Alice

Alice

Le canzoni di Carla

Dalla canzone leggera degli esordi all'imprevisto trionfo sanremese. Dal sodalizio con Franco Battiato alla evoluzione internazionale che l'ha portata a collaborare con musicisti di rango mondiale. La parabola di Carla Bissi alias Alice, cantautrice forbita e sfuggente, alla perenne ricerca della "realtà oltre l'apparenza"

di Claudio Fabretti

Lunghi capelli scuri sul bel viso altero, occhi spiritati e movenze sprezzanti, a enfatizzare l'invettiva al fiele intonata dal suo possente contralto. Non è propriamente "una cantante da Sanremo" quella che si presenta sul palco del Teatro Ariston il 5 febbraio 1981. Eppure sarà proprio lei, la tenebrosa Alice, ad aggiudicarsi il trentunesimo Festival della canzone italiana. Merito suo, e di una canzone, "Per Elisa", cucita su misura per lei dall'amico e maestro Franco Battiato. Un trionfo ancor più stupefacente se si pensa che a contenderle l'alloro erano pezzi come "Maledetta primavera" (Loretta Goggi), "Sarà perché ti amo" (Ricchi e Poveri) e "Ancora" (Edoardo De Crescenzo), che, oltre a divenire futuri evergreen della musica leggera italiana, possedevano ben più consistente appeal per i consueti canoni melodici sanremesi.
Non la solita amante devota o irrimediabilmente sconsolata, dunque, ma una ragazza forte e indipendente, che sputa in faccia al suo partner un fiume di rabbia e rivendicazioni. D'accordo, era il 1981, ma eravamo pur sempre in Italia, e per di più a Sanremo, nel tempio della tradizione. Molti infatti storceranno la bocca. Così come per la debuttante Fiorella Mannoia, che, nella stessa edizione, proclamerà la sua autosufficienza sessuale ("Io mi basto da sola") in "Caffè nero bollente".
Non ci sono più le brave ragazze di un tempo...

(Non) volevo essere i Pooh

La vicenda artistica di Carla Bissi alias Alice, però, inizia qualche anno prima. Gli esordi ne mettono in luce il talento di interprete, in possesso anche di un importante background classico, ma non le regalano la confezione giusta. È vera gavetta, e neanche delle più rapide.

La giovane Carla Bissi da Forlì, classe 1954, debutta nel 1971 a Castrocaro, dove si aggiudica il Concorso per Voci Nuove interpretando "Tanta voglia di lei" dei Pooh. Il "titolo" le vale la partecipazione di diritto al successivo Festival di Sanremo col brano "Il mio cuore se ne va", scritto da Memo Remigi, ma è un flop: non arriva nemmeno in finale. Eppure il talento c'è, e se ne accorge un anno dopo quella vecchia volpe di Franco Califano, che le regala un brano ("La festa mia") facendole vincere La gondola d'argento, a Venezia. Nel 1973 esce un terzo 45 giri, con "Vivere un po', morire un po'", cover tradotta da Giorgio Calabrese di "My My She Cries" di Carole King, e "Il giorno dopo", versione italiana di "The Morning After", colonna sonora del film "L'avventura del Poseidon": non se ne accorgerà nessuno.
Sembra la fine precoce della carriera musicale di Carla Bissi, che abbandona le scene e si rintana in uno studio di design.

Carla Bissi - AliceDue anni dopo, però, la resurrezione. Al posto di Carla Bissi c'è ora l'algida (quantomeno nel moniker) Alice Visconti. La CBS la scrittura, affidandola però a un entourage che non autorizza a sognare: il produttore Giancarlo Lucariello e tutto il team dei Pooh, che la inchiodano a una formula di canzone soft-pop stantia, di cui è espressione il suo primo Lp ufficiale, La mia poca grande età. Un concept-album sulla crescita di una ragazza, dall'adolescenza alla maturità, in cui la voce (unico elemento degno di nota) è soffocata da una parte musicale ridondante, tra archi e melodie grevi. Almeno una traccia, però, funziona, è "Io voglio vivere", che spopolerà in Francia nella versione di Gerard Lenorman, "L'Enfant des Cathèdrales".
Anticipato da due 45 giri di discreto successo ("Piccola anima" e "Un'isola"), nel 1978 arriva il bis con Cosa resta... un fiore, prodotto sempre dallo stesso staff. Altra conferma delle intense capacità interpretative di Alice, qui anche al piano, ma con un sound stucchevole, che tenta di farne una sorta di versione femminile dei Pooh. "E respiro", il singolo estratto, porta la firma di Riccardo Fogli.
Sono due album che niente hanno a che vedere con il prosieguo della carriera di Alice, che arriverà a dirsene persino "disgustata".

Chansons égocentriques

È il 1980 l'anno della svolta. A far decollare la carriera di Alice (ormai senza più il cognome Visconti) è il passaggio alla Emi, con relativo cambio di team.
L'incontro decisivo è quello con Franco Battiato e con i suoi più fidati collaboratori del periodo: Francesco Messina, Angelo Carrara e Giusto Pio. Il compositore siciliano si dedica agli arrangiamenti e porta in dote il suo geniale "avanguardismo pop". È l'abito giusto per le interpretazioni altere e impetuose della cantante romagnola. Ne è una splendida dimostrazione il singolo "Il vento caldo dell'estate" dalla struttura tripartita, con un prologo scandito da una ritmica ossessiva, sostenuta dalle tipiche tastiere di Battiato, un refrain introdotto dai timpani e sottolineato enfaticamente dall'organo, e una coda più convenzionale, con la chitarra a riprodurre il ritornello. Per di più il brano ha un ritornello da acchiappo immediato (altra virtù di Mastro Battiato), che gli vale un posto in classifica e la partecipazione al Festivalbar.

È il singolo giusto per trainare Capo Nord, un album interessante, che anticipa molte novità che la scuola-Battiato introdurrà nel pop degli anni 80: dall'uso intensivo dell'elettronica ai testi ambiziosi e ai ritornelli solenni.
Alice ora è finalmente a suo agio e può esprimere al meglio la sua sensibilità di cantautrice delicata e intimista, attraverso pannelli di vita appartata e quadretti di malinconia autunnale (su tutti "Una sera di novembre", con un bell'arrangiamento di pianoforte ad assecondare una dolcissima melodia). Episodi come "Bazar" e "Sera" svelano anche la peculiare ricerca sui testi, molto sofisticati e spesso all'insegna di un tagliente nonsense.

Non è quindi una sconosciuta, l'Alice di "Per Elisa", ma neanche una star affermata. Il successo sanremese, invece, le dona un'incredibile popolarità, quasi frastornante, per un personaggio timido e schivo come lei. Faticherà, infatti, a reggere la parte, giungendo presto ad appartarsi nuovamente, ma, stavolta, forte di una proposta musicale raffinata e inevitabilmente più elitaria.

L'omonimo Alice del 1981 è comunque un album di successo, che alterna pezzi pop-wave d'impatto ad altri più votati alla sperimentazione.
Il singolo "Per Elisa" esalta la straordinaria performance vocale di Alice, supportata da densi strati di tastiere e da una robusta ritmica basso-batteria. Drumming che scandisce anche la successiva "A Te", impreziosita da una intro di clarino, lo strumento che torna alla ribalta anche su "Non ti confondere amico", altro perfetto connubio tra la voce Alice e le tastiere avvolgenti di Battiato. "Non devi avere paura" è un'altra declamazione tenebrosa e drammatica.
Ma il vero capolavoro aggiunto del disco è "Una notte speciale": un testo dalle tipiche fascinazioni esotiche à-la Battiato ("Strane donne col ventre offeso/ danzano sui tacchi a spillo/ Danzano questa notte/ intorno a un fuoco immaginario/ Zingari coperti d'oro/ zingari che sono senza tempo") si sposa a una melodia prodigiosa e ad arrangiamenti sintetici molto simili a quelli che faranno la fortuna di "La voce del padrone" un anno dopo. Alice aggiunge la consueta interpretazione da brividi, col suo registro cupo e solenne.

Sarà proprio "Una notte speciale" a lanciarla in Germania, dove entrerà in classifica per due anni e resterà a lungo una beniamina di critica e pubblico (forse anche più che in patria). È l'occasione giusta per il suo primo tour europeo.

Alice con Franco BattiatoNell'estate 1982 esce il singolo "Messaggio", un anthem power-pop propulso da un inedito (e forse inopportuno) sassofono, che fa breccia nelle classifiche e apre la strada al nuovo album Azimut. Più orecchiabile rispetto ai due predecessori, il disco non rinuncia agli spunti audaci, soprattutto nella title track: un lied pianistico dall'ispida trama melodica, in cui il vocalismo di Alice si fa ancor più acrobatico nel narrare una storia di schizofrenica alienazione domestica ("Sono l'angelo della casa io/spolvero, rammendo i calzini, cucino... Sono il diavolo della casa io/di una stella annullata l'Azimut"). Tuttavia prevale la sensazione di un parziale cambio di rotta rispetto alle nevrotiche atmosfere wave di "Per Elisa". Ecco così farsi strada refrain più lineari e banalotti ("A cosa pensano"), un reiterato uso del sax ("Animali d'America") e cadenze rock più serrate ("Deciditi"). Tentativi di "emancipazione" dal Battiato-sound che sembrano però snaturare l'essenza di Alice.
Meglio, semmai, le collaborazioni con Eugenio Finardi, che cura gli arrangiamenti della ballata "La Mano" e firma la perla folk-pop di "Laura Degli Specchi", altra interpretazione di razza, griffata da un bel finale di violino.
A suggellare l'ormai triennale sodalizio Alice-Battiato provvede "Chanson Egocentrique", gustoso pastiche di non-sense in salsa sintetica, in cui per la prima volta i due cantano insieme. L'esperimento si ripeterà nell'altro duetto, stavolta più lirico, de "I treni di Tozeur" (presentata in coppia anche all'Eurofestival), che però sarà anche il canto del cigno di una collaborazione che ad Alice è valsa forse una carriera, ma che ha sempre vissuto come una sorta di ingombrante "tutela". Avrà modo di sdebitarsi negli anni con una serie di piccoli "omaggi".

Battiato si congeda, ma Alice non resta sola. Scortata dalla produzione e dalla supervisione degli immancabili Angelo Carrara e Francesco Messina, la cantautrice di Forlì dà alle stampe Falsi Allarmi (1983), quarto lavoro in studio in quattro anni.
Emerge la volontà di inseguire nuove strade, ma senza ancora una precisa direzione.
Il mid-tempo di "Solo un'idea" ruota su melodie vagamente sixties, trafitte da un celere assolo di piano elettrico; "Notte a Roma" è una ballad un po' patinata, col suo mix di percussività acustica ed elettronica. Più incisiva, semmai, "La canzone più bella": intro al piano, cui presto si sostituisce un synth tetro, e altra incredibile performance vocale, su vette sempre più erte e vertiginose. Osa anche "Il profumo del silenzio", filastrocca sinistra, aperta da rumori di animali e poi rinchiusa al buio di una stanza impenetrabile, tra specchi, libri e bambole.
Altri brani girano più a vuoto: "Osanna" prova a rifare la wave col coro à-la Battiato (con i madrigalisti di Milano), "Carthago delenda est" spinge su ritmi latini, caracollanti e gioiosi, "Per favore non è amore" è un recitato cadenzato su basso e batteria. Nel complesso, un disco che conferma l'acquisita maturità compositiva dell'ormai "indipendente" Alice, ma ne denota anche qualche incertezza di troppo.

Come se l'ombra di Battiato aleggiasse ancora, giunge la raccolta dei Gioielli Rubati (1985), in cui Alice omaggia il compositore catanese con una serie di cover. "Prospettiva Nevskij", "Luna indiana" e "Un'altra vita" trovano nuove, interessanti chiavi di lettura negli arrangiamenti di Roberto Cacciapaglia. L'opera vale ad Alice il premio Tenco come migliore interprete. 
Il tributo al "maestro" sancisce la fine della fase finora più esaltante della carriera di Carla Bissi, passata in un lustro da acerba interprete della canzone leggera a forbita cantautrice d'elite, amata anche dal pubblico. Un pubblico ormai europeo, come confermato dal successo di "Zu nah am feuer", duetto con il cantautore tedesco Stephen Waggershausen che scalerà le hit parade del Vecchio Continente.

Suoni senza frontiere

Alice, che ha già colpevolmente rifiutato un'offerta dalla Capitol americana perché l'avrebbe obbligata a rimanere tre anni fuori dall'Italia, comprende di avere ormai una dimensione internazionale. Tra i suoi sogni inconfessabili, c'è quello di farsi produrre un disco da David Bowie o da Peter Gabriel. Quello che forse non sa è che presto le si apriranno le porte di collaborazioni internazionali tra le più prestigiose che una cantante italiana si sia mai potuta permettere.

Il primo "supercast" si riunisce al Park Hotel nel 1986. Ci sono i musicisti prediletti proprio da Peter Gabriel - Tony Levin al basso e Jerry Marotta alla batteria - e un mostro sacro come Phil Manzanera (Roxy Music) alla chitarra, ma anche un formidabile musicista italiano come Michele Fedrigotti (piano e tastiere). Il tutto sotto la regia di Francesco Messina, da qui in poi vero deus ex machina di tutte le produzioni di Alice. Ne scaturisce un nuovo sound, più profondo e percussivo, con ariosi arrangiamenti di synth e tonalità colorate, vicine a certa world music in voga nel periodo.
Il capolavoro dell'album, però, porta la firma di un altro personaggio destinato a segnare l'opera di Alice: Juri Camisasca. Artista fuori da ogni schema, schivo e solitario (si è ritirato per 11 anni in un monastero benedettino in Umbria), già collaboratore di vecchia data di Battiato, Camisasca regala ad Alice il primo di una collezione di gioielli: "Nomadi". Il testo, mistico ed evocativo, trova nel registro solenne di Alice il suo veicolo ideale, una melodia mediorientale si distende incantevole, ben puntellata dalla sezione ritmica, fino al climax strumentale dell'epilogo. Battiato la ripresenterà due anni dopo con nuovi arrangiamenti (più elettronici, ma altrettanto interessanti) su "Fisiognomica". L'altra prodezza è "Volo di notte", suadente ballata avvolta in coltri di synth e arrangiata con una classe che rasenta i Roxy Music di "Avalon".
Raffinate nel sound e nei testi anche l'iniziale "Il senso dei desideri" e la crepuscolare "Viali di solitudine".
Tutto è molto lieve, sobrio ed elegante nella forma, anche quando la scrittura è meno brillante ("Conoscersi", "Città chiusa", "Nuvole rosse"). La soffice "Luci lontane" era stata concepita per un'altra collaborazione, mai avvenuta: quella con Kate Bush.

La "nuova" Alice è una chanteuse colta ed ermetica, che ripudia la stardom e gli artifici degli anni 80. Così Elisir (1987) giunge a dotare di nuova veste anche i successi del passato, prosciugandoli d'ogni enfasi e riarrangiandoli in chiave più consona al suo sound attuale. Un'operazione che le vale in Germania (ormai sua seconda patria) il premio della critica. Alice vince anche il Goldenen Europe, mentre in Giappone esce un'altra raccolta, Kusumakura, che attinge proprio dagli ultimi due Lp.

Ancor più ambiziosa l'incursione neo-classica di Melodie passeggere (1988), che racchiude lieder di Satie, Ravel e Fauré interpretati da Alice in teatri e conservatori, con l'accompagnamento al piano di Michele Fedrigotti.

AliceAnche quel poco che in Park Hotel era ancora approssimazione si traduce in magia su Il sole nella pioggia (1989), l'album che porta a compimento un triennio di sperimentazioni, collocandosi al vertice dell'intera discografia di Alice.
Certo, il cast è davvero straripante: Steve Jansen e Richard Barbieri (ovvero metà dei Japan), due straordinari trombettisti come Jon Hassell e Paolo Fresu, Dave Gregory degli Xtc alla chitarra, Jan Maidman (Penguin Cafe Orchestra) al basso, il turco Kudsi Erguner al flauto ney, e, dulcis in fundo, Peter Hammill (Van der Graaf Generator). In più, c'è la mano di Juri Camisasca, che stavolta firma quasi tutti i (bellissimi) testi.
Domina quel misticismo ethno-world che stava esplodendo in quegli anni, sotto la regia di guru come Peter Gabriel, David Byrne e David Sylvian. Le liriche di Camisasca - vicine a quelle del contemporaneo Battiato - ne rappresentano un'originale variante italiana, al servizio di un suono sempre più sofisticato, in cui le tonalità eteree dei synth si saldano con i timbri secchi delle trombe e con l'inconfondibile drumming profondo di Jansen. Tra oasi di luce e oceani di silenzio, si stagliano però anche le canzoni, tutte particolarmente incisive e arrangiate con rara maestria. Il singolo "Visioni" non rinuncia alla vena pop nel ritornello, ma la fa planare su una distesa di tastiere, ad accompagnare il viaggio degli anacoreti nel deserto. La title track è un'elegia sospesa tra nuvole di synth e scandita da ritmi tribali africani.
Tutto il disco è una lenta ascesa dalle piccole cose quotidiane all'eternità: "Il messaggio è nel silenzio e nella sobrietà" è l'insegnamento de "Il tempo senza tempo", gioiello di rarefatta eleganza con il contralto caldo di Alice al servizio di una melodia umbratile, che non avrebbe sfigurato tra i "segreti dell'alveare" del suo nume David Sylvian. E un'altra tappa commovente del viaggio è quella ai piedi del "continente perduto" de "L'era del mito": l'intro chitarristica di Gregory prepara il terreno a un'altra ballata magica, che si apre in una melodia dolcissima, sempre sorretta dalla chitarra e con un solo di tabla speziato d'Oriente. È un continuo dibattersi tra la corruzione del mondo e la purezza dell'immensità: così anche "Le baccanti" che lavano "i capelli scintillanti" mentre i sottomarini nucleari si inabissano divengono epitome di candore ancestrale. 
Ad ampliare il range, provvede un trio di brani più "eccentrici": "Anìn a grìs", morbida rilettura di un brano tradizionale del Friuli (regione "adottiva" di Alice), la nenia medievale di "Orléans" (già rivisitata da David Crosby in "If I Could Only Remember My Name") qui in versione a cappella, e la cover "dilatata" di "Le Ragazze di Osaka" di Finardi. "I cieli del Nord" è invece la nuova registrazione di "Le Scogliere di Dover", già edita sulla compilation giapponese "Kusamakura" nel 1988.
Sono canzoni originali e preziose, radicate nella poetica italiana, ma con un respiro universale quasi del tutto inedito nelle produzioni nostrane. Non stupisce, quindi, che a chiudere l'album sia un duetto (in inglese) tra Alice e sua maestà Peter Hammill ("Now And Forever").

Proseguendo sulla strada di una ricerca musicale e letteraria fuori dagli schemi, Alice approda a Mezzogiorno sulle Alpi (1992). Un titolo preso in prestito da un quadro di Segantini e rivelatore della passione di Alice per la montagna, antidoto ideale alla "nevrosi urbana" e rifugio ascetico per proseguire il cammino spirituale "oltre l'apparenza". "Siamo sempre attratti dall'esteriorità, dalle cose appariscenti, come i fiori, ma il segreto della vita è nelle foglie" dirà presentando il disco.
Misticismo che si rinnova, dunque, nonostante l'assenza di Camisasca, attingendo stavolta in modo più palese alla filosofia zen ("Tim", "Madre notte") e alla cultura giapponese in generale (un haiku del poeta Natsume Soseki apre "Luce della sera").
Ma c'è anche spazio per riferimenti a Hesse, Handke, Herzog, per un canto tradizionale transilvanico in ungherese antico ("In viaggio sul tuo viso") e per un omaggio a Pier Paolo Pasolini ne "La recessione", dove un estratto da "La meglio gioventù" è musicato da Mino Di Martino.
Alla ricchezza delle fonti letterarie si sposa anche quella dell'insieme sonoro: da Tim Buckley, del quale viene riletta in chiave jazzy "Blue Melody", al pop elettronico dei Roxy Music, dalla musica ambientale a territori blues e jazz quasi del tutto inesplorati nei precedenti lavori. Consolidato, invece, l'affiatamento con Paolo Fresu, Dave Gregory e Richard Barbieri, cui si aggiunge il chitarrista Jakko Jakszyk.
Nel complesso, però, è un disco più ermetico e meno a fuoco del precedente, seppur sempre ricco nel sound e nelle performance dei suoi protagonisti. Più che canzoni, sono strutture aperte, costruzioni particolari. Come "In viaggio sul tuo viso", con la sua intro di tromba (Fresu), le carezze acustiche della chitarra e la ritmica vigorosa a dar man forte al canto, "Passano gli anni", delicato ordito di flauti, chitarre e voce, e le variazioni sul tema di "Neve d'aprile", cadenzate dal drumming di Gavin Harrison. "Rain Town", scritta con Barbieri (come l'eterea "Luce della sera"), evoca piovigginose atmosfere autunnali, mentre "Lungo ritorno a casa", con Fresu ancora sugli scudi, indovina forse la ballata più suggestiva.

Segue una lunga tournée europea al fianco di molti dei collaboratori internazionali che l'accompagnano ormai stabilmente. Ma sono lontani i tempi degli hit spaccaclassifiche: Alice ha scoperto un equilibrio che le permette di produrre musica di qualità mantenendo un discreto numero di ammiratori senza farsi contagiare dallo show-business. A maggio del 1994 è protagonista di alcuni concerti con l'orchestra sinfonica di Arturo Toscanini per il progetto (mai pubblicato) Art & Decoration, che comprende musiche di Fauré, Ravel, Ives, Montsalvage e altri.

Sacro e Sanremo

AliceLasciata la Emi (rea di aver pubblicato senza la sua approvazione un remix di "Chanson Egocentrique"), Alice approda alla WEA per la quale firma il nuovo album Charade (1995). "Una riflessione sulla vita, che è rebus, enigma, mistero" lo presenta Alice, che per l'occasione rimpolpa il suo cast con Trey Gunn (King Crimson), Steward Gordon e il California Guitar Trio. Il risultato è un disco più solare e vitale, con testi personali e introspettivi, melodie essenziali e suoni, al solito, curatissimi. Si ispessiscono le parti ritmiche, col ricorso frequente alla drum machine e pulsazioni quasi dance, ma restano anche gli ariosi squarci etno-ambientali e le atmosfere delicatamente acustiche, per archi e chitarre. Stavolta, però, la scrittura è meno felice e alcuni brani ne risentono.
A svettare sono soprattutto "L'apparenza", ritmo sostenuto e suggestive parti di flauto, "Dammi la mano amore", altra sopraffina interpretazione vocale, e ballate sofisticate come "Sotto lo stesso cielo", con coda ambient, e "Nel resto del tempo", ancora sul tema della solitudine nelle grandi città. Degna di nota anche la title track, firmata da Mino Di Martino (ex-Giganti), una parabola sull'illusione dei sogni, dal ritornello lieve.
Un disco di transizione, in definitiva, che tenta di aprire nuovi orizzonti a un sound che ha già dato il meglio di sé nelle prove precedenti.

Sempre più isolata, nella sua casa nelle campagne friulane, lontana dai riflettori del music-business, Alice ha tuttavia acquisito un ruolo di prestigio nella scena italiana e una consistente fama europea. Il rischio di questa fase, però, è che resti imprigionata nel cliché della "cantautrice colta" senza riuscire a sfornare più canzoni in grado di supportarne la fama. Il declino è insomma in agguato, seppur celato più che degnamente dalle collaborazioni e dalle esibizioni live. Così nel 1996 ecco un'altra grande tournée europea, insieme a Robby Aceto, Ben Coleman, Mick Karn e Steve Jansen.
Nello stesso anno Alice partecipa come interprete e co-autrice all'album di Trey Gunn "The Third Star", firmando la title track.
Il 1997 è un altro anno di collaborazioni, con Francesco Messina e altri nel progetto Devogue, e nell'album "Metallo non metallo" dei Bluvertigo ("Troppe emozioni").
Nello stesso anno esce Alice canta Battiato, che contiene tutti i "Gioielli Rubati" insieme ad altri brani firmati nel corso del passato decennio con l'artista siciliano.

Ma la qualità della sua musica ormai è in brusca discesa. E a riscattarla non basta il nuovo duetto, stavolta decisamente più in linea con le tendenze del momento, che la vede assieme a Skye dei Morcheeba in "Open Your Eyes" e porta ancora le firme illustri di Camisasca e Hammill. Questo sinuoso pop dalle venature elettroniche che impregna i solchi di Exit (1998) è la copia sbiadita della formula varata da Park Hotel in poi, e si ferma in una terra di nessuno: né sufficientemente "leggero" da irretire il grande pubblico (malgrado l'heavy rotation del videoclip di "Open Your Eyes"), né abbastanza ricercato da solleticare le orecchie più esigenti.
Improntati a una chiara matrice romantica e melodica, brani come la title track o "Dimmi di sì" non aggiungono granché a un songbook che ora comincia a diventare anche un po' prevedibile sul piano dei testi (le consuete tematiche dell'apparenza, della ricerca dell'armonia individuale, della simbiosi con la natura, dell'anelito all'immensità). Più della presenza di Morgan ("L'immagine"), è la magnifica arpa celtica di Vincenzo Zitello ("Isole") a nobilitare il disco.

Subito dopo nasce il progetto God Is My Dj, un percorso attraverso cui il duo Alice-Francesco Messina (ormai consolidato da anni, nella vita come nell'attività artistica) ricerca "il sacro nella musica" anche attraverso concerti tenuti nelle chiese. L'album omonimo raccoglie 15 temi che spaziano con disinvoltura da Gavin Bryars (la celebre salmodia "Jesus Blood Never Failed Me Yet", da lui raccolta nel 1973, a Hyde Park, Londra, dalla voce di un clochard) al "Kyrie" di Florian Fricke (Popol Vuh), da "Für Alina" di Arvo Pärt a un Anonimo dell'undicesimo secolo, passando attraverso l'"Oceano di silenzio" e "L'ombra della luce" di Battiato, la spiritualità ancestrale di Eleni Karaindrou ("Refugee's Theme"), l'eden di Jane Siberry ("Calling All Angels) e i dubbi esistenziali di un David Crosby d'annata ("Where Will I Be?").

Pur di convincere la casa discografica a pubblicare il disco, Alice accetta di tornare a Sanremo (nel 2000, con un altro brano di Juri Camisasca, "Il giorno dell'indipendenza", che passa però quasi inosservato) e di confezionare una raccolta, Personal Juke Box, con brani storici riarrangiati insieme a incisioni più recenti e a tre inediti.
Un compromesso per la cantautrice di Forlì, più che mai impegnata, invece, in una serie di cover, con l'obiettivo di riportare all'attenzione l'importanza della poesia nell'attività musicale. L'idea prende forma nel progetto live "Le parole del giorno prima", con un programma che spazia da Shakespeare a Pasolini, passando per Leo Ferrè e molti cantautori italiani. L'album che ne segue, pubblicato per l'etichetta indipendente Nun, è Viaggio in Italia (2003): un omaggio a colossi del songwriting tricolore come Ivano Fossati (che scrive per lei "La bellezza stravagante"), Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Giorgio Gaber e il Battisti dell'era Panella. "Come un sigillo", già inciso nel 2002 per "Fleurs 3" di Battiato, celebra il ritorno al fianco del vecchio maestro, a vent'anni dai "Treni di Tozeur".

Nel 2004 Alice interpreta il brano "Sospesa" partecipando insieme a Morgan e altri artisti al progetto degli Zerouno, con la produzione artistica di Luca Urbani.
Tra il 2006 e il 2007 tiene alcuni concerti col nuovo progetto Lungo la strada, incentrato su tematiche quali l'amore, la guerra, la poesia, la ricerca di sé stessi, la fede. Nel 2009 "Lungo la strada" diventa anche il primo album dal vivo della cantautrice forlivese: registrato nella Basilica di San Marco a Milano, contiene sia classici del suo repertorio (come "Nomadi" e "Prospettiva Nevskij") sia selezioni più sorprendenti. Per la prima volta Alice presenta una sua personale versione de "La cura" di Franco Battiato, omaggia l'amica e collega Giuni Russo interpretando "A cchiù bella" (la cantante palermitana, scomparsa nel 2004, musicò questa poesia di Totò insieme a Maria Antonietta Sisini per il lavoro "Napoli che canta") e regala al suo pubblico un'altra chicca, una cover di "Happiness" dei Blue Nile.

La Emi ha sfornato una lunga serie di ristampe e di raccolte, a conferma di una qualità che non si deteriora alla prova del tempo. La retrospettiva più esaustiva e interessante è sicuramente The Platinum Collection, compilata nel 2011 con la collaborazione della stessa Alice che ha scelto personalmente tutti i pezzi. Qui si possono ascoltare le canzoni chiave di un'intera carriera, partendo da "La festa mia" (incisa come Carla Bissi), "Io voglio vivere" e "Un'isola" (registrate come Alice Visconti). Tra le cinquantaquattro canzoni del cofanetto spiccano i duetti con Franco Battiato ("I treni di Tozeur" nella sua versione originale e "Chanson Egocentrique"), Morgan (la rilettura di "Ecco i negozi" di Lucio Battisti e Pasquale Panella), Peter Hammill e Stefan Waggershausen ("Zu Nah Am Feuer" non era mai stata inclusa in precedenza in antologie realizzate per il mercato italiano). Un'altra inclusione che rende questo triplo box set appetibile sia ai neofiti che ai fan di più lungo corso è una versione solista, finora inedita, di "Open Your Eyes".

Fragile, ma caparbia, affascinante e sfuggente nel suo contrastato rapporto con il mondo della musica, Alice continua ad affrontare il suo Paese delle meraviglie attraverso la scoperta dei suoni e delle parole. Poche altre cantautrici italiane possono vantare il suo palmares. E il suo canzoniere, specie quello degli anni Ottanta, rimane una delle creazioni più originali e raffinate mai edite a queste latitudini.

Apparentemente scomparsa agli occhi del grande pubblico, Alice torna nel 2012 con un nuovo disco di inediti, Samsara. Un album delicatamente pop, che sfiora l'avanguardia cantautoriale nostrana più nobile ma anche più abusata. Dodici brani più una bonus track, ma è difficile, escludendo le splendide "Un mondo a parte" e "Autunno già", a firma Di Martino, la notevole "'a Cchiu bella" di Totò e Giuni Russo e la sorprendente rilettura di "Al Mattino dei Califfi", trovare episodi pienamente riusciti. Non aiuta la produzione di Steve Jansen, esasperatamente levigata, quando non leziosa e con sonorità ormai davvero superate.
Episodi come "Morire d'amore", ispirato alla figura di Giovanna D'Arco e ancora a firma Di Martino, unico vero vincitore della scommessa di questo disco; "Sui giardini del mondo" della stessa Alice e Marco Pancaldi, ex-Bluvertigo; l'inquieta "Eri con me" di Battiato e Sgalambro sono di discreta levatura, ma non convincono del tutto, a causa di una scrittura dei testi a tratti appesantita o per una ricercata immediatezza melodica, in particolare negli incisi.
"Il cielo", celebre brano di Lucio Dalla, se nelle versioni dal vivo è risultato emozionante, qui su disco non convince affatto.
Alice si muove con disinvoltura tra i brani ma solo nelle versioni più scarne riesce a trovare perfetta aderenza, levità e grazia interpretativa che la maturità le ha donato. Non caso i pezzi citati come i più riusciti sono quelli che trovano nell'essenzialità degli arrangiamenti la formula vincente. In tal senso, è davvero imbarazzante il remix di "Cambio casa", che tenta la carta dance su di un testo null'affatto immediato con un esito disastroso. La tanto rimarcata collaborazione con Tiziano Ferro in realtà non produce nulla di interessante, se non l'incontro delle due voci in "Nata ieri", primo singolo dell'album, davvero rimarchevole solo per congruenze timbriche e che ci si aspetta possa avere un seguito con quel tipo di melodie di gran respiro a cui Ferro ci ha abituato.
Un'occasione sprecata e un grande dispiacere, soprattutto in considerazione del fatto che il precedente Exit era stato un altro episodio altrettanto discutibile di una carriera che non vorremmo relegata solo a un pur straordinario passato.

Weekend di sorprese

AlicePur con esiti non convincenti, però, il progetto del 2012 era stato importante perché aveva però gettato le basi per una seconda vita dello storico sodalizio con Battiato. E che non si trattasse di un fuoco di paglia lo dimostra Weekend (2014), un nuovo disco autoprodotto con Arecibo e che pure avrebbe tutte le carte in tavola per giocarsela anche nel grande giro delle major. L’appeal è garantito anzitutto da un singolo-bomba, che avrebbe esaltato i fan della star di “Per Elisa” anche in quegli anni di travolgenti successi. Merito di quel Francesco Messina compagno di una vita, capace di andare a scovare un gioiello nascosto della Françoise Hardy matura, "Tant de belles choses", datato 2004. Una di quelle chanson senza tempo che brillano di una grazia melodica soprannaturale: affidarla a Battiato per l’adattamento del testo in italiano e vestirla di nuovi arrangiamenti, con la tromba di Paolo Fresu sugli scudi, sono state le mosse decisive per trasformarla in un nuovo instant classic di Alice, la cui voce altera e inquieta pare davvero andare a nozze con le pieghe malinconiche del brano.
Ma l’apporto di Battiato non finisce qui, perché l’infaticabile vate siculo mette la firma anche su "Veleni", brano di sagace classe che Fabio Fazio & C. hanno pensato bene di escludere dall’ultimo Sanremo, a vantaggio dei "capolavori" che abbiamo ascoltato. In più, Battiato torna a duettare con Alice nella splendida "La realtà non esiste" di Claudio Rocchi, in una nuova versione rispetto a quella già pubblicata nell’album “Antony/Battiato”. E sono ancora brividi lungo la schiena, come ai tempi di Tozeur.
Più sorprendente – ma fino a un certo punto, se si ricorda il precedente del duetto di “Farfallina” (incluso su “Fisico & politico”, 2013) – la collaborazione con Luca Carboni, che presta la sua voce languida a “Da lontano”, ballata più convenzionale, con le intrusioni della tromba di Fresu a scongiurare il possibile effetto-saccarina. L’omaggio a Rocchi si completa con la nuova versione di “L’umana nostalgia”, già condivisa dalla cantante di Forlì insieme all’autore nella sua versione originale del 1994. Ma Alice non dimentica la sua vocazione internazionale, andando a ripescare anche una chicca dei Blue Nile, “Christmas”. E se fa sempre sobbalzare il cuore vedere Alice ripercorrere i “Viali di solitudine” di “Park Hotel”, non lasciano il segno, invece, il nuovo electro-pop di “Un po’ d’aria” (a firma Luca Urbani-Soerba) e la conclusiva “Qualcuno pronuncia il mio nome”, levigata ballad composta da Mino Di Martino.
Niente di rivoluzionario all’orizzonte, dunque, ma certamente un ritorno in bello stile, che riesce a centrare appieno l’obiettivo che la cantautrice romagnola si era prefissa: valorizzare tutta la gamma delle sue interpretazioni, riportando la sua voce al centro della scena. E chissà che ora non riesca anche a rinfrescare la memoria a tutti coloro che in questi anni l’hanno colpevolmente trascurata.

 

Dopo aver accompagnato sul palco l'amico Franco Battiato in uno dei suoi ultimi tour e averlo omaggiato con un'altra serie di live ad hoc dopo la sua morte, avvenuta nel 2021, Alice torna a interpretare le canzoni del maestro siciliano in un nuovo album intitolato Eri con me (2022), progetto nato durante la pandemia di Covid-19.
Le canzoni, tutte scritte da Battiato, sono state scelte con l’aiuto di Francesco Messina, amico fraterno del compositore siculo, e registrate in studio con Carlo Guaitoli (pianoforte, direzione) e l’orchestra I Solisti Filarmonici Italiani. "Queste 16 canzoni sono il frutto di un lavoro iniziato tanti anni fa - ha raccontato Alice - Dall’inizio della nostra collaborazione ho sempre sentito il piacere di cantare le sue canzoni, anche tenendo conto dei miei limiti e delle mie possibilità canore”.

 

Contributi di Claudio Milano ("Samsara")

Alice

Discografia

ALICE VISCONTI

La mia poca grande età (Cbs, 1975)

4

Cosa resta... un fiore (Cbs, 1978)

4,5

ALICE

Capo Nord (Emi, 1980)

7

Alice (Emi, 1981)

7

Azimut (Emi, 1982)

6,5

Falsi allarmi (Emi, 1983)

6

Gioielli rubati (Emi, 1985)

6

Park Hotel (Emi, 1986)

8

Elisir (Emi, 1987)

6

Mélodie passagères (Emi, 1988)

6,5

Il sole nella pioggia (Emi, 1989)

8

Mezzogiorno sulle Alpi (Emi, 1992)

6,5

Il vento caldo dell'estate (antologia, Emi, 1994)

Viaggiatrice solitaria - Il meglio di Alice (antologia, Emi, 1995)

Charade (Wea, 1995)

5

Alice canta Battiato (antologia, Emi, 1997)

6,5

Exit (Wea, 1998)

5

I primi passi (antologia, On Sale Music, 1998)

God Is My Dj (Wea, 1999)

6,5

Personal Juke Box (antologia, Wea, 2000)

Viaggio in Italia (Nun Entertainment, 2003)

6

Made In Italy (antologia, Emi, 2004)

The Best Of Platinum (antologia, Emi, 2006)

Lungo la strada (live, Arecibo, 2009)

The Platinum Collection (triplo cd, antologia, Emi, 2011)

Samsara (Arecibo, 2012)

5

Weekend (Arecibo, 2014)

7

Eri con me (Arecibo/Bmg, 2022)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Il vento caldo dell'estate
(esibizione tv, da Capo Nord, 1980)

Per Elisa
(esibizione tv, da Alice, 1981)

Una notte speciale
(esibizione tv, da Alice, 1981)

Azimut
(da Azimut, 1982)

I Treni di Tozeur
(duetto con Franco Battiato, videoclip, 1984)

Nomadi
(videoclip da Park Hotel, 1986)

Il senso dei desideri
(da Park Hotel, 1986)

Il sole nella pioggia
(videoclip da Il sole nella pioggia, 1989)

In viaggio sul tuo viso
(esibizione tv, da Mezzogiorno sulle Alpi, 1992)

Open Your Eyes
(duetto con Skye dei Morcheeba, videoclip da Exit, 1998)

Tante belle cose
(videoclip da Weekend, 2014)

Alice su OndaRock