L’appeal è garantito anzitutto da un singolo-bomba, che avrebbe esaltato i fan della star di “Per Elisa” anche in quegli anni di travolgenti successi. Merito di quel Francesco Messina compagno di una vita, capace di andare a scovare un gioiello nascosto della Françoise Hardy matura, "Tant de belles choses", datato 2004. Una di quelle chanson senza tempo che brillano di una grazia melodica soprannaturale: affidarla a Battiato per l’adattamento del testo in italiano e vestirla di nuovi arrangiamenti, con la tromba di Paolo Fresu sugli scudi, sono state le mosse decisive per trasformarla in un nuovo instant classic di Alice, la cui voce altera e inquieta pare davvero andare a nozze con le pieghe malinconiche del brano.
Ma l’apporto di Battiato non finisce qui, perché l’infaticabile vate siculo - di cui quest’anno abbiamo già celebrato il ritorno di fiamma con “Joe Patti's Experimental Group” - mette la firma anche su "Veleni", brano di sagace classe che Fabio Fazio & C. hanno pensato bene di escludere dall’ultimo Sanremo, a vantaggio dei "capolavori" che abbiamo ascoltato. In più, Battiato torna a duettare con Alice nella splendida "La realtà non esiste" di Claudio Rocchi, in una nuova versione rispetto a quella già pubblicata nell’album “Antony/Battiato”. E sono ancora brividi lungo la schiena, come ai tempi di Tozeur.
Più sorprendente – ma fino a un certo punto, se si ricorda il precedente del duetto di “Farfallina” (incluso su “Fisico & politico”, 2013) – la collaborazione con Luca Carboni, che presta la sua voce languida a “Da lontano”, ballata più convenzionale, con le intrusioni della tromba di Fresu a scongiurare il possibile effetto-saccarina.
L’omaggio a Rocchi si completa con la nuova versione di “L’umana nostalgia”, già condivisa dalla cantante di Forlì insieme all’autore nella sua versione originale del 1994. Ma Alice – una che si è potuta permettere collaborazioni con pezzi rilevanti di King Crimson, Roxy Music, Japan e dell’ensemble di Peter Gabriel – non dimentica la sua vocazione internazionale, andando a ripescare anche una chicca dei Blue Nile, “Christmas”, sorta di outtake della band di Paul Buchanan, rimasta a lungo inedita. E se fa sempre sobbalzare il cuore vedere Alice ripercorrere i “Viali di solitudine” di “Park Hotel”, non lasciano il segno, invece, il nuovo electro-pop di “Un po’ d’aria” (a firma Luca Urbani-Soerba) e la conclusiva “Qualcuno pronuncia il mio nome”, levigata ballad composta da Mino Di Martino.
Niente di rivoluzionario all’orizzonte, dunque, ma certamente un ritorno in bello stile, che riesce a centrare appieno l’obiettivo che la cantautrice di “Il sole nella pioggia” si era prefissa: valorizzare tutta la gamma delle sue interpretazioni, riportando la sua voce al centro della scena. E chissà che ora non riesca anche a rinfrescare la memoria a tutti coloro che in questi anni l’hanno colpevolmente trascurata.
(14/11/2014)