Popol Vuh

Popol Vuh

Musica per catacombe spaziali

Mentre in Germania impazzava la "kosmische musik", i Popol Vuh sceglievano di allontanarsi dalle sinfonie elettroniche dei loro connazionali per abbracciare un rock religioso dal fascino esotico e dalle sonorità oniriche. Anticipavano cosi' di un paio di decenni la stagione della new age

di C. Fabretti, F. Nunziata, S. Setola

Nati nel 1969 da un progetto di Florian Fricke, ex-critico e regista cinematografico, i Popol Vuh sono una delle band fondamentali del rock tedesco. Più sensibili ai richiami mistici ed esotici rispetto ai loro connazionali "cosmici" (Schulze, Tangerine Dream, Kraftwerk), Fricke e compagni hanno gettato le basi per la musica ambient e new age degli anni a venire e hanno dimostrato che anche il rock può diventare musica spirituale, recuperando la sacralità antica alla stessa stregua della musica classica. Dalla loro minuziosa ricerca sui testi sacri di diverse religioni, infatti, ha preso le forme un'inedita formula di rock metafisico, fatto di suoni eterei e accordi celestiali, un misticismo acustico che unisce antico e moderno, sacro e profano, in un anelito di pace e d'estasi. Ma la loro importanza è cruciale anche sul piano della ricerca tecnica nella musica elettronica. Sono stati infatti la prima band a utilizzare il sintetizzatore Moog e uno dei primi gruppi a ricercare contaminazioni con quella "world music" esplosa poi negli anni Novanta, grazie soprattutto a Peter Gabriel.

Quando Florian Fricke decide di dedicarsi a tempo pieno alla musica, varando il progetto Popol Vuh, molto probabilmente aveva letto e riletto, fino alla nausea, l'omonimo libro sacro dei Quiché, una tribù di indiani diretti discendenti dei Maya. In esso, il leader della band di Monaco poteva confrontarsi con la credenza secondo la quale suoni particolarmente dinamici, potenti e penetranti possono avere un effetto benefico sulla psiche umana, restituendole armonia ed equilibrio. Sulla base di queste congetture, quella della band tedesca diverrà di fatto una "musica sacra" dalle fortissime inclinazioni "terapeutiche". Certo, non è stata l'unica band del periodo a interessarsi a questo tipo di cose, ma, per i risultati ottenuti, resta la più grande in assoluto.

La formazione originaria, costituitasi a Monaco nel 1970, prevede, insieme a Fricke (tastiere), Frank Fiedler (sintetizzatore) e Holger Trulzsch (percussioni). Il nome Popol Vuh è quello del Libro dei morti degli antichi Maya. Ma curiosamente, nello stesso periodo, viene prescelto anche un gruppo progressive norvegese. Una circostanza che provocherà una certa confusione negli anni successivi.

Fricke è un cultore dei miti Maya e un appassionato di tematiche religiose. Un bagaglio culturale che emerge subito nell'album d'esordio dei Popol Vuh, Affenstunde (1970). Ma è un disco ancora acerbo, che passa quasi inosservato.

Più suggestivo è l'ambizioso In Den Garten Pharaos, pubblicato due anni dopo. Un'opera a metà tra il classico e l'elettronico, che fonde atmosfere ambient e percussioni, con un particolare uso di strumenti acustici ed etnici (chitarre, oboe, tamboura), offrendo mirabili "istantanee dal giardino dei faraoni".
Suddivisa in due lunghe composizioni, l'opera resta una delle vette più alte dell'intero panorama musicale "rock", in virtù di una potenza "esoterica" a tratti davvero "assoluta". La line-up è costituita, oltre che Fricke (piano, organo), da Frank Fielder (sintetizzatore) e dal percussionista Holger Trulzsch. La prima "facciata" è interamente occupata dalla title track (17'39"): tra lo scrosciare dell'acqua, si fanno spazio rumori ambientali, percussioni filtrate e "liquide" e onde sinusoidali che dipingono un tenebroso affresco a-temporale. I vortici fumosi del synth si dilatano e si contraggono, in una rivisitazione pregna di misticismo della musica cosmica.
Il giardino dei faraoni è un'ampia distesa di figure indecifrabili, di misteri millenari, di simulacri divini. Intorno al quinto minuto, un ritmo ossessivo di tabla, meticoloso nel suo incedere fortemente ritualistico, viene incupito da minacciosi glissando di synth. A questo punto, si ha l'impressione di riascoltare in chiave "terrena" le mostruose traiettorie spaziali di "Irrlicht" (Klaus Schulze). Ma, invece di annientarsi in un'esplosione violentissima, questo duello tra "primitivo" e "moderno" viene risolto, a 12'47", in un sublime saggio di jazz (?) "quarto-mondista": scansione tribale di tabla, accenti minimalistici di Moog che scivolano dentro le sonorità metalliche del vibrafono, tracce innodiche di organo. Sullo sfondo, il rumore dell'acqua, col quale si chiude la prima facciata. Da notare, tra l'altro, l'eccellente lavoro sul suono di Bettina Rumpf.
Un organo magniloquente, lussureggiante, e il vibrare del gong introducono al capolavoro assoluto dei Popol Vuh: "Vuh" (19'58"). Registrato nella cattedrale di Baumburg, questo brano si avvale, oltre che dell'organo a canne (suonato da Fricke in un unico, estenuante ciclo continuo), della stessa spazialità intrinseca all'edificio sacro. La potenza del suono, infatti, sembra non avere limiti: si ha come l'impressione che s'espanda fino all'inverosimile, in un terribile sforzo trascendente. Lungo tutto il suo sviluppo, il brano espone un abbacinante teorema sull'unità materiale e immateriale dei suoni e del microcosmo umano, caricandosi di ulteriore forza spirituale nel momento in cui, al terrificante drone di organo, vengono ad aggiungersi allucinate ragnatele di canto estatico (sintetizzato elettronicamente), l'inquieto e tumultuoso sfrondare dei timpani e la traiettoria lineare, ma irrequieta, delle percussioni. Lentamente, e in maniera quasi impercettibile, il drone di organo viene a perdere in consistenza sonora. Dal quattordicesimo minuto in poi, tutto riacquista una dimensione più umana. Percussioni e timpani si fanno più pacati; l'organo, "impreziosito" da svolazzi di synth, spegne progressivamente la sua luminosissima carica evocativa. E tutto svanisce nel nulla, da dove era venuto.

Nel 1972 Fricke ingaggia cinque collaboratori di scuola classica: la soprano coreana Djong Yun, più Conny Veit degli Amon Duul II (chitarra), Klaus Wiese (tamboura) e due membri dell'Accademia Filarmonica di Monaco, Robert Eliscu (oboe), Fritz Sonnleitner (violino).
Da questo ensemble nasce Hosianna Mantra, il capolavoro dei Popol Vuh. E' una raccolta di piccoli gioielli di misticismo dalla fragile cartilagine armonica, una "musica per catacombe spaziali", come è stata definita.
"Hosianna" e "Mantra" rappresentano due religioni agli antipodi, e un solo rivoluzionario progetto musicale: quello di fondere in un unico flusso sonoro rivelazione cristiana e ritualità induista, tradizione classica occidentale e canti vedici, riscoperta dell’antico e proiezione verso il futuro. L’elettronica, elemento distintivo del rock d’avanguardia teutonico, viene abbandonata perché, secondo le parole dello stesso Fricke, dato la sua artificiosità, risulta poco funzionale per esprimere la purezza e la profondità dei suoi inni religiosi.
Vengono così privilegiati arrangiamenti semplici, con una strumentazione acustica in larga parte di stampo "colto" (piano, clavicembalo, oboe, violino), con componenti rock nelle chitarre, più il tocco di esotismo della tamboura (uno strumento a corde indiano ideale per produrre bordoni).
Fin dai primi ascolti, sono due le cose che colpiscono: la prima è l’assoluta assenza di percussioni, che bagna i brani di un’a-temporalità fluida, poetica e trascendente; la seconda è la potenza d’amore sprigionata dalle otto tracce: un amore altro, divino, fortemente interiorizzato.
Il disco si divide in due parti: "Hosianna Mantra" e "Das V Buch Mose". L’apertura è affidata a "Ah!", che inizia con una sonata per pianoforte romantica e minimale sulla quale si adagiano note fluttuanti di chitarra e tamboura. Il finale presenta una vertiginosa fuga per pianoforte e chitarra elettrica. Il secondo pezzo è il Kyrie, litania cristiana facente parte della messa cantata, che si distende su un’aria bachiana per violino, piano e soprano.
Il simbolo della poetica religiosa dei Popol Vuh è, però, la title track, l’Hosianna-Mantra. È in questa lunga jam metafisica che si condensano perfettamente due tipi di ritualità distanti fra loro: l’inno a Cristo che ascende al cielo (l’Osanna) e l’inno induista costituito dalla ripetizione continua di una stessa formula o parola (il mantra). Un piano sognante e una chitarra psichedelica compongono la tessitura armonica che sorregge gli echi barocchi dell’oboe e la salmodia di Djong Yun.
La seconda parte si ispira alle narrazioni bibliche del V libro di Mosè: "Abschied" si consuma nel pianto di gioia dell’oboe segnato da una malinconica purezza; il canto di benedizione di "Segnung" si presenta come un lied ieratico di leggiadria inaudita. Infine, incastonata tra i due brevi intermezzi di "Andacht", si trova la gemma ineffabile intitolata "Nicht Hoch Im Himmel": emanazione di una luminosità oscura, donatrice di una sofferente quiete, figlia di una triste gioia, questa composizione risulta, nella sua atmosfera, un vero e proprio ossimoro capace di toccare il fiore delle tenebre e della luce.

Hosianna Mantra è l’esperire la vita nel mentre di una contemplazione d’amore cosmico. In questo senso, i Popol Vuh passano da una kosmische musik claustrofobica e futurista a una kosmische musik ecumenica e sacrale, capace di anticipare certa new age immaginifica.

Negli anni seguenti, insieme all'ex-batterista degli Amon Duul II Daniel Fichelscher e ruotando i musicisti all'interno della band, Fricke si dedica a una trilogia mistica frutto della sua ricerca sui testi sacri: Seligpreisung, Einsjager und Siebenjager e Das Hohelied Salomos. Un progetto ambizioso che svela però i primi limiti compositivi del musicista tedesco, incapace di dare una compiuta evoluzione al sound di "Hosianna Mantra". Lo stesso anno Fricke inizia la fortunata collaborazione con il regista tedesco Werner Herzog, che frutterà le colonne sonore di film come Aguirre, Wrath Of God, Fitzcarraldo e Nosferatu.

I successivi lavori dei Popol Vuh si concentreranno invece sulla ricerca di temi più ritmati (Letzte Tage Letze Nachte), su nuovi esperimenti vocali (Die Nacht Der Seele con Renate Knaup, ex-Amon Duul, e City Raga con Maya Rose) o su sonorità più solari (Agape Agape, Tantric Songs).

Ma l'ispirazione dei tempi d'oro si andrà progressivamente smarrendo. Resterà tuttavia l'enorme eredità della musica dei Popol Vuh sul nuovo movimento new age, che ne riscoprirà intuizioni, tecniche e strutture. La formazione tedesca continuerà a sfornare dischi, ultimo La Messa di Orfeo, e a esibirsi in giro per l'Europa (recentemente anche al festival "Il Violino e la Selce" di Fano, organizzato da Franco Battiato).

Il 29 dicembre del 2001, Florian Fricke si spegne nel sonno, in seguito alle complicazioni di un infarto.
Il suo messaggio resterà quello di plasmare la musica primordiale dell'uomo e di esplorare l'immensità della natura alla ricerca del Sacro. Come è scritto nelle pagine del "Popol Vuh" dei Maya, "All'inizio vi era solo il cielo immenso e il mare in tutta la sua calma e poi venne il suono e dopo il suono il Creatore formò l'uomo".

Popol Vuh

Discografia

Affenstunde (Liberty, 1970)

7

In Den Garten Pharaos (Pilz, 1972)

8,5

Hosianna Mantra (Pilz, 1972)

9

Seligpreisung (Kosmiche, 1973)

6

Aguirre (soundtrack, Barclay, 1974)

6,5

Einsjager & Siebenjager (Spalax, 1974)
Das Hohelieds Salomons (United Artists, 1975)
Letze Tage Letze Nachte (United Artists, 1976)

7

Coeur De Verre (soundtrack, Spalax, 1977)

6

Bruder Des Schattens (1978)
Nosferatu (soundtrack, 1978)

7

Die Nacht Der Seele (Brain, 1979)
Sei Stille (Innovative, 1981)
Tantric Songs (1981)
Agape Agape (Spalax, 1983)

5

Spirit of Peace (Spalax, 1985)

5

Der Gesang Der Engel (1988)
Florian Fricke (1990)
Florian Fricke Spielt Mozart (Bell, 1991)
For You And Me (Milan, 1991)

5

Best (anthology, 1993)
Sing For Song Drives Away The Wolves (Milan, 1993)
City Raga (Milan/BMG, 1995)
Shepherd's Symphony (1997)
Messa di Orfeo (Spalax, 1998)

6

Future Sound Experience (Mystic Records, 1999)
Pietra miliare
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