Amato e odiato, Marco Castoldi, in arte Morgan è, rispetto al panorama musicale italiano, una figura tanto ingombrante quanto sfuggente, dispersa tra innumerevoli identità: rocker, dandy decadente, scrittore, protagonista del gossip, enciclopedista musicale, star della Tv popolare, mattatore del Premio Tenco. Nessuno come lui sembra capace di giostrare tra tanti linguaggi e stili comunicativi diversi, rimanendo miracolosamente indenne. Per districare la complicata matassa, si rende necessario quindi partire dall'aspetto che del "fenomeno Morgan" rappresenta il principio e la fine, l'alfa e l'omega: ovvero, semplicemente, la musica.
Monza, 1986, Marco Castoldi (Morgan) incontra Andrea Fumagalli (Andy), dando inizio a una amicizia che li legherà nel corso degli anni. A completamento numerico c’è un loro conoscente, Fabiano Villa. Nel 1989 riescono a strappare un contratto alla Polygram, passando così alla ragione sociale Golden Age. Nel 1990 viene rilasciata la loro prima creazione: “Chains”, seguita dal primo videoclip, realizzato per il singolo “Secret Love”. L’anno seguente la band si disgrega portando Morgan e Andy verso i futuri Bluvertigo.
Nel 1992 Morgan, con l’aggiunta del chitarrista Marco Pancaldi, produce nuovo materiale che sarà usato dalla band. La formazione viene definita con Andy (tastiere, sassofono, sintetizzatore) e Stefano Panceri (batteria). Dopo il precoce abbandono di Panceri, viene in aiuto Sergio Carnevale, incontrato a un concorso musicale tenutosi a Monza nel locale Incantesimo. Nel 1994 l’uscita del singolo “Iodio” sancisce l’esistenza dei Bluvertigo. La canzone vale la partecipazione a Sanremo Giovani dello stesso anno, da cui provengono i primi consensi da parte della critica.
Il 1995 è l’anno dell’uscita di Acidi e Basi, primo capitolo della cosiddetta trilogia chimica. Il concetto è spiegato da Morgan così : “Ci sono dei legami tra la musica pop e la chimica. Il pop è quel genere che permette di assemblare elementi, elementi chimici in questo caso, e di creare delle molecole, a questo punto si possono prendere dei gas nobili, si può prendere qualsiasi tipo di atomo e costruire delle molecole”. In particolare i tre album hanno riferimenti chiari alla chimica, a partire dai titoli. Infatti “Acidi e Basi” rappresenta lo scontro degli elementi opposti e anche un inizio, Metallo Non Metallo è il durante, con la sua struttura palindroma (la o centrale, la possibilità di spostare le parole ai lati senza effetto), e Zero la fine, l’annullamento, l’impalpabilità fisica.
Acidi e Basi rispecchia fino a un certo punto gli schemi del classico disco d’esordio. Sono presenti chiari rimandi agli stili tipici dell’epoca, in primis al grunge, che in quegli anni stava monopolizzando il panorama musicale internazionale. La ricerca melodica e la sperimentazione dei suoni non si spingono avanti tanto come avverrà in futuro, tuttavia nel corso delle dieci canzoni si possono ritrovare spunti di un certo interesse. Le dissonanze chitarristiche spesso dipingono quadretti pop di grande fattura (la toccante “I Still Love You”, la psichedelia sognante di “L.S.D. la sua dimensione”), le predominanti strutture chitarra-basso-batteria sono robuste e vivaci, a tratti persino incontenibili (gli spigoli al limite dell'hard di “Iodio”, “Vivosunamela” e “L’eretico”).
Lo stile più liquido e disciolto, segno distintivo delle loro future canzoni, si fa spazio negli episodi centrali del disco. A partire dal geniale lirismo irriverente di “Decadenza”, finiamo per apprezzare il rimaneggiamento di “Here Is The House” dei Depeche Mode, rinominata per l’occasione “Complicità”. Queste due sono fra le migliori canzoni di tutta la discografia, in bilico fra sferzante critica dei luoghi comuni sociali (la prima) e un'accorata dedica all’amore vicendevole (la seconda).
L’intromissione dell’elettronica per ora è davvero minima, l’uso dei sintetizzatori è accessorio e appena percepibile (qualche accenno in “Iodio” e “Decadenza”), nonostante ciò, queste pennellate donano al disco un’aria di artigianato analogico molto seducente. Infine è doveroso sottolineare l’estro esecutivo di Andy al sax, dato che le sue stridenti note acute saranno usate anche in futuro per definire frangenti di stacco melodico spesso decisivi.
Il lato squisitamente testuale di queste dieci canzoni è incentrato sull’ironia beffarda dell'estroso Morgan. Non ancora completamente perso nell’infatuazione per testi più magniloquenti (rappresentata qui con discrezione e tatto da “Storiamediavale”, “Complicità” e “I Still Love You”), presenta versi che rappresentano un’analisi sfacciata di alcuni qualunquismi tipici della nostra società. Si parte con l’ipocrisia del clero (“L’eretico”), passando alla standardizzazione di sentimenti e sensazioni (“Iodio”, “Vivosunamela”), mentre la visione disincantata del mondo e delle abitudini emerge con forza (con la già citata “Decadenza”e “Salvaluomo”). Il ripudio dell’opportunismo materialista, tipicamente adolescenziale, si esprime con originalità e disprezzo (“Il dio denaro”).
Sempre nel 1995 la band apre il concerto milanese degli Oasis, partecipa al festival del primo maggio a Roma e realizza una cover di Franco Battiato, “Prospettiva Nevsky”, in occasione di un disco-tributo al cantautore catanese. I ritmi forsennati di quegli anni costringono Marco Pancaldi all’abbandono per motivi personali, al suo posto arriverà Livio Magnini (già il fonico della band), storico chitarrista che rimarrà in pianta stabile senza pause.
Uscito nel 1997, Metallo non metallo è uno di quei "casi" che nella immobile scena italiana dovrebbero accadere più spesso: una ventata di aria fresca anche rispetto a una scena rock già di per sé in fase di grande rinnovamento. I Bluvertigo si confermano infatti un'alternativa non solo al cantautorato più istituzionale ma anche a chi, nella scena indipendente, cavalca i modelli più o meno tradizionali del rock incentrato sulla chitarra.
La scelta di giocare sull'ibrido con l'elettronica è, considerata a distanza di tempo, del tutto lodevole e innovativa. Una canzone come "Fuori dal tempo" poteva, nel '97, sembrare un elettropop nostalgico o arrivato in ritardo. Nel 2009 suona invece del tutto plausibile, forse perché l'elettronica anni Ottanta, piuttosto che essere semplicemente tornata di moda, è stata in realtà assimilata del tutto solo ora dal vocabolario pop. Oppure la forza del brano è semplicemente quella di essere un gran bel pezzo pop, dalla qualità appunto "fuori dal tempo".
Il video che lo accompagna traina il disco al successo quasi un anno dopo la sua pubblicazione, sfruttando intelligentemente la nascita del canale Mtv Italia. Rivisto oggi il clip appare piuttosto povero, ma l'importante è che allora non lo sembrava affatto, per un semplice motivo: la sorpresa suscitata dal carisma di Morgan e dall'atteggiamento scanzonato e anticonformista della band. Finalmente un gruppo ironico (che non significa poco serio, anzi), dei personaggi non ingessati in pose da cliché rock, ma disposti a inscenare un simpatico balletto, che rimanda, almeno sul piano iconico, a un altro celebre movimento d'arti: quello di Franco Battiato in "Centro di gravità permanente".
Proprio il "battiatismo" è l'altra carta giocata dal gruppo, e consiste nel cercare un'altra via allo scrivere i testi in italiano, possibilmente lontana rispetto alla "poesia" da quattro soldi di tanti rocker convinti di esser vati solo perché versificano nella lingua di Dante. L'alternativa di Morgan è quella di testi linguisticamente vicini alla prosa, ma pronti ad accendersi di citazioni colte e di accostamenti surreali che portano allo straniamento anche del materiale di per sé banale. Addirittura, e i due singoli più famosi dell'album fanno sorprendentemente parte di questa categoria, alcune canzoni propongono strutture "a tesi": "Fuori dal tempo", nella sua leggerezza, attacca un filone, appunto quello delle cose e dei ruoli sociali del tutto anacronistici, per il quale l'Italia può fornire ampi spunti: "Il questionario dei tre giorni è proprio fuori dal tempo/ i professori sono quasi tutti fuori dal tempo...".
I Bluvertigo sono a loro volta fuori dal tempo perché sanno pescare da epoche e stili diversi, per fagocitarli e creare, a colpi di citazioni, qualcosa di nuovo: puro postmodernismo, e ben altra cosa rispetto al revival new wave cui ci siamo abituati in questo decennio, per cavalcare il quale Morgan e compagni sono arrivati troppo in anticipo (o in ritardo?). Resta il fatto che "Il mio mal di testa" e "Oggi hai parlato troppo" cominciano con riff di chitarra decisamente in linea col rock indipendente dell'epoca, ma "Vertigo Blu" è funky rock isterico che arriva dal Bowie di Berlino, "Altre forme di vita" è il pop anni Ottanta di Depeche Mode e Duran Duran, "Cieli Neri" è introdotta dal flauto prog di Mauro Pagani e si potrebbe proseguire a lungo.
Il gioco delle citazioni, bisogna notarlo, non è mai fine a se stesso ma serve a raggiungere risultati specifici. "Cieli neri", con la sua simbiosi di strumenti veri e synth, riesce a essere un raffinato ambiente sonoro prima ancora che una classica ballata romantica. "Altre forme di vita" parte elettronica e poi vede l'inserimento del potente basso del leader, con un effetto in tutto e per tutto dance. Nella sua leggerezza, il pezzo riesce quindi ad abbattere annosi steccati ideologici tra musica alternativa e da ballo, ponendo i Bluvertigo in un'area di contaminazioni simile a quella esplorata dai Subsonica, coi quali non a caso condivideranno il singolo "Discolabirinto" nel '99.
Tutto il suono, denso, organico, freddo, è una mediazione tra le tecniche di registrazione anni Novanta basate sui computer e il desiderio di far rivivere le elaborate produzioni italiane degli anni Settanta: per quanto Morgan ami la wave non ne sposa di certo il minimalismo, optando invece per un gioco infinito di accumuli e stratificazioni, di suono come di senso. Perfetto complemento al contributo proteiforme del leader sono un chitarrismo tecnico quanto funzionale e i deliziosi interventi dei synth di Andy.
Sorge qui però, per la prima volta, il dubbio infinito dei detrattori di Morgan: che tutto questo non sia forse uno sterile esercizio di stile, un cerebrale gioco di collage del vocabolario pop?
Eppure di fronte a tanti sbrodolamenti emotivi post-grunge non può esser sgradito l'autocontrollo e il senso della struttura portato avanti dal personaggio in questo album, tanto più che i momenti viscerali non mancano: per tutti basti il tiro rock di "So Low". Allo stesso modo è difficile non apprezzare i rimandi alla classica, le oasi pianistiche o gli archi di "Ideaplatonica". Il problema non va comunque eluso, perché la band ha davvero qualcosa da dirci tanto che, fedelmente alla base concettuale già posta nel primo album, il disco sembra proporre una sorta di deragliata autobiografia, la descrizione, non tanto il racconto, della condizione del protagonista nella "inquietante scoperta intellettuale della diversità e del dissidio con le cose ovvero la perdita dell'adolescenza". Inquietudine, quindi, ma secondo una accezione positiva di apertura alle cose del mondo che diventa accettazione solo una volta che di queste ci sia riappropriati, avendole rese materia creativa.
Il testamento emotivo dell'album è probabilmente rappresentato dal lungo finale di una "Troppe emozioni" dove il clima si fa liquido e ombroso, tra il basso ruminante del leader, gli arpeggi lisergici della chitarra, le rasoiate del sax, e un Morgan un po' David Sylvian e un po' "The Man Who Sold The World", che canta il senso di vuoto che assale chi ha messo davvero tutto se stesso nella propria opera.
Metallo non metallo è un disco che si appoggia all'indietro per sporgersi avanti (nel tempo): è la stessa operazione, applicata al rock, che Canzoni dell'appartamento cercherà di operare sulla tradizione d'autore italiana.
Sull'onda del successo del disco, il gruppo e il suo leader si trovano coinvolti in una serie di prestigiose collaborazioni con nomi quali Alice, Antonella Ruggero, e, soprattutto Franco Battiato. La partecipazione di Morgan come bassista all'album "Gommalacca" prelude alla comparsata del catanese su Zero dei Bluvertigo, ma sancisce soprattutto l'entrata del Castoldi nella "Serie A" della musica italiana.
Nel 1999 il cerchio si chiude inevitabilmente con Zero - ovvero la famosa nevicata dell'85, opera ambiziosa, mastodontica (più di un’ora di musica) ed estrema, sedici canzoni per un calderone in cui coabitano successi, sperimentazioni, azzardi stilistici. La musica si esprime nella sua massima poliedricità, i testi compiono un ulteriore passo verso la compiutezza finale. Nell’ottica della trilogia chimica Zero rappresenta il compimento finale, l’analisi della non-esistenza e di conseguenza l’approfondimento dei temi ad essa connessi. Siamo di fronte a una prova di forza: alla luce della complessità messa in campo sia dal lato lirico che concettuale, deve emergere la statura artistica della band.
Gli impasti non-sense dai profondi risvolti metaforici trovano sublimazione in ogni traccia, compiendo analisi sociologiche e generazionali di grande pregio. L’esplorazione di inquietudini tipiche come i periodi di crisi o i dubbi esistenziali sono soltanto alcuni degli spunti che si possono individuare (“La Crisi” e “Sono=Sono” ne sono i più chiari esempi). L’ipocrisia del pensiero comune è oggetto di critica in episodi acuti (“Finché saprai spiegarti”, “Comprensione”, “Punto di non arrivo”), mentre in altri frangenti vengono prese di mira le abitudini della gente (“Sovrappensiero”, “Niente X Scontato”). C’è spazio per l’autoironia pungente, spesso fra le righe (“Lo Psicopatico”) o plateale (“Autofraintendimento”).
Infine, vere e proprie apocalissi dialettiche mostrano lati di pura poesia del collettivo, in cui tutti gli elementi corrono dietro alle idee visionarie di Morgan (i flussi di coscienza turbati di “Zero”) o di Andy (i magnifici duetti vocali di “Forse”, scritta ed eseguita in coppia con Morgan).
Passando al lato musicale, c’è da notare non solo il mero sforzo compositivo, ma anche la cura nella scelta dei suoni e delle tonalità. Non solo synth-pop di matrice eighties ma anche riferimenti diversi. I clangori stridenti di “Zero” e “Lo psicopatico” sono chiari rimandi alle dissonanze industrial, la deriva finale di “Forse” ha quasi un sapore improvvisato, lo strumentale “Porno Musik” pare un episodio di puro punk-funk primordiale, “Numero” è un coraggioso esperimento di pop sgraziato.
Dunque, con un’analisi attenta si può andare oltre i rimandi più ovvi, riconoscendo alla band un’attenta consapevolezza del panorama musicale alternativo europeo. Si tratta di musica debitrice nei confronti del passato, ma diretta dalla consapevolezza dei propri mezzi nel presente. Il rispetto verso i modelli si concretizza soprattutto nell’omaggio al nume tutelare David Bowie con la cover di “Always Crashing In The Same Car”. Ancor più valore ha però in questo senso la presenza di Franco Battiato, estimatore della band, che interviene con la sua voce nel finale di “Soprappensiero” e in “Punto di non arrivo”. Dopo la pubblicazione dell’album parte il “Digital Low Tour” abortito in partenza dopo la prima tranche di date. La band realizza collaborazioni con Alice (in “Chanson Egocentrique” per l'album “Personal Juke Box”), e coi Subsonica nel progetto “Zero Volume” (che porta alla realizzazione del videoclip per non udenti della canzone “Discolabirinto”).
Il 2001 è l’anno dell’approdo a Sanremo nella categoria Big con “L’assenzio”. Scritto in coppia con Luca Urbani dei Soerba (della cui band Morgan ha prodotto l’album d’esordio, “Playlist”), il brano stona violentemente con l’atmosfera sobria del festival. Il risultato di questa estraneità è l’ottenimento dell’ultimo posto nella graduatoria. Segue dunque l’uscita della raccolta Pop Tools in cui sono raccolte le canzoni di maggior risonanza mediatica, con l’aggiunta di due inediti mai pubblicati, “L’assenzio” e la splendida “Comequando”. Il video de “L’assenzio”, girato dall’allora compagna di Morgan, Asia Argento, si aggiudica il premio come miglior videoclip al Festival delle etichette Indipendenti di Faenza.
Dal 2001 inizia un periodo di “congelamento” per la band, interrotto in via eccezionale per l’apertura del concerto di David Bowie del 15 luglio 2002, al Summer Festival di Lucca. Da qui in avanti ogni singolo componente dedica le proprie risorse a progetti personali, scongiurando puntualmente lo scioglimento della band. Oltre all’apparizione per la notte di San Silvestro del 2004, gli anni passano e i Bluvertigo non danno segni di vita, generando un’attesa spasmodica da parte dei fan.
Nel 2008 il gruppo si riunisce per un concerto nell'ambito del programma televisivo "Storytellers". Il materiale viene ripresentato in una gradevolissima veste elettroacustica, con un forte retrogusto di Japan e un discreto spazio lasciato ad interventi di Andy al sax decisamente più melodici e sicuri di quelli apparsi sugli album. La canzone più stravolta è sicuramente "La crisi", di cui si dimostra la capacità di reggersi in piedi come semplice ballata per chitarre acustiche. Quello da non perdere è però soprattutto il video, nel quale i tentativi di ricostruire la storia della band da parte della conduttrice naufragano sotto i colpi della logorrea di un Morgan piuttosto sopra le righe e discretamente comico.
Nel frattempo l'eccentrico frontman Marco Castoldi, durante il periodo di congelamento del progetto Bluvertigo, si dedica al suo progetto solista. Canzoni dell'appartamento è l'esordio di Morgan, ma è anche un progetto piuttosto particolare. La svolta verso l'ambito cantautorale è netta, la voglia di intimità forse prevedibile, ma la soluzione scelta dal cantante per soddisfare queste premesse è del tutto in linea con lo stile Bluvertigo.
Portando avanti il concetto di "auto-cover", Morgan presenta una serie di canzoni immerse in arrangiamenti e atmosfere raffinatamente retrò, che fingono di arrivare direttamente dagli anni Cinquanta e Sessanta italiani, presentandosi come dei classici perduti nelle pieghe della memoria.
Invece si tratta in realtà di brani profondamente moderni, ma semplicemente svincolati dal confronto con quanto accade nella musica del 2003, nel tentativo di recuperare l'autentica classicità dell'artigianato musicale italiano. In certi momenti la sensazione di assistere a un "ritorno all'ordine", rispetto alla bulimia sonora dei Bluvertigo è piuttosto forte, però questo è un sincero bagno purificatore, e l'altrettanto onesta presa d'atto, da parte di un cantante italiano, del fatto di non poter ignorare la tradizione musicale del nostro paese, restando per sempre ancorato a riferimenti esteri.
Si tratta anche ovviamente di una dichiarazione di maturità rispetto alla ingenua esterofilia giovanile. Il primo e più riuscito di esempio di questa ricerca di classici moderni è "Altrove", una ballata rock che sembra arrivare dagli anni Cinquanta eppure è evidentemente il manifesto del nuovo corso di un Morgan capace di librare il suo crooning sulle ali di un sognante accompagnamento d'archi a far capire che d'ora in poi la melodia andrà vissuta soltanto nella sua purezza più cristallina, senza più pudori e debiti di appartenenza alla scena rock. "Svincolarsi dalle convinzioni, dalle pose e dalle posizioni/ lascio che le cose mi portino altrove". Il risultato è un brano che sembra essere esistito da sempre, tanto immediato sul piano melodico quanto teatrale nel suo declamare lo smarcarsi del protagonista, paradossalmente mai così vicino a David Bowie e contemporaneamente mai così italiano. La voglia di pulizia e di musica vissuta nella sua più pura essenza sonora si trovano anche nel brano più propriamente rock, il glam giocoso di "The Baby", che racconta della bimba avuta dalla sua compagna con la stessa grazia anticonformista di quel gioiellino bowiano che è "Kooks".
L'altro manifesto del disco è "Aria"dove, l'accompagnamento, costituito all'inizio da una soffice chitarra e dal pianoforte, si apre man mano al respiro struggente degli archi. Il cantante si produce in una delle sua prove vocali più convincenti, in un'atmosfera di sognante romanticismo che dà il tono all'intero album, evidentemente incentrato sui sentimenti ispirati da una relazione amorosa.
Calore, pulizia dei suoni, sentimenti riportati con naturalezza cristallina: è questa la formula presentata anche da una "Non arrossire" con testo di Giorgio Gaber.
Uno dei punti di riferimento per una operazione simile può essere forse il Battiato che, in "Fleurs", fa rivivere la canzone d'autore anni Sessanta (nel suo caso non solo italiana ma anche francese) nelle vesti di nostalgiche romanze classicheggianti. Morgan però non vuole far rivivere le canzoni del passato, ma il loro suono, e vuole creare canzoni nuove come se fossero state create allora. Si tratta quindi dell'esatto contrario di una attualizzazione, ovvero un proiettarsi all'indietro per emergere con qualcosa di completamente diverso.
Ancora una volta ci si può chiedere se non si tratti di un raffinato esercizio di stile, ma se la voglia di romanticismo e dolcezza non fossero autentici, il cantante non riuscirebbe a instaurare il feeling che dimostra con queste atmosfere. La vera passione è però quella verso il fatto tecnico, verso il processo del costruire musica calandosi tra gli strumenti maneggiati dagli autori dell'età d'oro del pop. La principale ragion d'essere di molti brani è quindi costituita dal grande gioco di arrangiamenti che Morgan riesce a mettere in campo, dilettandosi a rispolverare vari strumenti a tastiera tipicamente legati agli anni Sessanta-Settanta (l'organo hammond, il wurlitzer, il mellotron), insieme al lusso di accompagnamenti di archi e fiati. In una canzone come "Crash" sono gli interventi orchestrali a dare vita al brano, permettendogli di aprirsi in un ampio respiro melodico. E' questo territorio che Morgan intende esplorare, e lo fa con grande gusto e senso della misura, senza mai cadere nel kitsch o nel polveroso. E' questo un pericolo, che, durante l'ascolto, mentre si è presi sempre più nelle spire ipnotiche dei vari brani, non viene nemmeno avvertito. Notevoli allora sono il lussureggiante arrangiamento di archi sintetici e lo struggente pianoforte che accompagnano "Me" fino a una coda quasi solenne, il carillion giocoso di violini e chitarre acustiche che trasformano la bucolica "If" dei Pink Floyd in quel singolo pop che non è mai stata, il clima sospeso di una "Italian Violence" giocata tra stasi punteggiate dal pianoforte e improvvise folate degli archi.
"Heaven In My Cocktail"è un invece un acido brano da ballo dove i suoni vintage dell'organetto (soprattutto sul ritornello) si accostano a un basso fortemente distorto e a un'attitudine più aggressiva di quel che potrebbe sembrare. "La ragione delle piogge" è invece un brano intimo, prettamente cantautorale, accompagnato da una vera e propria orchestra, oltre che dal solito corredo di organo e mellotron, a stabilire il giusto tono sognante e psichedelico. "Canzone per Natale" è infine una dolce ballata pianistica, che sembra suggellare l'incantesimo di un disco che esiste davvero in una zona priva di punti di riferimento, e soltanto in virtù della passione di un grande catalogatore della musica del passato.
Nessuno si stupisce che, con una impostazione come quella sopra descritta, Morgan sia naturalmente portato per l'arte della cover, ma certo è davvero originale la scelta di rifare per intero Non al denaro, non all'amore né al cielo di Fabrizio De André del 1971, ispirato all'"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters. L'opera è stata "commissionata" e appoggiata da Dori Ghezzi, compagna di De André, allo scopo di far riscoprire alle giovani generazioni una delle prove più riuscite del cantautore genovese, che nell'occasione aveva collaborato con Nicola Piovani per la composizione delle musiche. La versione di Morgan e del suo gruppo, che vede già l'innesto di vari elementi poi presenti in Da A ad A, è piuttosto fedele e rispettosa, sia nell'interpretazione sia negli arrangiamenti, che aggiungono sfumature ora classicheggianti ora elettroniche secondo l'eclettismo manifestato nel primo album.
Vertice dell'album è la corposa rilettura di "Un ottico", che già presentava un arrangiamento di per sé "rock", dove quindi può unire i suoi due amori: la canzone italiana e la psichedelia inglese degli anni Sessanta. In tutto il disco il pathos viene reso in modo piuttosto sottile, e non è difficile ipotizzare l'identificarsi di Morgan, come già di De André, nei versi del "Suonatore Jones": "E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare/ suonare ti tocca per tutta la vita/ e ti piace lasciarti ascoltare".
Il secondo album solista, intitolato Da A ad A, è in tutto e per tutto una estremizzazione del primo. Fin dall'inizio di "Amore assurdo" è infatti chiaro che la prosaicità dei testi, arma efficacemente usata da Morgan contro la falsa "poesia" di tanti cantautori fin dai tempi dei Bluvertigo, è diventata logorrea strabordante. Allo stesso modo gli arrangiamenti, che ripropongono sonorità classicheggianti, strumenti vintage, orchestra (ma anche l'aggiunta dell'elettronica di Megahertz) non hanno perso la grazia nel loro procedimento d'accumulo e presentano ora un vero e proprio "muro di suono" dove ogni spazio per respirare (ricordate "Aria"?) è stato riempito.
Sarebbe ingenuo imputare questi elementi a un semplice errore di Morgan, così come è ridicolo pensare che non si sia accorto che un brano come "Storia d'amore e di vanità" è piuttosto greve. L'ha fatto apposta, perché l'eccesso e la gravezza non sono più per lui possibilità precluse. Allo stesso modo l'enfasi melodrammatica di certe interpretazioni tende a portare il sentimento d'amor perduto a un estremo per cui è, in un certo senso, neutralizzato. In questo caso è evidente come il disco sia una terapia più utile al suo facitore (reduce dalla rottura con la compagna, il cui nome è identificabile con una delle A del titolo, mentre l'altra è l'iniziale del nome della figlia) piuttosto che all'ascoltatore.
Non si può non notare, però, come questo album esprima con più coraggio (e meno senso della misura) rispetto al precedente l'adesione a un filone che sta del tutto all'opposto del minimalismo sulla cui linea si muove gran parte del panorama pop-rock nostrano, e invece dedito a una musicalità assoluta e complessa, alla pienezza degli arrangiamenti. Insomma, Morgan ha scordato il post -punk ed è tornato all'arte pop anni Sessanta, a quelle vesti sonore ricche di archi laddove si possono incontrare le tendenze classicheggianti tipicamente italiane e certe bizzarrie barocche del panorama anglosassone.
Così come in Canzoni dell'appartamento la sensibilità è comunque moderna, anzi, qui la crisi sentimentale esaspera i toni, come si nota nei brani più aggressivi, come "La cosa", che inizia con chitarre distorte per poi continuare nel carillon di un ritornello quasi demenziale. La giocosità di "The baby" si trasforma invece, in episodi come "Anomali familiari" e "U blue", in una stranezza psichedelica piuttosto disturbante, tanto che la cupezza elettronica di una "Liebestod" ("armonicamente partorita dal primo e dall'ultimo accordo dell'opera 'Tristano e Isotta' di Riccardo Wagner") sembra al confronto un ambiente rassicurante.
In generale la sensazione è che non molti brani riescano ad arrivare in alto dove vorrebbero, che non sempre si riesca a trasformare l'amalgama di infinite parti e spunti musicali in un effetto organico e compiuto, al di là dell'effetto di stupore e sorpresa destato dalle singole trovate. Tra questi episodi è da segnalare "Da A ad A", col suo alternarsi di strofe ombrose punteggiate dal basso e ritornelli festosi con svolazzi di fiati e nel quale riesce a funzionare anche la vena "verbosa"del Morgan cantante. Abbastanza lineari anche il pop-rock del singolo "Tra 5 min." e la ballata noir di "Demoni nella notte", ma la sensazione è che la verità su questo disco sia meglio espressa dalla conclusiva "Contro me stesso": "Non ho nulla da preservare o centellinare... o ambizioni di perfezione/ io non simulo il mio progresso/ perché son contro me stesso".
In generale, si tratta di un disco consapevolmente imperfetto, che sceglie la strada dell'eccesso e dell'errore per arrivare a una sorta di stralunata verità e, a suo modo, di coerenza. Il risultato è decisamente più rock e più fisico, anche in fatto di corposità dei suoni, rispetto alla astrattezza del precedente, e il disco sicuramente si pone come un vero e proprio oggetto misterioso, un freak in un panorama musicale che va, tanto per cambiare, da tutt'altra parte. Anche chi non apprezza l'album dovrebbe ammettere che servirebbero più traiettorie eccentriche come questa, soprattutto in un contesto musicale dove i grandi nomi giocano sempre sul sicuro. Il disco infatti tratta uno dei topoipiù abusati della Canzone, la catastrofe sentimentale, senza cadere mai nei soliti patetismi italiani, bensì muovendosi sul filo di una deragliata autoironia.
L'insuccesso (ammesso che si possa ancora usare questo termine in un momento dove il mercato della musica sta letteralmente scomparendo) di questo disco è la premessa della partecipazione di Morgan al programma televisivo "X-Factor" e quindi della sua esplosione come personaggio mediatico. Ogni considerazione sul significato di questo secondo lavoro sarebbe qui fuori luogo, ma si può sicuramente auspicare che la fama televisiva non faccia dimenticare un disco notevole come Canzoni dell'appartamento e anche questo suo successore, imperfetto quanto straniante e coraggioso.
Dato il processo descritto finora, sembra quasi inevitabile il disco di cover Italian Songbook Vol.1., del 2009, anche se le modalità seguite da Morgan sono più complesse di quelle di un semplice "Fleurs" di Battiato.
Dunque, nell'album ci sono cinque canzoni italiane rifatte dal cantante: "Il mio mondo" (Bindi-Paoli), "Resta con me" (Modugno), "Lontano dagli occhi" (Endrigo), "Il cielo in una stanza (ovviamente di Gino Paoli), "Qualcuno tornerà" (Ciampi). Poi ci sono altrettante versioni in inglese degli stessi brani, quattro delle quali sono "d'epoca" (cioè eseguite negli anni 60-70), mentre una (quella di Ciampi) è stata realizzata appositamente dallo stesso Morgan. In più ci sono una "Back Home Someday" firmata Endrigo (e solo in inglese) e una strumentale "Invenzione per orchestra d'archi" scritta da Morgan e dal direttore d'orchestra Stefano Barzan.
Mentre cercate di raccapezzarvi riguardo allo stralunato concept, possiamo osservare che sicuramente a qualcuno l'album sembrerà un'estensione del lavoro svolto da Morgan per "X Factor" (dove si occupa di approntare una serie di infinite cover, di brani italiani e stranieri). Si potrebbe però obiettare che, al contrario, sia il programma che il disco siano figli di una passione per i rifacimenti di brani altrui che risale ad Acidi e basi ("Here Is The House" dei Depeche Mode, ma anche "La Prospettiva Nevskj" di Battiato). L'intento sembra sempre lo stesso: costruire un ponte tra il pop inglese degli anni Sessanta e quello italiano contemporaneo, dimostrando il respiro internazionale di quest'ultimo. Forse, addirittura, allo scopo di suggerire alla Canzone italiana un ideale punto da cui ripartire.
Nei brani è evidente l'interesse di Morgan per la teatralità di certa canzone melodica, quindi è inutile pretendere di esserne coinvolti emotivamente. L'importante per l'autore è il piacere (anche l'esercizio intellettuale) di giocare con la musica, manipolandola attraverso il ventaglio ormai ampio di strumenti linguistici a sua disposizione. Paradossalmente il godimento è più immediato e sicuro nel caso del rifacimento di brani altrui, dove quindi non sono in gioco l'autobiografia e il coinvolgimento in prima persona. Ecco quindi che la bella e animata "Back Home Someday" sembra provenire quasi dai Bad Seeds di "The Good Son", mentre i pezzi in italiano sono contraddistinti da classicità e senso della misura, sia negli arrangiamenti che nelle interpretazioni.
I brani in inglese sembrano interpretati con un taglio più da crooner, ma sinceramente il fatto di essere quasi spinti a un confronto tra le due versioni è fastidiosamente didascalico, neanche si fosse "a scuola di cover" dal professor Morgan. Dovendo assegnare la palma dell'impresa peggiore, bisognerebbe segnalare "Il cielo in una stanza", piuttosto inutile in italiano e persino un po' ridicola, a causa del testo, in inglese. Molto meglio i brani firmati Endrigo e Ciampi.
In generale resta il rimpianto di non poter sentire la continuazione del percorso curioso intrapreso coi due album di inediti. Pare però che l'instancabile uomo sia anche al lavoro su un nuovo disco dei Bluvertigo, quindi sarebbe ragionevole che i suoi nuovi pezzi autografi fossero destinati al ritorno della band. Peccato che, secondo il diretto interessato, l'album in questione sarà pronto "nel 3000": è innegabile quindi che nel suo catalogo di chi è "fuori dal tempo", Morgan possa ormai, con orgoglio, inserire anche se stesso.
BLUVERTIGO | |||||
Acidi e basi (Sony, 1995) | 7 | ||||
Metallo non metallo (Sony, 1997) | 8 | ||||
Zero (Sony, 1999) | 7 | ||||
Pop Tools (Sony, 2000) | 7 | ||||
Mtv Storysellers (Sony, 2008) | 7 | ||||
MORGAN | |||||
Canzoni dell'appartamento (Sony, 2003) | 7,5 | ||||
Non al denaro, non all'amore, né al cielo (Sony, 2005) | 6 | ||||
Da A ad A (Sony, 2007) | 6 | ||||
Italian songbook (Sony, 2009) | 5,5 |
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