Strani giorni" unisce le aspre fughe chitarristiche di Battiato e di David Rhodes (gia' al servizio di Peter Gabriel) a due diverse linee di canto, l'una in italiano, l'altra in inglese. Per il resto ci sono solo sofisticate ballate, ma con qualche spunto improvviso un po' più originale (tipo l'andamento alterno di "Serial Killer" e le digressioni pianistiche e vocali in "Ein Tag Aus Dem Leben Des Kleinen Johannes").

Intanto Battiato continua l'esplorazione delle chitarre elettriche e, adottandone la componente più aspra, delinea un altro notevolissimo album, Gommalacca (1998), che ne rappresenta uno dei massimi successi di vendita, ma nel contempo paradossalmente uno dei più arditi esperimenti.
Ricco di suoni duri incentrati sulla magniloquenza della chitarra elettrica, di contaminazioni elettroniche, di distorsioni e sovraincisioni, ma pur sempre nei comunissimi limiti della canzone, Battiato conia una sorta di "techno hard-rock intellettuale", certamente di notevole impatto, seppur forse leggermente manieristico. Nel complesso il disco non è unitariamente bello, e diversi pezzi potevano essere del tutto scartati (magari a favore dei tre buoni inediti contenuti nel singolo "Il Ballo Del Potere" dello stesso anno). Ma, prese singolarmente, diverse composizioni impressionano in più punti. Ad esempio la riflessione con accompagnamento "metallaro" de "Il mantello e la spiga", o l'apparentemente soave "Casta Diva", in cui "acuti" di chitarra elettrica accompagnano gli acuti campionati di Maria Callas, senza dimenticare "Auto Da Fe'", incentrata sull'interazione fra la stessa chitarra elettrica e il sintetizzatore.
I veri gioielli del disco, però, sono "Il Ballo del potere" e "Shock In My Town". La prima unisce percussioni d'andamento tribale con impressionanti cori campionati, melodie nascoste, e evocazione più forti del solito, calando però il tutto in un'atmosfera fra il futuristico e il lievemente ridondante. L'altra è invece il massimo esempio delle enormi capacità d'arrangiamento del cantautore italiano: a un riff di chitarra in sottofondo si sovrappongono una valanga di suoni e distorsioni, dall'orchestra ai cori spettrali, dall'ottima linea di basso agli spunti elettronici; il testo, invece, è un vero e proprio "viaggio con la mescalina", fra oscure visioni e valanghe di immagini; è lo snervante ma raffinato caos urbano di Battiato, sintetizzato nella falsa rima distorta che attraversa e percuote periodicamente l'intero brano: "shock in my town... Velvet Underground".

A testimoniare la varietà di stili che l'autore - ormai ultra cinquantenne - sa intraprendere in modo disinvolto c'è il passaggio dai synth e chitarre elettriche di Gommalacca ai soli pianoforte e quartetto d'archi che lo accompagnano in Fleurs (1999), raffinato "concept cover album" composto (oltre che da due inediti) da dieci canzoni d'amore altrui, soprattutto risalenti agli anni 50 e 60, e appunto arrangiate per ensemble da camera. Questo curioso disco è quindi musicalmente molto unitario, sebbene contenga brani non sempre vicinissimi fra loro, come il classico "Era de maggio" del poeta napoletano Salvatore Di Giacomo e "Ruby Tuesday" dei Rolling Stones (in realtà, il fine di Battiato sembra proprio quello di farci scoprire le vicinanze fra tali canzoni).
Per la maggior parte si tratta comunque di un tributo a un paio di autori italiani del passato (l'appena defunto Fabrizio De André e Sergio Endrigo) e ad alcuni corrispondenti francesi (Charles Aznavour, Jacques Brel etc.).

Ma le sorprese non sembrano finire, dato che con un nuovo colpo di coda Battiato fugge ancora una volta il formato canzone e su commissione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino incide per la Sony i sette movimenti sperimentali che compongono il durissimo Campi Magnetici (2000). E' un momentaneo ritorno alle tendenze avanguardiste dei primi 70, ora però filtrate dall'esperienza di 25 anni di scorrazzamenti musicali e dall'uso della moderna tecnologia analogica. In un periodo di alto successo popolare, Battiato dà vita sottovoce al suo lavoro più inascoltabile. Si incontrano in esso continui flussi elettronici, campionamenti impazziti, centinaia di note "sparate" in pochi secondi, improvvisi attacchi di percussioni, languidi incisi lirici e pianistici, parti recitate che trattano di scienza, melodie celate, e così via in uno scontro fra "suoni primordiali" e andamenti da bizzarra ma serissima musica computerizzata.
Comunque, il migliore dei sette movimenti è "The Age Of Ermafrodites", quello che in effetti maggiormente evidenzia il contrasto fra parvenze di orecchiabilità e musica inascoltabile. L'album è in fin dei conti solo un esempio dell'ecletticità dell'autore più che una nuova totale adesione all'avanguardia, dato che le pubblicazioni immediatamente successive sono più tendenti alla normale canzone leggera.

Ferro Battuto (2001), che vede ospiti Natacha Atlas in un paio di brani e Jim Kerr dei Simple Minds ai cori del pezzo di apertura, sembra convergere a più punti senza però trattarne nessuno come si deve, risultando quindi alquanto deludente.C'e' il solito pop elevato ("Bist Du Bei Mir" e "Il Cammino Interminabile" le più accettabili), le solite riflessioni intimiste ("La Quiete Dopo Un Addio" o "Lontananze D'Azzurro" da una poesia di Schopenhauer) e qualche "scherzo musicale", tipo la cover rallentata di "Hey Joe" (omaggio però a Jimi Hendrix e non alla canzone) o le atmosfere jazzate di "Scherzo In Minore" e quelle elettroniche della lunga ghost-track.

Fleurs 3 (2002) rappresenta il seguito poco ispirato dell'omonimo di tre anni prima (si tratta di una anomala "trilogia forzata", dato che il secondo capitolo non è mai stato progettato). Rispetto a esso, il nuovo disco è volutamente meno raffinato, sia nella scelta delle canzoni d'amore (per lo più pop italiano dei decenni passati come Sorrenti, Lauzi, Paoli e Adamo, rivisitato col solito piglio intellettuale), sia negli arrangiamenti (al quartetto d'archi si affianca la sezione ritmica e l'elettronica, in un contesto complessivamente commerciale).

Nel 2003 Franco Battiato ha anche esordito nel cinema, firmando la regia del film "Perduto Amor".

Un anno dopo, esce il suo nuovo album, Dieci Stratagemmi, album conciso e senza fronzoli, e tra le righe ricco anche di una vena di rabbia caustica verso l'attualità internazionale.
Ad aprire l'album è il singolo "Tra sesso e castità", canzone con la quale Battiato sembra voler riflettere sul tempo passato e sull'approssimarsi della vecchiaia, ma soprattutto canzone superbamente arrangiata, elegante e raffinata. Ma non gli sono da meno altri episodi come "Conforto alla Vita", pezzo adagiato su un tappeto di archi ed elettronica, e "Apparenze e Realtà" (collaborazione con Maurizio Arcieri, mente dei mitici Krisma), che potrebbe essere la canzone che gruppi giovani e "cool" come i Subsonica hanno sempre cercato di realizzare. E che dire della magica "Fortezza Bastiani", che richiama i "Secrets Of The Beehive" di David Sylvian... La vetta dell'album è però "Le Aquile non volano a stormi", brano poetico e fascinoso, carico di fascinazioni orientali (il testo è tratto da versi del poeta cinese Qu Yan).
Ma, come si diceva, cifra caratteristica di questo disco è soprattutto una corrente di malcelata tensione e sotterranea insofferenza, che trova sfogo prima in un brano come "Ermeneutica" ("eiacula precocemente l'impero/ tornano i vecchi testamenti/ gli stati mostri si avventano sui regimi fascisti"… "mostruosa creatura, il suo nome è fanatismo"… "gli stati servi si inchinano a quella scimmia di presidente... si inventano democrazie..."), che peraltro si segnala come una delle partiture più folli e spiazzanti della sua carriera, e poi nella fantasia visionaria di "23 coppie di cromosomi", autentico incubo metropolitano, memore delle "allucinazioni" di "Shock In My Town".
Assistito in diversi episodi dalla voce della brava - e bella - Cristina Scabbia (cantante del gruppo goth-metal dei Lacuna Coil) e con i testi scritti come di consueto in collaborazione con Manlio Sgalambro, Battiato appare in gran forma, febbrilmente ansioso di esprimere la sua visione delle cose. Una visione che trova la sua espressione più lirica nella conclusiva "La porta dello spavento supremo", dimessa nenia per piano e archi (tutto rigorosamente "synth"), con Battiato e Sgalambro a scambiarsi il posto di voce recitante di versi brevi e dolcemente fatalisti.

Un soffio al cuore di natura elettrica (2005) è un trascurabile cd+dvd, contenente la registrazione di un concerto tenuto da Battiato al "Nelson Mandela forum" di Firenze il 17 febbraio 2005, nell'ambito del nell'ambito del "X Stratagemmi tour".

Giunto ormai, al ventinovesimo lavoro, nel 2007 Battiato pubblica Il vuoto. Il Battiato che t'aspetti, verrebbe da dire. Le patologie del quotidiano vengono sezionate fin nei più intimi aspetti dello spirito. Uno spirito malato, che annaspa fra le pieghe del vuoto, e che cerca precario conforto in un sconfinato consumo e nel logoramento trascendentale. Chi ha rifiutato la recente deriva elettro-pop, vedrà confortate, quantomeno parzialmente, le aspettative di un Battiato vecchio stile (sì certo, ma quale vecchio stile?). E fermarsi all'ascolto del singolo che dà il titolo all'album sarebbe veramente delittuoso. Sulla falsariga di "Tra sesso e castità", la prima traccia, che, diciamolo, può anche sembrare pacchiana e banale, percorre le vie di un pop sapientemente mischiato all'elettronica. I synth giocano con l'austerità classica del canto, creando un gioco di rimandi a quel sottovalutato "Gommalacca". E se siete veramente rimasti disgustati dal singolo, come chi scrive, rifugiatevi nel lirismo di "Tiepido Aprile".
La maestosa traccia pastorale che si svolge fra gli archi della Royal Philarmonic Orchestra porta idealmente l'ascoltatore tra le note di Come un cammello in una grondaia. E i rimandi al Battiato del periodo dei lieder ottocenteschi paiono sempre dietro l'angolo. Basti ascoltare la seppur piatta "Era l'inizio Della Primavera" per rendersene conto.
Ma, lo sappiamo, il siculo è autore vario e istrionico. Ecco allora il funk-pop, condito in salsa electro-noise orientale di bluvertighiano slancio, di "The Game Is Over" o le nostalgiche trombe di "Aspettando l'Estate". Che il padre nobile della canzone italiana abbia strizzato l'occhio alle filosofie e alle religioni orientali non è certo mistero. E "Niente è come sembra", ispirato a una frase del Buddha, testo programmatico del Battiato-pensiero, sebbene decisamente monocorde nello sviluppo della melodia, avvalora la tesi dell'autore-filosofo, coadiuvato non a caso dall'ormai fedelissimo Manlio Sgalambro. La world-music della conclusiva "Stati di Gioia" chiude idealmente il cerchio.
Il vuoto è un album che sa rincuorare, al quale non si deve chiedere nulla più di quello che si propone, che si ripromette di dare una lezione più che di farsi apprezzare musicalmente. "La mia droga è un cielo terso con una nuvola che lo attraversa. Per qualcuno sarà noioso, per me è come farmi d'eroina". Ecco l'essenza de "Il vuoto" dalle stesse parole di Battiato. Come dargli torto?

A nove anni di distanza dal primo esperimento Fleurs e a sette dal suo successore, Fleurs 3, Battiato ripropone una formula che aveva ottenuto un discreto successo ma che, al di là dell'eleganza delle composizioni, mostrava una stanchezza di fondo.
Proprio come allora, in Fleurs 2, il cantautore di Jonia si dedica alla rilettura di brani del passato, passando in rassegna dodici canzoni italiane e non, coadiuvato da ospiti di un certo prestigio. Si passa allora dall'inglese leggermente compassato di "It's Five O' Clock" (traccia degli Aphrodite's Child) agli avvolgenti archi di "Bridge Over Troubled Water" (di Simon & Garfunkel). Fra gli episodi più riusciti, la settima traccia, "Il venait d'avoir 18 ans" di una Dalida in gran forma, la prestigiosa collaborazione con Antony ("Del suo veloce volo") o l'ispirato e nervoso pop-noise-jazz di "La musica muore".
Un album un po' così, fine a se stesso e che non riesce né a colpire musicalmente né a catturare emotivamente.

Dopo la rielaborazione della propria arte di Inneres Auge – Il tutto è più della somma delle sue parti e la titanica opera lirica “Telesio”, il compositore catanese torna finalmente in studio per un nuovo disco di inediti. Apriti Sesamo (2012) ci riconsegna un Battiato combattuto tra la condizione di cittadino indignato dai soprusi della politica e dalle prevaricazioni dell'economia da una parte, e quella dell'artista proteso alla ricerca di nuovi equilibri morali dall'altra. Se la materia è corrotta, sembra suggerire il compositore catanese, la spiritualità è il luogo eletto nel quale rifugiarsi, oppure dal quale ripartire nel processo di miglioramento del mondo. È come se Battiato, dopo averla metabolizzata, fosse riuscito a trascinare l'ira viscerale di “Inneres Auge” a un livello più sublime, nobilitandola attraverso le liriche del primo singolo "Passacaglia" (“viviamo in un mondo orribile”, e ancora “la gente è crudele e spesso infedele, nessun si vergogna di dire menzogna”), scritta a quattro mani con il fido Manlio Sgalambro ispirandosi alla composizione classica "Passacaglia della vita" del sacerdote seicentesco Stefano Landi; e poi nella metafora de "Il serpente", rappresentazione del denaro che "strisciava nelle città d'Occidente” prima dell'avvento dell'“uomo nuovo” che, scoprendo “di colpo l'esistenza del bianco”, rimetterà le cose a posto.
Dal punto di vista musicale, l'album non si discosta sostanzialmente né da Dieci Stratagemmi né da Il Vuoto. Il pop non rinuncia alle esplorazioni elettroniche, un connubio che si sposa alla perfezione nel tappeto di “La polvere del branco” e nei tocchi magici della visionaria title track “Apriti Sesamo”. Manca la chitarra elettrica, nessuna canzone va oltre i quattro minuti e si avverte un certo ritorno ad accenni lirici e classicheggianti, l'accorato pianoforte che accompagna “Il Serpente” rimanda direttamente a “Povera patria”.
Apriti Sesamo spalanca le sue porte al disagio della contemporaneità quanto alla ricerca del sublime, infarcendo il tutto di rimandi colti e, com'è consuetudine, poliglotti. In “Caliti Junku”, Battiato spazia dal latino al vernacolo siciliano (“Caliti juncu, chi passa la china”, ovvero “aspetta che passi la piena, verrà il tuo momento”) all'inglese, da arie antiche al pop mescolato con la musica classica. L'eleganza soprannaturale di “Un irresistibile richiamo” rimanda a Santa Teresa d'Avila (“ti saluto divinità della mia terra” è rivolta a Giuni Russo?), il ventiseiesimo dell'Inferno dantesco e il Vangelo compaiono in “Testamento”, il poeta arabo Ibn Hamdis – già incontrato nella rappresentazione teatrale “Diwan” - in “Aurora”, la Sherazade di Rimski-Korsakov in “Apriti Sesamo”, il già citato Stefano Landi in “Passacaglia”, introspettivo sguardo lungo un'intera esistenza. Uno sguardo all'indietro che si fa pop nei ricordi di “Quand'ero giovane”, un'età della quale l'autore siciliano non pare avere troppa nostalgia.

Nel 2013 Battiato incontra Antony Hegarty, condividendo con lui un concerto all'arena di Verona dal quale viene tratto il doppio album live Del suo veloce volo, con il contributo della Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Rob Moose.

Dopo Apriti Sesamo, il ringiovanimento artistico di Battiato trova nuova forma in un definitivo salto nel passato, totale dal punto di vista “ideologico”, e solo a metà da quello strettamente musicale. Il progetto Joe Patti's Experimental Group (2014), realizzato col sound engineer Pino "Pinaxa" Pischetola – al fianco di Battiato già dal cult Gommalacca –, è nelle intenzioni un ritorno alla forma libera della musica italiana anni 70, periodo in cui il Franco nazionale si configurava come un insolito ribelle chic, audace nelle sperimentazioni e blasfemo nei temi trattati. Un album che si spiega da sé, con poche parole (non nuove) e molta musica d'atmosfera lisergica, con deviazioni d'ascendenza kosmische e ambient-techno. Nei brani risuonano alcuni testi del passato (da “New Frontiers” a “Inneres Auge” e “Shakleton”), frammenti decontestualizzati che, a seconda dei punti di vista, possono sembrare evocazioni pregne di significato o semplici stralci disseccati di memoria poetica.
Il mélange del duo prende direzioni plurime – tra echi sacrali da Messa Arcaica (“CERN”) e collage stockhauseniani dal sapore orientale – benché mai davvero sorprendenti, soprattutto alla luce degli ultimi exploit in studio. Ciò senza negare l'appagante trasognanza di momenti come “Klavier” e “The Implicate Order”, degni delle visioni angeliche del binomio Eno/Budd, o del solenne “Omaggio a Giordano Bruno”, in puro stile Popol Vuh. Ovunque è ben percepibile il contributo architettonico di Pinaxa, che mette a pieno frutto la sua esperienza nel collocare al meglio tutti i dettagli acustici e dar loro il giusto peso nell'insieme.
Quelle di Joe Patti sono suggestioni che, quasi sicuramente, dal vivo sortiranno un effetto ben più sensazionale, ma che danno al formato-album l'aspetto di un sampler un po' disordinato. Con l'innegabile pregio, però, di recuperare l'idea di musica come necessaria fuga da una realtà asfittica, rielaborandone abilmente i tratti postmoderni senza mai soccombervi.
Al di là della forte denuncia sociale, dunque, Battiato non rinuncia a spingersi ancora nel campo dell'intelletto, toccando filosofie, religioni, arti e letterature diverse. È questa la grandezza dell'essere umano, declinata in ogni sua forma, che non si piega alle intemperie dei nostri tempi.

Ma purtroppo il "ciclo di vite" di Franco Battiato volge rapidamente al termine.
Da tempo malato (probabilmente di Alzheimer, ma la malattia non è mai stata ufficializzata), si ritira di fatto dalle scene musicali e artistiche dal 2017, quando un incidente domestico lo costringe ad interrompere concerti e tour. Si rifugia così nella sua villa alle pendici dell'Etna, circondato dall'affetto dei suoi familiari.

Dopo la pubblicazione dell'inedito "Torneremo ancora" (2019), accompagnata da un raggelante annuncio da parte del suo staff - "Sarà il suo ultimo brano, non abbiamo più suo materiale" - l'ombra della malattia scende inesorabile sulla vita di Battiato, che si spegne il 18 maggio del 2021 nella sua residenza di Milo. Lascia un'eredità incommensurabile e un vuoto enorme nella musica italiana che ha così profondamente innovato e trasformato attraverso le sue opere.

Contributi di Davide Bassi ("La Voce Del Padrone"), Mauro Roma ("Dieci Stratagemmi"), Alberto Asquini ("Il Vuoto", "Fleurs 2"), Fabio Guastalla ("Apriti Sesamo"), Michele Palozzo ("Joe Patti's Experimental Group")

Franco Battiato

Discografia

Fetus (Bla Bla, 1971)
Pollution (Bla Bla ,1972)
Sulle corde di Aries (Bla Bla, 1973)
Clic (Bla Bla, 1974)
M. Elle Le "Gladiator" Bla Bla (1975)
Feedback (antologia, Bla Bla, 1976)
Battiato (Ricordi 1976)
Juke box (Ricordi 1977)
L'Egitto prima delle sabbie (Ricordi 1978)
L'era del cinghiale bianco (Emi 1979)
Patriots (Emi 1980)
La voce del padrone (Emi 1981)
L'arca di Noè (Emi 1982)
Orizzonti perduti (Emi 1983)
Mondi lontanissimi (Emi 1985)
Echoes Of Sufi Dance (Emi 1985)
Genesi - opera classica (Fonit Cetra 1987)
Fisiognomica (Emi 1988)
Giubbe rosse (live, Emi 1989)
Come un cammello in una grondaia (Emi 1991)
Gilgamesh - opera classica (Emi 1992)
Caffè De La Paix (Emi 1993)
Unprotected (live, Emi, 1994)
L'ombrello e la macchina da cucire (Emi 1995)
Shadow, light (Emi, 1996)
Battiato Studio Collection (doppio cd, Emi, 1996)
Battiato Live Collection (doppio cd, Emi, 1996)
L'imboscata (Polygram, 1996)
Gommalacca (Mercury, 1998)
Fleurs(Universal, 1999)
Campi magnetici (Sony, 2000)
Ferro battuto (Columbia/Sony, 2001)
Fleurs 3 (Sony, 2002)
Dieci Stratagemmi (Sony, 2004)
Un soffio al cuore di natura elettrica (cd+dvd, Sony 2005)
Il Vuoto (Mercury, 2007)
Fleurs 2 (Universal, 2008)
Inneres Auge – Il tutto è più della somma delle sue parti (Universal, 2009)
Apriti Sesamo (Universal, 2012)
Del suo veloce volo (con Antony, Universal, 2013)
Joe Patti's Experimental Group (con Pinaxa, Universal, 2014)
Pietra miliare
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