"Popol Vuh è una messa per il cuore. È amore che si fa musica e questo è tutto"
(Florian Fricke)
"Hosianna" e "Mantra"; due termini eterei e mistici che rappresentano due filosofie distanti, due religioni agli antipodi, e un solo rivoluzionario progetto musicale: quello di fondere in un unico flusso sonoro rivelazione cristiana e ritualità induista, tradizione classica occidentale e canti vedici, riscoperta dell’antico e proiezione verso il futuro. Florian Fricke, mente e spirito dei Popol Vuh, lo concepì dopo l’altro suo capolavoro "In Der Garten Pharaos" del 1971. A differenza di quest’ultimo, però, "Hosianna Mantra" rinunciava al mezzo tecnico più usato dai musicisti tedeschi dei primi anni Settanta: l’elettronica, elemento distintivo del rock d’avanguardia teutonico, veniva abbandonata perché, secondo le parole dello stesso Fricke, data la sua artificiosità, risultava poco funzionale per esprimere la purezza e la profondità dei suoi inni religiosi.
Fricke lavorò su arrangiamenti semplici ma non scarni, preferendo una strumentazione acustica in larga parte di stampo "colto" (piano, clavicembalo, oboe, violino), con componenti rock nelle chitarre, più il tocco di esotismo della tamboura (uno strumento a corde indiano ideale per produrre bordoni). I suoi raffinati comprimari furono il chitarrista Conny Veit degli Amon Duul II, la soprano giapponese Djong Yun, il violinista Fritz Sonnleitner, Robert Eliscu all’oboe e Klaus Wiese alla tamboura.
Fin dai primi ascolti, sono due le cose che colpiscono: la prima è l’assoluta assenza di percussioni, che bagna i brani di un’a-temporalità fluida, poetica e trascendente; la seconda è la potenza d’amore sprigionata dalle otto tracce: un amore altro, divino, fortemente interiorizzato; un amore sincero e puro per tutto ciò che è vita. "Hosianna Mantra" è l’esperire la vita nel mentre di una contemplazione d’amore cosmico. In questo senso, i Popol Vuh passarono da una kosmische musik claustrofobica e futurista a una kosmische musik ecumenica e sacrale, che anticipava certa new age immaginifica.
Il disco si divide in due parti: "Hosianna Mantra" e "Das V Buch Mose". L’apertura è affidata a "Ah!", che inizia con una sonata per pianoforte romantica e minimale sulla quale si adagiano note fluttuanti di chitarra e tamboura. Il finale presenta una vertiginosa fuga per pianoforte e chitarra elettrica. Il secondo pezzo è il Kyrie, litania cristiana facente parte della messa cantata, che si distende su un’aria bachiana per violino, piano e soprano.
Il simbolo della poetica religiosa dei Popol Vuh è, però, la title track, l’Hosianna-Mantra. È in questa lunga jam metafisica che si condensano perfettamente due tipi di ritualità distanti fra loro: l’inno a Cristo (l’Osanna) e la liturgia induista costituita dalla ripetizione continua di una stessa formula o parola (il mantra). Un piano sognante e una chitarra psichedelica compongono la tessitura armonica che sorregge gli echi barocchi dell’oboe e la salmodia di Djong Yun.
La seconda parte si ispira alle narrazioni bibliche del V libro di Mosè: "Abschied" si consuma nel pianto di gioia dell’oboe segnato da una malinconica purezza; il canto di benedizione di "Segnung" si presenta come un lied ieratico di leggiadria inaudita. Infine, incastonata tra i due brevi intermezzi di "Andacht", si trova la gemma ineffabile intitolata "Nicht Hoch Im Himmel": emanazione di una luminosità oscura, donatrice di una sofferente quiete, figlia di una triste gioia, questa composizione risulta, nella sua atmosfera, un vero e proprio ossimoro capace di toccare il fiore delle tenebre e della luce.
La ristampa di "Hosianna Mantra" del 2004 ad opera della SPV include anche il pezzo "Maria (Ave Maria)", in origine inclusa in un 45 giri insieme a "Be In Love". Il fascino dei testi sacri continuerà ad ammaliare Fricke, che comporrà altri lavori di rock religioso; tuttavia, nemmeno nelle pur valide colonne sonore composte per i film di Werner Herzog, i Popol Vuh raggiungeranno più le vette di questo silenzioso capolavoro.
27/09/2007