Subsonica

Subsonica

Un vulcano all'ombra della Mole

Cresciuti nella realtà "alternativa" di Torino, quella dei centri sociali e dei Murazzi, i Subsonica sono diventati in breve tempo una delle band italiane più apprezzate dal pubblico. Con contaminazioni tra hip-hop, rock, dance e trip-hop. E una forte ramificazione sul territorio, grazie a una serie di progetti intrapresi dal leader, Max Casacci

di Claudio Fabretti, Clara Martinelli + AA. VV.

I Subsonica, prodotto genuino della scena alternativa di Torino, e per anni fiore all'occhiello dell'indie-label Mescal, sono diventati in breve tempo una delle band italiane più amate e trasversali, al crocevia tra underground e mainstream. A un hip-hop di base abbinano una tendenza alla contaminazione con il rock e con una electro-dance imbevuta di influenze, inclusa quella del trip-hop britannico di scuola Massive Attack.

La band torinese si forma nel '96 all'ombra dei Murazzi del Po, un quartiere turbolento ma ad alta densità musicale, dove pullulano i locali notturni e i centri sociali. Su queste sponde ha transitato buona parte della musica italiana del dopo-posse. E qui, negli altoparlanti dei club, ogni sera risuona ethnic-music: dal reggae al crossover, dal raggamuffin all'hip-hop.
Contagiata dalla nuova musica elettronica e dalle sperimentazioni dub ascoltate nei centri sociali all'ombra della Mole, la band ha deciso di miscelarle con formule più convenzionalmente pop. Dai Murazzi, quindi, il grande passo dei Subsonica verso le platee di tutta Italia, anche grazie alla preziosa opera creativa di Casacci, che oltre ad essere il chitarrista del gruppo è anche uno tra i produttori italiani più in voga.

Il loro background iniziale spazia dagli ascolti della musica psichedelica dei Pink Floyd alla passione per l'elettronica dei Chemical Brothers. Con una comune ossessione per la fantascienza. "Durante le trasferte in pullman ne approfittiamo anche per leggere, soprattutto libri di Gibson e Sterling - raccontava agli esordi Max Casacci, chitarrista e ideologo dei Subsonica, già negli Africa Unite - ma vediamo anche molto cinema. Siamo influenzati da tutto l'immaginario fantascientifico da 'Blade Runner' a 'Matrix' a 'Ghost in the Shell', la cui colonna sonora è la sigla d'apertura del nostro live. Un'altra cosa che ci piace molto è la fantascienza italiana di serie B come per esempio 'A come Andromeda" di Lucio Fulci'".

Tutti questi elementi confluiscono nel fulminante esordio omonimo del 1997, uno dei più riusciti esempi di contaminazione tra istanze del sottobosco nazionale e internazionale. Un disco che nasce tra i Murazzi del Po e Casasonica (la base operativa nella vicinissima Piazza Vittorio Veneto), ma rappresenta bene anche altre realtà dell'underground italiano, come i Casino Royale, per i Subsonica forse la stella polare più evidente in termini di commistione tra percorsi soul, dub e trip-hop. A differenza di Alioscia Bisceglia & co. però, la compagine torinese evidenzia una personalità in grado di sfondare più agevolmente nel comparto mainstream. Subsonica è il disco perfetto per raccontare i brividi della febbre elettronica e affiancare loro un'urgenza battagliera, assimilando club culture ("Giungla Nord", "Velociraptor"), spigolosità ossessive ("Momenti Di Noia"), dub in salsa electro ("Preso Blu"), venature black anni Settanta (“Funk Star”) e immediatezza pop da ballare (“Onde Quadre”, “Radioestensioni”, “Cose Che Non Ho”).

Ma i Subsonica cercano fin dall'inizio una dimensione sociale e politica. Partecipando anche ai dibattiti sui nuovi linguaggi giovanili, come è avvenuto nella sede romana dell'enciclopedia Treccani. "Ci piace mettere in luce alcuni aspetti della nostra città, Torino, far affiorare le relazioni che legano la musica al territorio, narrare storie tra fiction e cronaca, immaginando anche una colonna sonora adeguata". Un obiettivo che Samuel, la voce della band, Boosta, alle tastiere, Pierfunk, al basso, Ninja, alla batteria, e Max hanno già cercato di raggiungere in Microchip emozionale. "L'album mette in evidenza le due anime del gruppo - spiega ancora Max - Da un lato vivendo a Torino c'è una realtà meccanica e tecnologica di cui la nostra musica risente molto. Accanto a questa esiste un elemento umanizzante quale è la melodia. La città, negli ultimi anni, con il tramonto dell'utopia industriale, ha saputo riscoprire la vita: per esempio sono stati aperti molti luoghi d'incontro".

La loro formula musicale nasce da un compromesso tra il pop da classifica e la sperimentazione. Una miscela inusuale di pop, reggae, soul e dance. Ma i Subsonica non temono le critiche da parte del pubblico più intransigente: "Non abbiamo paura di andare al di la' della barricata - dicono - e pensiamo che dovrebbero farlo anche gli altri, pur ricordandosi di tornare sempre a casa.".

Sono arrivate così anche le collaborazioni con altri artisti. Nel '97 Antonella Ruggiero li volle per registrare una nuova versione di "Per un'ora d'amore" per l'album "Registrazioni moderne", mentre in Microchip emozionale è presente il brano claustrofobico "Discolabirinto", scritto insieme a Morgan (Bluvertigo), alle prime luci dell'alba, dopo aver trascorso una folle nottata torinese. Il video realizzato per questo pezzo ha una particolarità: le due band, dando uno sguardo al mondo ovattato dei sordomuti, assicurano che si può ascoltare a "zerovolume".

Sanremo poteva diventare per i Subsonica un terreno scivoloso. Ma la band ha archiviato l'esperienza con soddisfazione ("Ci ha potuto vedere gente che non era mai venuta ai nostri concerti"). E ad aumentare la popolarità ha provveduto anche l'exploit della loro attività su internet. Il loro sito web è stato creato da Ninja in persona, che ha così finalmente potuto sfruttare la sua laurea in ingegnere informatico. "Abbiamo privilegiato molto lo spazio dell'interattività con le persone che lo visitano - afferma l'ideatore - attraverso cose come la bacheca, la chat o l'e-mail".

"Una Polaroid un po' livida di questi ultimi anni, di quanto accaduto nel 2001": così i Subsonica descrivono invece Amorematico, il loro terzo album.L'enigmatico titolo, inventato dal cantante  Samuel, è la crasi dei termini amore, automatico ed ematico.
Dopo il disco di platino di Microchip Emozionale e la partecipazione all' edizione 2000 del Festival di Sanremo, definitivamente sdoganati dalla scena underground al mainstream, i Subsonica sentono la pressione. "Una pressione - spiega Samuel, l'altra mente della band - che prima abbiamo patito, ma da cui ci siamo liberati tuffandoci nella nostra città alla ricerca di ispirazione: perché Torino, per noi, è un avamposto molto importante di sensazioni da raccontare". Il risultato è un album che gli stessi Subsonica definiscono "introspettivo, attraversato da una sottile inquietudine, una vena livida in cerca di decongestione": che arriva, puntuale, a fine cd, con l' ipnotica coda di deep house totalmente affidata al dj Roger Rama.
Amorematico
è soprattutto un disco di canzoni, con molto spazio a sezione ritmica, arrangiamenti e testi. "È un disco di oggi - spiega Max - con una ricerca di cucitura di tappe fondamentali del suono italiano dagli anni 70, quando maestri come Morricone dettavano legge con la 'stilosità' del loro sound". L' album si apre col brano "Nuvole rapide", già inserito nella colonna sonora del film "Santa Maradona" dell'amico regista Marco Ponti. Soundtrack cui i Subsonica hanno contribuito anche col loro progetto parallelo Motel Connection, un esperimento formato clubculture ideato da Samuel e dal fuoriuscito Pier-funk. Il singolo che accompagna l'uscita del disco, invece, è "Nuova ossessione", un pezzo dall'andamento ironico e trascinante, scandito da una battuta disco realizzata in collaborazione con i Krisma, storico duo synth-pop italiano. Il testo, che parte dal racconto di un'infatuazione amorosa, si presta a una duplice lettura fino alla dissertazione sulla manipolazione delle ossessioni, considerate meccanismo di controllo di massa.
L'ossessione per l'oggi dei Subsonica diventa palese in brani come "Sole silenzioso", dedicata alle giornate genovesi del controG8, e "Gente tranquilla", incentrata sulle stragi in famiglia. Ospite di quest'ultimo pezzo il rapper marocchino Rachid, che sgrana versi in arabo incarnando "la belva silenziosa, il capro espiatorio, l'uomo nero, l'incubo".

Controllo del livello di rombo
(2003) cattura dal vivo sei anni di storia della band torinese.

Nel 2005 i Subsonica proseguono con Terrestre sulla strada del disco agita-masse, anche un po' politicizzato, come del resto si era intravisto nel precedente episodio ("Gente tranquilla", "Sole silenzioso"). Sono cambiate alcune cose: il gruppo di Torino, che era uno dei fiori all'occhiello della Mescal, la più importante label indipendente del nostro paese, è passato alla Emi.
La novità più eclatante è il ritorno delle chitarre e di una strumentazione più tradizionalmente rock, a scapito di un'elettronica sempre presente, ma decisamente limitata. La partenza di "Corpo a corpo", con una strofa rappata molto aggressiva, seguita da una linea di basso incisiva e convincente, sembra promettere bene, ma già quando si arriva alla scialba "Vita d'altri" si ha la sensazione che i tempi di "Microchip Emozionale" siano finiti per sempre. Un sospetto, in verità, già avuto ascoltando l'orrendo singolo "Abitudine", ma che si trasforma perfino in stupore quando si arriva a "Gasoline", prima canzone in inglese (e si spera ultima) dei torinesi. Un beat iniziale carino (niente di fantascientifico, intendiamoci) viene sepolto da un cantato trascinato che vorrebbe essere accattivante, ma risulta abbastanza triste e patetico.
I Subsonica del disagio e degli amori metropolitani di fine anni 90 si riaffacciano prepotenti in "Incantevole" (il brano migliore) e nella successiva "L'odore", l'unico pezzo aggressivo dell'album. Dopo la cavalcata trip-hop da tangenziale di "Alba a quattro corsie" e l'ottima "Salto nel vuoto", i nostri mettono di nuovo un piede in fallo con "Giorni a perdere": riff dei Sonic Youth più stanchi e giri di hard-rock triti e ritriti. Peccato anche per la ninna nanna acustica finale "Dormi", che cancella il poco di buono fatto in precedenza (l'inizio elettronico di "Amantide").
Troppi alti e bassi, poca convinzione e una pericolosa tendenza al nu-metal all'italiana compromettono un disco sostanzialmente privo di idee, in cui molti brani sembrano scritti solo per trascinare il pubblico ai concerti. E qualcuno spieghi ai Subsonica che una canzone come "Tutti i miei sbagli" si scrive una volta sola.

Nel frattempo, Max Casacci si dedica a una serie di progetti paralleli, tra musica e politica. Come la gestione dell'etichetta discografica Casasonica, la direzione dell'importante Traffic Free Festival a Torino e l'esperienza ambientalista e anti-mafia di Torino Sistema Solare.

I Subsonica però non si fermano. Nel 2007, L'Eclissi segna un ritorno al passato fieramente elettronico della band, ma ne acuisce il carattere retrofuturista: sound algido, cyberpunk, ma intarsiato di citazioni ed echi del passato.
I beat squadrati e dirompenti riprendono il dominio, ma è la chitarra l'"eminenza grigia" dell'album. Discreta, essenziale, cesella consapevoli cliché che finiscono immediatamente rifratti, replicati come moduli del pattern ritmico. Ne ho scritto da poco in riferimento a Why?: l'essenza di tanta arte di oggi sta nel suo rapporto col passato. Il recupero del passato passa attraverso riprendere lo stilema disco più stereotipato ("Nei nostri luoghi"), figure morriconiane ("La Glaciazione"), sciabolate funk-punk ("Quattrodieci") o baldanzose sincopi ska ("Piombo").
Mancano le canzoni a presa immediata, eppure gli stessi pezzi che di primo acchito sembravano scialbi scoprono una faccia da techno-cavalcate irrefrenabili ("La glaciazione", "Il centro della fiamma"), riempipista dal ritornello a colpo sicuro ("Veleno", "Quattrodieci", "Piombo"), lenti da trip in levare ("Alta voracità", "Alibi"). Stupisce poi la cura certosina del suono, prodigo di glitcherie, minimalismi vari, pulsazioni secche, frenetiche e impeccabili sferzate elettroniche.
A rovinare il quadro provvedono ad ogni modo i testi: goffi esercizi di ermetismo, inducono il sospetto che dietro alla loro pretesa profondità non ci siano che sentimentalismi tanto-al-kilo ribolliti in salsa hi-tech.

A tre anni da Eden, sesto lavoro della band, giunge infine il momento per quest'ultima di riaffacciarsi sui palcoscenici italiani con un nuovo album. La formazione di Torino è passata dal suonare nei piccoli club a riempire i palazzetti e, come ogni band che cresce e diventa popolare, ha dovuto negli anni dimostrare di sapere reinventarsi e allo stesso tempo gestire il bilico tra la propria identità e l’essere solo l’ombra di se stessi. I Subsonica in questo decennio sono stati tanto e tanto altro ancora.
Cosa è rimasto del loro secondo disco? Molto, se si pensa che possiedono ancora quel comune denominatore, ma se si confrontano strettamente le tematiche e i ritmi spinti di Microchip e Amorematico con i lavori successivi, nulla è uguale a prima. Anche se non sono mancati i grandi pezzi, gli ultimi album hanno avuto una svolta decisamente più pop e quella voglia di amalgamare su ogni livello - lessicale, musicale, sintattico - natura e tecnologia, vita e artificiale, è andata via via scemando.

Una nave in una foresta (2014) ci fa capire sin dalla copertina che qualcosa è cambiato rispetto al passato: per la prima volta il titolo è formato da un’intera frase. Allo stesso tempo vi è quel ritorno all’accostamento di due elementi totalmente diversi tra loro: il bosco e l’ingegno umano, in cerca di un contatto, un equilibrio. Una barca in una foresta, in dialetto torinese, indica qualcosa fuori contesto: nove storie, nove personaggi estraniati «che vivono in una linea di instabilità.
Attratti ancora una volta dal dualismo tra artificio e natura, accolgono nell’opera il manifesto di Michelangelo Pistoletto, la cui voce si avvolge a quella di Samuel per descrivere il Terzo Paradiso, un progetto per condurre «[...] l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra. Terzo Paradiso significa il passaggio ad un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza.»
Può considerarsi una sintesi del loro essere: i concetti chiave del gruppo si muovono su una base che muta continuamente, destrutturata, che ricorda una versione meno rumorosa degli “Atmosferico I-IV” contenuti in Amorematico. Bassi forti, suoni limpidi e precisi, per una canzone che educa e incanta.
Se tutti i brani fossero su questo livello, non avremmo dubbi nell’affermare che siano tuttora i migliori rappresentanti della musica italiana. È pur vero però che, nonostante non abbia troppe cadute e contenga qualche bel titolo, non riesca a convincere del tutto. Tutte le tracce sanno di Subsonica, ma a trascinare davvero sono solo quelle che ricordano i primi rivoluzionari lavori senza risultarne dei meri ricalchi. Quelle in cui raccontano storie distaccate dalla loro persona, quasi si percepisse che entrano in una parte, un personaggio, vivo di sentimenti ed emozioni, ma fuori dal loro essere. Qualcosa che ricorda un po’ Peter Gabriel e le sue maschere. Le musiche sono sempre di alto livello, ma sono i testi purtroppo a essere sbiaditi, semplicismi di liriche ormai lontane. Anche se “Una nave in una foresta” probabilmente non entrerà tra i migliori album italiani, ci fa ben sperare: i Subsonica forse saranno invecchiati, ma non sono morti del tutto. Basta solo che trovino l’entrata del Terzo Paradiso.

Nel 2020 vede la luce Mentale strumentale, un progetto sperimentale che i Subsonica avevano nel cassetto da tempo, risalente a sessioni di registrazione svolte negli studi “CasaSonica” di Piazza Vittorio subito dopo Amorematico. Il disco è una passeggiata nei meandri siderali dello spazio e dell’infinito.
Si parte con la fase di lancio della navicella e quindi “Decollo – Voce Off” apre l’itinerario con una sognante e fluttuante trama elettronica, dove una voce robotica indica l’imminente fase di partenza per sfociare in un vigoroso grind-industrial a caratterizzare l’esplosività del decollo dal cosmodromo. Interessante il quieto inserto ambient che fa strada alla deflagrazione indiavolata del finale.
Suoni primordiali e rarefatti, misti a vocalizzi stranianti di Samuel, conducono a “Cullati dalla tempesta”, dove una chitarra dilatata incornicia raggelanti suoni sintetizzati attorno a un ritmo percussivo ancestrale. Decisamente più soft si presenta l’apprensiva “Artide 3 A.M.”, dove basso e chitarra reggono in modo sommesso e liquefatto inserimenti elettronici di matrice kraut. L’ipnotica e inquieta “A Nord di ogni lontananza” fa avanzare il viaggio galattico su suoni di basso corposo che delineano trame di puro space-synth, approdanti su un perfetto intreccio bass-guitar. Una chitarra classica annuncia e pilota “Detriti nello spazio”, brano in puro stile Air d’annata, ove risultano evidenti i riferimenti alle celebri sonorizzazioni di Brian Eno. Ancor più irreale e visionario è il viaggio di  “A di Addio”.
Tornano alla luce alcuni stralci cari al Battiato sperimentatore del periodo “Clic”/“Sulle Corde di Aries”, impreziosite dall’incorporea voce di Madame Mystere, che sembra provenire da galassie limitrofe. Si ritorna su sound più ossessivi e penetranti in “Tempesta solare”, dove la turbata congiunzione di suoni industriali, ad andamento disgiunto, ipnotizza sospiri ambient affogati nel nucleo cosmico.
“Delitto sulla Luna” è come un noir vintage con scena del delitto ambientata nell’oscurità della parte invisibile e sinistra del nostro misterioso satellite. Un lugubre incipit percussivo lascia spazio a elettroniche cangianti su chiaroscuri stilistici.
Un po' troppo slegato, invece, il diradato puzzle “Strumentale”, dove alcune gustose idee appaiono incastrate in modo meno omogeneo.
L’itinerario spaziale si chiude con il “Rientro in atmosfera”, notoriamente momento di suspense, magistralmente raffigurato nelle appuntite trame synth, a tratti noise, alternate in un flusso denso e armonico che riporta i passeggeri a toccare il suolo terrestre al termine dell’impegnativo percorso.

Mentale strumentale è un disco a tratti frammentario ma di sorprendente attrattiva, pubblicato con saggezza in un momento storico dove la riflessione e il raccoglimento interiore hanno raggiunto vertici massimi. Un disco che appare quindi molto attuale, seppur registrato a inizio secolo.

A sei anni di distanza da 8, il loro ultimo effettivo album in studio, i cui strascichi avevano trascinato la band quasi allo scioglimento, ecco giungere il fatidico colpo di coda.
E da dove si può provare a ripartire dopo una crisi se non dalle origini?
Realtà aumentata è il titolo del loro nuovo album, un progetto che è ripartito da ciò che aveva contraddistinto il loro esordio, quando il contributo di ciascun componente era messo al totale cospetto del bene della squadra.
Un Lp nato nel corso del 2023, quando per loro caparbia, Samuel, BoostaMax Casacci, Ninja e Vicio, hanno deciso di trascorrere insieme una settimana al mese, a partire da gennaio, in quel di Piozzo, una minuscola località situata nelle sempre straordinarie colline del cuneese.
La condivisione totale, non solo artistica, ha permesso agli undici brani inseriti in scaletta di tornare a far finalmente respirare l’aria tipica dei Subsonica, salpando proprio dalle loro sonorità primordiali, persino antecedenti a quelle del pluridecorato Microchip emozionale.
I contenuti di Realtà aumentata fanno un quadro, piuttosto critico, della situazione odierna, contraddistinta da paradossi continui che vanno dall’isolamento forzato, alle volontà di apparire in ogni modo e con ogni mezzo alla massa più numerosa, dal desiderio di ritrovare le emozioni e le passioni più gioiose, alla smania di raggiungere la meta appiccando guerre e lotte senza precedenti.
Questo è lo scenario sul quale si muove il quintetto piemontese, dove la mente di un drappello di cinquantenni pare ormai focalizzata a riflettere più sul mondo a loro circostante (sarà l’età e l’esperienza arricchita), che a tentare di codificare in musica e testi le personali suggestioni, come, invece, capitava loro in età più giovane.

Il profilo musicale parte dalle classiche contaminazioni Subsonica, dove il pop-rock di stampo elettronico va a sfociare verso i lidi più disparati come funky, reggae, dancedubhip-hop e trip-hop.
Ecco quindi che in brani quali “Mattino di luce” e “Pugno di sabbia” sembra davvero di ritornare, nel migliore dei modi, alle prorompenti cavalcate dei tempi d’oro, grazie a strutture armoniche complesse, incisive e coinvolgenti, dotate di quel ritornello che ti si stampa in testa senza scampo; due episodi che troveranno certamente spazio nell’imminente tour che partirà in primavera, una dimensione, quella live, che è sempre stata il pezzo forte del loro catalogo.
Nulla di nuovo, si potrebbe dire a questo punto, ma fidatevi, sono già degli ottimi presupposti e, soprattutto, il tavolo ha pronte altre invitanti portate da offrire ai commensali.
In “Cani umani”, l’atteggiamento spigoloso d’ingresso, viene spezzato qua e là da onnipresenti elettroniche e da note d’acustica decisamente gustose. Un discorso pressoché analogo a quanto accade in “Missili e droni”, dove le trame rarefatte create da chitarra acustica e pianoforte si insinuano tra elettroniche che sembrano posizionate su una rampa di lancio, pronte a decollare, ma che sapientemente restano ancorate al proprio posto, rispettose del fronte a loro prospicente.
Nelle coinvolgenti misture di “Universo”, le celebri sonorità Subsonica vanno a cercare ristoro tra gli archi e le orchestrazioni dell’immenso Davide Rossi: un connubio di grande effetto e risultato.

La quota ballads è occupata dalla folkeggiante “Vitiligine”, e se su “Grandine” si gode dell’ultima vertigine sintetica, in “Adagio” si scrive una pagina inedita, forse la più inaspettata tra quelle che i Subsonica hanno scelto per l’occasione. Il brano fa parte della colonna sonora originale - scritta e composta dalla band - dell’omonimo film di Stefano Sollima, dove il gruppo è stato insignito del premio speciale Soundtrack Stars Awards. L’atmosfera oscura che penetra dalle fessure è intrigante, insolita per i loro schemi, molto cinematografica e sicuramente da sondare anche in occasioni future.

Realtà aumentata è un disco finalmente convincente, dopo alcuni passi falsi del passato che si stavano presentando pericolosamente troppo spesso. 
L’intervento di Marta Salogni al missaggio e alla produzione del disco è un’altra freccia estratta dalla faretra, lei che della decostruzione e rimodellamento dei suoni è una capostipite a livello mondiale, e il suo palmarès conta più di ogni altra parola.
“I Subsonica servono” è una frase che Boosta ha lanciato in occasione di una recente intervista di presentazione del nuovo album. La sintetica affermazione può ritenersi certamente valida, a patto che il risultato artistico sia analogo a quanto accaduto in questo frangente. 



Contributi di Paolo Ciro ("Subsonica"), Dario Ingiusto ("Terrestre"), Marco Sgignoli ("L'Eclissi"), Alessandro Fiorito ("Una nave in una foresta"), Cristiano Orlando ("Mentale strumentale" e "Realtà aumentata")