La canadese Jane Siberry è una delle personalità più interessanti del panorama rock femminile nordamericano. Capace di passare negli anni da semplici ballate folk a un pop d'avanguardia dalle tinte sfumate ed eteree, la cantautrice di Toronto ha dato sfoggio di un talento versatile, conquistando la critica (non solo rock) internazionale. Ad aumentare il suo prestigio sono state anche le collaborazioni con musicisti del calibro di Peter Gabriel, Brian Eno, K.D. Lang, Joe Jackson, Nigel Kennedy, Hector Zazou, Takafumi Sotoma e molti altri. Jane Siberry inizia la sua carriera all'alba degli anni Ottanta, dividendosi tra gli studi di microbiologia all'università di Guelph (Ontario) e le esibizioni nei club e nelle coffee house di Toronto, dove si cimenta in performance folk acustiche per piano, chitarra e voce.
Nel 1980, grazie anche al lavoro di cameriera in un pub, si finanzia l'album d'esordio, Jane Siberry. E' un'opera scarna, che annovera tenui ballate pianistiche, dagli accenti introversi e riflessivi ("This Girl I Know", "Strange Well"), con venature celtiche ma anche sprazzi di elegante lounge-music ("Magic Beads", "Writers Are A Funny Breed"). Il disco risulta tuttavia ancora acerbo e la povertà della produzione non contribuisce certo ad esaltarne i suoni.
Convinta a proseguire il suo percorso musicale, Siberry firma con una piccola etichetta canadese, che si unisce ad A&M e Windham Hill per pubblicare No Borders Here (1984). L'album è un deciso passo avanti, grazie a una manciata di brani ancora più connotati da quel tessuto narrativo "cinematografico" che diventerà una delle prerogative della cantautrice di Toronto. La mini-opera femminista di "Mimi On The Beach" è il pezzo portante e le vale il lusinghiero paragone con la connazionale Joni Mitchell. Ma ad emergere è soprattutto l'inclinazione romantica e drammatica di Siberry, che le permette di concentrare in pochi accordi una sequenza di incubi e demoni interiori ("Dancing Class", "Map Of The World"). I suoi testi affrontano ancora una volta i problemi della condizione femminile. E le sue complesse partiture si arricchiscono di sottili, angeliche tessiture vocali. Si passa così dalla litania più tenera ("I Muse Aloud") alle parodie del pop anni 60 ("Symmetry"), con una disinvoltura degna delle sperimentazioni d'avanguardia.
Il successivo The Speckless Sky (1985) regala a Siberry i primo riconoscimenti ufficiali: disco d'oro e due nomination come People's Choice Awards per album e produzione dell'anno in Canada. E il tema principale del disco, il delicato lied di "One More Colour", verrà incluso da Atom Egoyan nella colonna sonora del suo film "The Sweet Hereafter". I momenti più onirici ("Seven Steps To The Wall", "Vladimir Vladimir") si alternano a episodi più briosi ("Very Large Hat") e a sprazzi di cabaret surreale ("Mein Bitte", "Map Of The World") in una sorta di "straniamento" progressivo, ai confini tra la new wave e il dream-pop più lisergico.
Tra gorgheggi eterei e grida dolenti, Siberry conia una vero e proprio stile, in grado di combinare toni intimisti ed epici. Uno stile che si perfezione su The Walking (1987), pubblicato dalla Reprise e connotato da una più marcata sezione ritmica. Dal delicato folk-pop degli esordi, Siberry è approdata a un caleidoscopio sonoro dalle tinte sempre più colorate e astratte. Il suo canto, da timido, si è fatto sempre più acrobatico, nel solco delle chanteuse più audaci del rock: Kate Bush, Laurie Anderson, Elizabeth Fraser. E gli arrangiamenti sono diventati più "pieni". Nascono così le armonie struggenti di "White Tent The Raft" e "Bird In The Gravel", le atmosfere oscure di "Lena Is A White Table" e "La Jalouse", il lamento quasi buckleyano di "The Lobby".
Nel 1989, Bound By The Beauty segna un ritorno alle vignette umoristiche dei primi lavori e alla semplicità acustica degli esordi, con una manciata di brani raffinati, dall'esotica "Are We Dancing Now" alla favoleggiante "Everything Reminds Me Of My Dog". Il disco, pur discontinuo, conferma le virtù poliedriche della musicista canadese e attira le attenzioni di Brian Eno, che si offre di produrre alcune tracce del successivo When I Was A Boy (1993). Ne nascerà il più grande successo commerciale della carriera di Jane Siberry, con hit internazionali come "Sail Across The Water", "Temple" e soprattutto l'invocazione religiosa di "Calling All Angels" (con K.D. Lang), che compare per la prima volta nel film di Wim Wenders "Until The End Of The World" (e della quale verrà realizzata anche una cover italiana da parte di Alice nel suo "God Is My Dj"). La produzione di Eno aggiunge un tocco "ambient" alle sonorità di Siberry. Si spazia così dalle atmosfere rarefatte di "Sweet Incarnadine" all'improvvisazione quasi jazz di "The Vigil", dagli echi onirici di "All The Candles Of The World" alla tenerezza sussurrata di "An Angel Stepped Down", passando per le atmosfere suadenti e armoniose di "Love Is Everything", quasi un manifesto di questo nuovo corso. A crescere è soprattutto l'elemento spirituale della sua opera, che getta un ponte tra soul e new age, come conferma l'inno mistico di "The Gospel According To Darkness".
Successivamente, Siberry collabora con il compositore francese di ambient-music Hector Zazou in "Songs From The Cold Seas" e realizza la splendida "It Can't Rain All The Time" per la colonna sonora di "The Crow" (1994). Quindi, incide il suo nuovo album, Maria (1995). Registrato dal vivo in studio con un quintetto jazz, il disco si avvale della ballata di venti minuti "Oh My My", che include un estratto dell'hit degli anni Sessanta "Puff The Magic Dragon" (Peter, Paul & Mary) e rievoca tutti i suoi spettri infantili. In bilico tra Kate Bush e Van Morrison, Siberry si destreggia sapientemente tra l'ode a "Maria" e la vignetta di "Lovin' Cup", tra la favola di "See The Child" e le venature esotiche di "Caravan".
Nel tempo, Siberry affina il suo "avant-folk" con sonorità moderne, confermandosi sempre più "musicista", oltre che cantautrice: "Sì, in effetti mi sento soprattutto una compositrice - racconta -. Credo di essere una buona antenna capace di captare cosa c'è nell'aria. Il mio obiettivo è quello di riuscire a integrare il maggior numero di influenze musicali in un solo brano". I suoi meriti musicali le sono valsi anche (ad honorem) quella laurea in Scienze dell'University di Guelph (Ontario) che in gioventù non era riuscita ad ottenere. E Siberry ammette che il suo approccio "scientifico" ha giocato un ruolo importante nella sua musica: "Non mi ha reso più analitica - spiega - ma mi ha confermato che tra scienza e arte esiste un legame. C'è una estetica e una gioia comune in entrambe. Anche nello scrivere canzoni è un po' come seguire una formula matematica: c'è un grande flusso di energia da manipolare e far convergere verso un risultato finale".
Per sviluppare in libertà i suoi progetti, nel 1996 la cantautrice canadese decide di rompere con la sua casa discografica e fondare un'etichetta, la Sheeba, con la quale pubblica subito due raccolte di canzoni (Teenager e Child), oltre a una collezione di traditional americani e celtici (Hush). Per la Sheeba esce anche New York Trilogy, testimonianza live di tre concerti tenuti al Bottom Line di New York nel 1996. Nel 2002 è invece la Rhino/Warner a pubblicare l'ottima antologia Love Is Everything, che ripercorre la sua ventennale carriera in due cd di 15 brani ciascuno. Jane Siberry ha anche partecipato al progetto "Time & Love: The Music of Laura Nyro" e ha pubblicato due libri, "Swan" (1998) e "One Room Schoolhouse" (1999).
Nel 2004 esce Shushan The Palace: Hymns Of Earth, un album di canzoni natalizie e inni liturgici.