Brian Eno

Brian Eno

Le rivoluzioni del "non musicista"

Ha inventato la musica ambientale. E' stato il precursore della new wave e della new age. E ha trasformato il linguaggio del suono degli ultimi trent'anni. Storia e metamorfosi di un "non musicista" universale di nome Brian Eno

di Claudio Fabretti + AA.VV.

Pioniere dell'ambient-music e del glam-rock, videoartista, filosofo della musica, scultore, cantante, polistrumentista, maitre-à-penser della cultura pop, padrino della "no wave", della dance elettronica e della new age, produttore, talent-scout. Tutto questo è Brian Eno, autentico guru della scena musicale degli ultimi tre decenni.
Nato a Woodbridge, Gran Bretagna, il 15 maggio 1948, Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno (questo il suo vero nome) cresce nel Suffolk, vicino a una base militare Usa, affascinato dai suoni "marziani" del doo-wop e dal rock & roll primitivo trasmesso dalle stazioni radio delle Forze Armate americane.
Negli anni 60, lasciato il convento cattolico dove ha ricevuto l'istruzione media, studia arti visive a Ipswich e musica sperimentale a Winchester. Apprende le tecniche della musica concreta, aleatoria, gestuale, minimale ed elettronica (inventa persino una macchina sonora ad acqua piovana e incide un brano per percussione di lampada metallica). Un patrimonio di esperienze raccolte nel libro manifesto "Music For Non-musicians", nel quale Eno teorizza la figura del "non-musicista", incompetente dal punto di vista tecnico, ma ricco di genio creativo. L'opera d'arte, a suo giudizio, deve essere composta in tre fasi: concepimento del brano, esecuzione da parte di singoli strumentisti (questi sì competenti) e manipolazione finale dei nastri da parte dell'autore. A lui interessa soprattutto la terza fase.

I suoi riferimenti musicali sono principalmente nella musica contemporanea (John Tilbury e Cornelius Cardew in particolare) e minimale (John Cage, La Monte Young, Terry Riley), ma il suo è un concetto di musica che trascende il semplice fatto musicale, una teoria multimediale ante-litteram, si potrebbe dire. Dopo una breve esperienza nella Cardew's Scratch Orchestra, Eno forma un gruppo di musica d'avanguardia, i Merchant Taylor's Simultaneous Cabinet, e uno di rock, i Maxwell Demon. Nel 1969 è impegnato a Londra come grafico e tecnico del suono. Ed è qui che, due anni dopo, nasce il suo sodalizio con i Roxy Music.

Eno si unisce alla band come "supervisore elettronico", diventandone in breve tempo il tastierista e l'"architetto sonoro", secondo la sua stessa definizione. Con i Roxy Music di Bryan Ferry e Phil Manzanera, concepisce due rivoluzionari album di art-glam-rock, "Roxy Music" del 1972 e "For Your Pleasure" del 1973, dando vita a un sound tra i più innovativi del decennio 70.
Il suo apporto consiste nell'innestare una serie di effetti elettronici bizzarri e stranianti sulle jam lussureggianti della band, affidate al registro da crooner di Bryan Ferry. Ma presto all'interno delle band sorgono contrasti e invidie che portano alla scissione: i Roxy Music proseguiranno sul sentiero di un pop altrettanto raffinato ma meno avanguardistico, Brian Eno abbandonerà il gruppo per la carriera solista.

I suoi primi progetti extra-Roxy Music sono particolarmente ambiziosi: incide No Pussyfooting con Robert Fripp (King Crimson) i cui arabeschi di chitarra vengono stravolti da speciali congegni elettronici ("frippertronics") all'avanguardia nel trattamento del suono con loop, effetti e campionamenti. Nello stesso periodo, Eno si dedica alla produzione di due album sperimentali della Portsmouth Sinfonia (un'orchestra di "quasi-musicisti").

Il bienno 1973-'74 segna la svolta: arrivano, infatti, i primi lavori da solista.

Here Come The Warm Jets (1973) risente ancora dell'ubriacatura glam dei primi Roxy. "Needles In The Camel’s Eye", ad esempio, risfodera le chitarre taglienti di Phil Manzanera (anche co-autore del brano), affogando in languidi deliqui bowiani. "The Paw Paw Negro Blowtorch" è un altro bozzetto assurdista: follia teatrale e tastiere impazzite a suggellare una piece torbida. E ancora la malia fifties virata acida di "Cindy Tells Me", il free-glam tastieristico di "On Some Faraway Beach", la stupefacente performance al sax dell'altro Roxy, Andy MacKay, su "Some Of Them Are Old", l'inno psichedelico di "Baby's On Fire" e l'apoteosi chitarristica della title track. Tutte gemme di un (post)glam ormai deragliato lungo le "strategie oblique" del non-musicista di Woodbridge.

Passa un anno. E la nuova impresa si chiama Taking Tiger Mountain (By Strategy) (1974) forte dell'apporto di Robert Wyatt alle percussioni e di Phil Manzanera alle chitarre. Sempre con ironia distaccata da dandy, Eno combina le nuove tecniche di studio e il cerebrale dadaismo di Wyatt, coniando un autentico "trattato musicale" post-moderno, che imporrà uno standard per il suono degli anni 70.
Il disco sfoggia pezzi surreali come il valzer marziale di "Back In Judy's Jungle" e il coro da pub della title track, ma anche gli esperimenti di "Fat Lady Of Limbourg", "Great Pretender" e "China My China", ovvero un saggio di come la tradizione orientale (nenie giapponesi, bacchette cinesi, gong etc.) si possa sposare alla strumentazione rock. Altra caratteristica dell'opera sono le filastrocche nevrotiche, come "Mother Whale Eyeless" e "Burning Airlines", dal refrain ossessivo e interpretate con un canto distaccato da androide. La "strategia obliqua" di Eno punta a introdurre nella musica d'avanguardia elementi pop e retrò, giocando in modo spericolato su suoni e astrazioni.

Dopo un tour con la band inglese The Winkies e un memorabile concerto con Kevin Ayers, più John Cale e Nico dei Velvet Underground (registrati poi su "June 1"), Eno si deve fermare per qualche mese, prima a causa di gravi problemi polmonari, poi per un incidente automobilistico. Nel 1975, il ritorno con Another Green World, altra super-produzione con la chitarra di Robert Fripp, la batteria di Phil Collins e la viola di John Cale. Attraverso audaci commistioni tra generi (musica d'avanguardia e pop, psichedelia e colonne sonore), Eno trascende i confini del rock creando una serie di paesaggi sonori nei quali si colgono già le prime avvisaglie della cosiddetta "ambient music", uno dei generi di cui si può considerare il fondatore. Sempre nello stesso anno, il "non musicista" inaugura una propria etichetta d'avanguardia, la Obscure Records, per la quale incide Discreet Music all'interno di un'opera di dieci volumi dedicati alla musica sperimentale (tra gli artisti ispiratori: Michael Nyman, John Cage, Harold Budd). Eno pubblica anche due libri "Music For Non Musicians" e "Oblique Strategy", in cui espone le sue teorie "non-musicali".

A chiudere il trittico è l'eccellente Before And After Science (1977), concepito in Germania, dove Eno si è trasferito con Fripp e David Bowie e collabora con i Cluster.
Le dieci tracce sono altrettanti fotogrammi di cinquant'anni di musica rock, ma a Eno non è solo un freddo scienziato alle prese con l'analisi microscopica della tradizione, è anche un eccellente compositore. E' nell'asservimento di questo talento al rigore formale della teoria che risiede la magia del disco. Se aggiungiamo poi che per la sua realizzazione Eno si circondò di musicisti del calibro di Phil Collins, Phil Manzanera, dell'immancabile Robert Fripp, e dei due "Cluster" Moebius e Roedelius, è facile immaginare il risultato.
Le sincopi ethno-funk dell'iniziale "No One Receiving" anticiparono di qualche anno tutto quello straordinario movimento post-punk, meglio identificato anche come "white-funk", che imperversò nei club più alternativi di Inghilterra e Stati Uniti, e che portò una ventata d'aria nuova al ballabile moderno. Le contaminazioni elettroniche che distinguevano il funk "bianco" da quello "nero" derivavano tutte dall'opera di Eno, che in seguito riprenderà con più convinzione il concetto, prima collaborando a "Remain In Light" dei Talking Heads e poi duettando con David Byrne nello splendido My Life In The Bush Of Ghosts. Ma qui c'è già tutto. Tutta l'irresistibile carica delle percussioni e della batteria di Collins, tutto il pulsare cavernoso del basso fretless, il ronzare impertinente del synth e quel cantilenare inconfondibile da sempre marchio di fabbrica del Brian Eno "canzonettaro". Su questo genere "Kurt's Rejoinder" si spinge ancor più avanti, esibendosi in un tribalismobalbettante, trascinandoci negli inquietanti paesaggi notturni dell'Africa. Praticamente è un'anticipazione di ciò che saranno di lì a poco i Talking Heads.
Con "Backwater" si cambia completamente tiro. Si entra in territori più propriamente rock-pop. Una canzonetta irresistibile e trascinante, testimonianza della capacità dell'artista inglese di sfornare ritornelli appiccicosi. Altra sorpresa: "Energy Fools The Magician" è un intermezzo di due minuti, uno strumentale dove a far da padrona è la straordinaria batteria di Collins, che scandisce il tempo di un orologio prossimo all'esplosione, che trattiene la sua forza proprio al momento di detonare. "King's Lead Hat" è la sua versione del rock "duro e puro", straniato da stacchetti di piano dissonante, battiti di mani nevrotici, giri di elettronica ipnotica, chitarre incendiarie. Un'altra canzone irresistibile, un altro ritornello da cantare come scatenati, un altro numero da artigiano-intellettuale del rock.
"Here He Comes" è un brano di una trasparenza strabiliante, di una classe enorme, che potrebbe suonare per un'ora di continuo senza mai stancare. "Julie With..." è un saggio di ambient-pop, un brano che fa parte delle miniature nebbiose e soffici, nonché deliziosissime, di cui Eno è capace. Un altro suo marchio di fabbrica inconfondibile sono le famose "vignette", così eteree da essere quasi meno intrusive del silenzio. Di questa categoria fa parte anche il bellissimo strumentale "Through Hollow Lands", dedicato a Harold Budd. Il brano più famoso del disco è però quella "By This River" voluta fortemente da Nanni Moretti nel suo film "La stanza del figlio". La solita atmosfera rarefatta, con Eno che canta in un tono dimesso e rassegnato, mentre il piano e le tastiere si accarezzano ricamando un tessuto preziosissimo. "By This River" è la pace dei sensi, uno sbadiglio d'anima, il raccoglimento, la calma. E anche un capolavoro. A terminare l'album, la cui seconda parte è molto più rilassata della prima, è "Spider And I", un commosso augurio dissolto in nebulose cosmiche, quasi ad annunciare la nascita di una nuova era. Già, l'era del "dopo la scienza".

A Berlino, Eno collabora a un'altra grande trilogia, quella del "dandy elettronico" David Bowie: "Low", "Heroes" (con Fripp alla chitarra) e "Lodger" segnano il momento più sperimentale dell'opera del Duca Bianco, coniando un suono molto influente sulla successiva stagione new wave europea. Ma Eno imprime il suo segno anche sulla musica dei Talking Heads ("More Songs About Buildings And Food", "Fear Of Music" e "Remain In Light") e sulla neonata scena "no wave" newyorkese, pubblicando "No New York ", una fondamentale raccolta in cui compaiono gruppi come DNA, The Contorsions e altri. Sempre di questi anni sono le collaborazioni con Ultravox e Devo in ambito rock, e con Harold Budd e Jon Hassell nel campo dell'avanguardia.

 

La carriera solista del "non musicista" più famoso del rock si concentra, invece, sullo sviluppo della ambient music, attraverso due suggestivi album come Music For Films (1978) e Music For Airports (1979). Il primo è un collage di 18 miniature strumentali, fatto di atmosfere estatiche e oniriche, vortici spaziali, delicate trame sonore. Una sublimazione, in chiave minimalista e romantica, della "musique concrete", che passa anche attraverso sonate d'intensità romantica ("Slow Water") e religiosa ("Sparrowfall", "Events In Dense Fog", "Final Sunset").

Music For Airports, invece, rientra in un progetto di "musica per ambienti" studiato da Eno con Harold Budd e Jon Hassell. L'obiettivo è creare una musica di sottofondo studiata per le ampie hall degli aeroporti, ma anche per le sale d'attesa, per i padiglioni delle mostre e delle gallerie d'arte. La musica come arredamento. Gli ambienti come gigantesche scatole da riempire di suoni. La fine del concetto tradizionale di "ascolto" e la nascita di un nuovo genere di colonna sonora, studiata per accompagnare spazi, non immagini. Più che un disco, Music For Airports è un trattato di musicologia, una sintesi definitiva di quella stagione di ricerche sonore avviata da Erik Satie nel 1888 con il brano "Gymnopedias" e proseguita negli anni 60 e 70 da pionieri come Terry Riley, Steve Reich e John Cage, oltre che dallo stesso Eno. Music For Airports è il coronamento di quei progetti: è solo con la sua pubblicazione, infatti, che viene ufficialmente coniata l'espressione "ambient-music".

Nelle sue alchimie da scienziato autodidatta, Eno procede in realtà per sottrazioni. Nel 1968 aveva già teorizzato la "Musica per non musicisti", patrimonio non più di compositori ed esecutori, ma di "geniali incompetenti", manipolatori di nastri, synth, equalizzatori e altri marchingegni elettronici. Poi, con le sue "strategie oblique", aveva deciso di svuotare la musica stessa della sua polpa, riducendola a un puzzle indistinto di suoni e toni, riciclati in studio con complesse operazioni di ingegneria genetica. Così scarnificata, mutilata delle sue tradizionali strutture armoniche, la musica diviene nient'altro che parte di un ambiente - che sia la sala d'attesa di una stazione o il padiglione di un aeroporto - ne assorbe l'atmosfera e i rumori, tramutandosi in un sottofondo che non richiede più un ascolto accurato (ecco l'ultima "sottrazione"). E' musica che spesso non supera le 100 battute al minuto e a volte risulta totalmente priva di parti ritmiche. Musica che nel rapporto simbiotico con lo spazio trova la sua principale ragion d'essere.
L'ambiente prescelto è dunque l'aeroporto, crocevia internazionale, punto d'arrivo e di partenza, luogo di incontri e di separazioni, di attese e di tensioni. L'obiettivo di Eno è infondere nei suoi frequentatori un senso di calma e di speranza, stemperandone progressivamente lo stress. L'esperimento venne realmente effettuato per un periodo nel terminal dell'aeroporto LaGuardia di New York, pochi mesi dopo l'uscita del disco.
Sorta di sinfonia "metaclassica" suddivisa in quattro movimenti, minimalista fin nei (quasi inesistenti) titoli delle tracce, Music For Airports rivoluziona il concetto di creazione musicale, ma anche quello di fruizione della stessa. Il rapporto spazio-acustica si risolve in un'alternanza di silenzi, frasi di piano e synth, corali e voci femminili, il tutto debitamente scomposto e ricomposto alla consolle. Il suono si sprigiona lentamente, è astratto, pittorico, mentale. Eppure non si limita a fare da "tappezzeria" al luogo, ma contribuisce a definirne la percezione, fin quasi a confondersi con esso. Tutto è soffuso, incorporeo, rarefatto. Ribaltando il tradizionale invito rivolto agli ascoltatori sulle copertine dei dischi, verrebbe da dire "To be played at minimum volume".
Nell'ouverture, un meraviglioso adagio al rallentatore di sedici minuti, è Robert Wyatt a creare un'atmosfera di estasi elettronica, reiterando all'infinito eteree frasi di piano, contrappuntate dagli altri strumenti in fuga libera e rielaborate da una sapiente regia al mixer. Il secondo brano è costruito su echi e sovrapposizioni di un coro femminile a cappella che infonde un senso di vuoto e di vertigine. Il terzo è una piece pastorale che combina il coro con un pianoforte, fungendo idealmente da sintesi fra i due movimenti precedenti. Il quarto, un solo di synth dai toni più cupi, pare quasi studiato per lasciare un senso di intrigante incompiutezza. Music For Airports, infatti, potrebbe proseguire all'infinito, e continuerebbe sempre a riservare qualche impercettibile sorpresa. Dietro le sue lente fluttuazioni, la sua calma ossessiva, i suoi pattern ipnotici, si cela una suspense maligna, l'attesa per un colpo di scena che pare non arrivare mai, ma che a ogni nuovo ascolto potrebbe sopraggiungere. Ma forse è proprio questo, il suo colpo di scena.

Il progetto continua, tra vortici sonori ed echi cosmici, con Films, On Land, che accentua la componente "thriller" dei suoi acquerelli ambientali, dando spazio a sonorità più tetre e minacciose. Il lato più "cosmico" della sua muusica sarà invece protagonista di Apollo: Atmospheres & Soundtracks del 1983. Ma Eno vuole cimentarsi anche con l'arte visiva. E così nascono i video-affreschi di "Fifth Avenue" e "Mistaken Memories", che celebrano in chiave artistica la nascita del nuovo mezzo multimediale della videocassetta.

Negli anni '80, il "non musicista" di Woodbridge diventa una sorta di guru universale del rock, creando una scuderia di talenti e producendo un'infinità di dischi. Il tutto in perfetta autonomia, senza mai dipendere dalle strategie commerciali delle case discografiche, ma solo dal proprio studio di registrazione privato. Dal 1980 inizia a collaborare con il fratello Roger e, soprattutto, con il tecnico del suono canadese Daniel Lanois. In questo periodo, Eno è attento anche a diverse altre realtà collaborando con artisti del Ghana (Edikanfo), sovietici (Zvuki Mu), italiani (Teresa De Sio) e interessandosi alla musica etnica.

Il grande ritorno al rock è sancito dalla produzione di "The Unforgettable Fire" (1984) e "The Joshua Tree" (1987) degli U2. Grazie allo straordinario successo di questi due album, Eno diventa uno dei produttori più richiesti al mondo, anche se preferisce lasciare questi compiti a Lanois e dedicarsi ad altri progetti tra i quali la fondazione di un'agenzia artistica (Opal) cui fanno riferimento musicisti (il fratello Roger, Lanois, Michael Brook, John Paul Jones) e artisti visuali (registi, fotografi, pittori). Nei primi anni '90, Eno cura ambiziosi progetti discografici quali Nerve Net (1992), The Shutov Assembly (1992) e le colonne sonore dei film Blue (1993) e Glitterbug (1994), entrambi di Dereck Jarman. Organizza anche installazioni visive, opere multimediali (con Laurie Anderson) e perfino una serie di campionamenti audio per il software dei personal computer.

Ma le sue collaborazioni nel rock lasciano il segno sul decennio: tra gli altri, lavora con Arto Lindsay, Peter Gabriel ("Us", del 1992), per le colonne sonore di "Until The End Of The World" di Wim Wenders e del serial TV "X-Files", negli album "Achtung Baby" (1991) e "Zooropa" (1993) degli U2, nel progetto "Passengers" ("Original Soundtracks I" del 1995) e in "Outside" (1995), l'album del rilancio di David Bowie. "Quel disco - racconta - è cominciato da una sequenza di improvvisazioni che ho recentemente riascoltato e che mi ha impressionato: David improvvisa testi costruiti su armonie complesse, cambia i personaggi modificando la sua voce. E' all'avanguardia su tutto il mondo, in materia di immaginazione e di espressività. Il seguito spero si faccia presto".

Di recente, Eno ha pubblicato l'album, Drawn For Life, scritto, suonato e prodotto con J. Peter Schwalm, dj e musicista di Francoforte, e arricchito dalla voce di Laurie Anderson: undici brani in bilico tra jazz, musica da camera e trip hop. "Provo sempre a fare la musica che mi piacerebbe sentire - racconta Eno -. Il processo nasce da una serie di ascolti durante i quali penso: 'Mi piacerebbe che fosse un po' come questo, un po' come quello'. Così trascorro tutto il tempo disegnando nella mia testa il tipo di musica che vorrei comporre. In questo periodo non ho ascoltato molto jazz o musica colta europea ma riconosco che mi hanno suggerito un territorio fertile. L'altra strada era ripiegare verso quei sentimenti che avevo scoperto sulla musica come tipo di paesaggio sonoro. Ho provato a portare tutto questo verso un tipo di composizione che fosse ritmica e melodica perché per molto tempo ho composto brani senza ritmi ovvii o esili tracce melodiche".

Ma Eno ha prodotto anche "Space", l'ultimo disco dei James che lui definisce "il migliore da quando il gruppo è insieme". Ha aderito al progetto di David Toop, "Sonic Boom: the art of sound", una esibizione all'Howard Gallery di Londra, descritta come "la più vasta esibizione di un gruppo d'arte e suoni mai tenuta in Gran Bretagna", con interventi di Russell Mills e di Lee Ranaldo dei Sonic Youth per sonorità post-rave, post-ambient e post-techno. E tra le "strategie oblique" dell'artista inglese c'è anche Aiming for Zero Landmines-The First Prayer of the 21st Century, colonna sonora di un programma tv giapponese curato da Ryuichi Sakamoto che si propone di abolire le mine. Eno figura, con Kraftwerk e David Sylvian, tra gli autori delle musiche.

 

Se la musica resta la sua attività principale, l'arte è sempre al centro dei suoi pensieri. Ha realizzato presso il Moma di San Francisco "Compact Forest Proposal", parte integrante di una mostra che celebra la tecnologia digitale e l'arte, intitolata "101010". Il progetto di Eno è creare un ambiente musicale senza parole, senza melodia, senza ritmo e che non suoni mai due volte nello stesso modo, attraverso 11 lettori cd che trasmettono musica, rumori, voci lontane, suoni di campane. Infine, il suo grande sogno: ottenere dalle autorità dell'aeroporto di Heathrow (Londra) il permesso di creare una stanza per viaggiatori in cui sia possibile ascoltare "musica attuale per un aeroporto moderno". Sarebbe la logica chiusura del discorso aperto oltre vent'anni fa con Music For Airports.

Nel 2005, a sorpresa, esce Another Day On Earth. Annunciato come un nuovo disco di canzoni, è tutto fuorché un ritorno di Eno ai suoi quattro album "pop". Tanto quelli erano rocamboleschi e imprevedibili, tanto questo è levigato e asettico fino alla monotonia. Un disco di musica ambient in puro Eno-style, solo cantato anziché essere solo strumentale.
Chiarito questo ci si può abbandonare al piacere di un ascolto d'alta classe, privo di scossoni, ma forse non del tutto: perché ascoltando la traccia con cui l'album si apre, "This", qualsiasi fan del Brian Eno "pop" proverà di certo un autentico tuffo al cuore: eccola, una sua tipica filastrocca che ti si appiccica in testa e non va più via. Parole, suoni e melodie tradiscono infatti un Eno malinconico, quasi dimesso, come preoccupato dalla scelta di doversi nuovamente esprimere anche con le parole, oltre che con i suoni. Soprattutto, tornando a cantare dopo tanto tempo, Eno non ritrova più la freschezza vocale che accompagnava i dischi degli anni 70. Si aiuta così con il vocoder nella delicatissima, struggente "And Then So Clear", probabilmente il brano più bello della raccolta.
Il resto del disco purtroppo non è all'altezza di queste due gemme poste in apertura: perché si riallaccia fin troppo alle ultime, non esaltanti, prove ambient del maestro. "Caught Between" trova quantomeno un'atmosfera nuovamente di estrema suggestione e presa emotiva, ma è un episodio piuttosto isolato nel torpore generale. Le sorti dell'album migliorano nel finale grazie alle tenebrose "Bonebomb" e "Just Another Day" e soprattutto alla splendida "Under". Alla fine, è un disco che si lascia ascoltare, ma nel complesso non decolla e non coinvolge mai davvero.

In occasione del venticinquennale di My Life In The Bush Of Ghosts, Eno ricompone lo storico duo con David Byrne. Ma Everything That Happens Will Happen Today, annunciato come un disco di "gospel elettronico", tradisce le attese.
Il punto debole non risiede nella sua propensione al pop, ma nel modo in cui essa è stata realizzata: se infatti l’ossessiva ripetizione del titolo dell’iniziale “Home” o le discrete aperture armoniche della title track presentano se non altro una propria fisionomia, ancorché condita da banalità nello stile e nei testi, non possono definirsi in altro modo che imbarazzanti le soluzioni ritmiche di “Strange Overtones”, il forzato arrangiamento giovanilista di “Life Is Long”, nonché l’incomprensibile andamento da coro da stadio di “One Fine Day”. Ad assecondare il dichiarato intento di electro-gospel resta la sola “Wanted For Life”, pezzo peraltro senza capo né coda. Come in tutto il resto del lavoro, anche qui permane una sensazione di ingiustificata magniloquenza, non supportata nemmeno dalla necessaria interazione tra scrittura ed elementi compositivi: malferma e sfuocata la prima, scialbi e privi di carattere i secondi, che in una sola occasione (“I Feel My Stuff”) lasciano intravedere un tentativo di amalgama altrimenti sconosciuto al resto dei brani.

 

Dopo aver quindi rispolverato alcune dimensioni del suo multiforme genio, il Leonardo Da Vinci della musica rock ritorna al metodo di creazione che gli è più caro per Small Craft On A Mlik Sea, un disco che fa più sensazione per l'altro sotto-ruolo di talent-scout (nei confronti dei due talentuosi Jon Hopkins e Leo Abrahams che partecipano al disco) e soprattutto per il contratto con la Warp che l'ha posto in essere, che per il contenuto in sè.

Eno non riesce ad andare oltre a bozzetti poliritmici come "Bone Jump" e "Dust Shuffle", talvolta pure ricadendo nei suoi ormai antiquati funk modernisti ("Paleosonic"). La sua grazia ambientale si apprezza solo nel preludio (irrisolto) di "Emerald And Lime", al massimo disquisendo per 8 minuti in "Late Anthropocene".

Probabilmente rapito dall'intima volontà di riportarsi in auge per le nuove generazioni, il disco suona confuso e fuori fuoco, distante dal misterioso equilibrio di “Another Green World”, generico nella composizione e chirurgico nella produzione, a dispetto dell’esagerato ventaglio di edizioni bonus (da cui si salva l’umile “Invisibile”).

 

Drums Between The Bells, ancora una volta in collaborazione - stavolta con il poeta-paroliere Rick Holland (che immortala quasi un decennio di incontri artistici tra i due) -, album di cui si serva più che altro per far girare a pieno regime il nuovo contratto Warp, è ancor più svogliato.


Nel 2012 compare su App Store il suo nuovo nato in termini di programmi di musica generativa, Scape, sempre in collaborazione con Peter Chivelrs (con cui già hanno dato vita alle varie Bloom, Trope e Air).
Ciò gli serve anche a completare il suo ritorno in pompa magna. Proprio grazie a questa app riesce a realizzare una nuova opera-simbolo della sua non-musica, il disco in solitaria di natura ambientale. Lux è così un insieme di pièce estese che vorrebbero continare la tradizione dei suoi grandi continuum "discreti" ma che si tradiscono nel cercare di prevaricare la dittatura del mezzo "generativo" a suon di evocazioni forzose e generiche, pur con qualche momento di sapienza di mestierante e intensità di poeta evocativo, dimenticandosi della sua classica spontaneità passata.

A grande sorpresa, il capitolo successivo del decennio Dieci di Eno segna due anni dopo un mezzo ritorno a quel famoso quadrilatero di indimenticati capolavori che aveva preceduto la dedizione ambientale. Lavorato a quattro mani con la mente degli Underworld Karl Hyde, Someday World non è né cerca di essere il sequel di Before And After Science, ma di sicuro ne recupera parecchi tratti somatici aggiornandone suoni, idee, spunti ed estetica ai tempi che corrono. Si prendano ad esempi lo splendido tripudio post-funky di “Daddy's Car”, la variegata “Man Wakes Up” e il tribale di “When I Built This World”. Idee coinvolgenti e interessanti che riescono a tradursi in buone canzoni, il cui vero punto di forza sono quegli arrangiamenti squisitamente arty che Eno continua a saper cavare dal cappello come nessun altro. Proprio questi ultimi riescono nell'intento di risollevare anche i pezzi sulla carta più deboli, come il climax di “Witness”, la ballata “Mother Of A Dog” e la troppo sdolcinata chiusura di “To Us All”.
I colpi da maestro non mancano di riaffermare quella brillantezza che recentemente pareva essersi inaridita e spenta: il delizioso carillon dalle parti di Peter Gabriel di “Strip It Down”, la gemma-omaggio al Foxx romantico di “Who Rings The Bell” e la fantasiosa ed elegante nostalgia nineties di “The Satellites”. Non c'è da gridare al miracolo, ma da elogiare un'operazione che riesce nell'intento di guardare al passato tenendosi ben distante dalla mera imitazione e sfoggiando una carica di classe, eleganza e sobrietà, caratteristiche che Eno ha sempre messo in primo piano e che (troppo) spesso mancano al giorno d'oggi.

Pochi mesi dopo è la volta di High Life, secondo e inatteso capitolo della collaborazione fra Eno e Hyde. Sei soli brani, sei lunghe cavalcate principalmente strumentali, che rappresentano davvero l'altra faccia della medaglia del loro dialogo artistico, priva però di quell'intesa perfetta e nascosta che aveva giocato il ruolo di ingrediente segreto e decisivo. I due si limitano piuttosto a ripescare nel glorioso passato dell'Eno produttore, abbandonandosi quasi del tutto al mestiere e alla nostalgia. Ciò non significa che non ci si trovi di fronte a sporadiche dimostrazioni di classe, come la folgorante apertura di “Return” - nove minuti di come “The Joshua Tree” suonerebbe nel 2014 -, e l'apoteosi chitarristica di “Lilac”. Funky è la parola d'ordine oggi come ai tempi dei Talking Heads, riesumati senza cuore su una “DBF” da orgasmo formale, che alla lunga però stanca, e su una “Moulded Life” il cui piglio sci-fi si rivela presto anacronistico. Illude pure “Time To Waste It”, sorta di ethno-gospel dove Hyde mette lo zampino (e la voce distorta) ma che non nasconde alcun sentimento dietro l'indubbia eleganza. C'è poi l'episodio almeno in parte fuori dal coro, ovvero “Cells & Bells”, si legga Eno che sale in cattedra e ricorda a tutti di essere pure il maestro e l'iniziatore dell'ambient music per come la conosciamo oggi da molto prima di Music For Airports. Ma non è solo l'inarrivabile paradiso della seconda metà di Before And After Science a essere fuori portata, bensì pure le profonde e maestose suggestioni dei momenti migliori di Another Day On Earth. Hyde, dal canto suo, ci infila l'inconfondibile tocco Underworld, fatto di spirali e vortici sintetici, ma di nuovo è solo la classe a superare l'ordinario. 

Nel 2016 è la volta di un nuovo capitolo solista, sesta pubblicazione in sei anni dopo il salutare approdo a casa Warp. The Ship suona già dal nome come la chiusura di un cerchio che ha la figura della nave come denominatore costante, non-luogo di continuità e distacco dalla dimensione terrena e anche unico mezzo capace di segnare il distacco stesso. La title track, muovendo da riflessioni sulla natura ondulatoria tra alti (aspirazioni, tradotte in un sacrificio del mondo in nome della tecnica) e bassi (fallimenti della tecnica stessa) della vita umana, racconta il viaggio verso quel "mondo senza suono" sognato in "Spider And I" e raggiunto sonoramente attraverso la musica generativa. Eno maschera la sua voce, la disumanizza, impasta stralci di ricordi strappati ai loro contesti e metafore vaghe, fra lievi mutazioni elettroniche sparse, ululati notturni e sinistri che si alternano a progresioni armoniche fioche, su un fondale di tessiture drone appena percettibili. Il sole flebile in eclisse si erge protagonista nei diciotto minuti del primo omonimo movimento di "Fickle Sun", in un crescendo che si fa quasi sinfonico verso la metà del brano. Pronto a venire inghiottito dalla funerea onnipresenza della voce, prima libera dal vocoder e umana, poi sempre più fredda, oscurata, avvinghiata e dissonata dalla morsa di frequenze velenose sul finale.
Introdotto dal recital sospeso di "The Hour Is Thins", il proto-paradiso di "I'm Set Free", inattesa e sorprendente cover dai Velvet Underground, è forse il primo vero ritorno alla forma canzone dai tempi di Before And After Science senza l'ausilio di Karl Hyde. Eno la trasforma in una ballata languida, quasi spensierata, da parte di chi sulla nave ormai ci è salito e ha voluto salutare, con mutata consapevolezza della sua finitudine, il mondo prima di salpare.
"I'm set free to find a new illusion": la meta del viaggio, proprio per la sua indefinizione, è ancora tutta da scoprire.

A meno di un anno dall'album in senso proprio, il primo di gennaio del 2017 Eno consegna al mondo il suo nuovo oggetto musicale, inteso come oggettivazione ultima del proprio pensiero creativo.
Reflection: proiezione esteriore del sé osservata coi propri occhi, unico strumento di lettura visiva del reale. Nella maniera più semplice e innocente possibile, quest'ultima opera rischia di mettere in discussione tutto ciò che l'ambient è stata da Discreet Music in poi: materiale sonoro che, come gli "arredamenti" di Erik Satie, auspicava di assestarsi sul secondo piano percettivo per agire "di riflesso" sull'esperienza – di vita, più che d'ascolto – di coloro che si trovassero entro il suo raggio; e che invece, nella sua discreta perfezione, ritornava protagonista e surclassava per manifesta superiorità ogni altro stimolo concomitante.
Primo piano, secondo piano, riguardano ancora una soglia percettiva a noi prossima. Reflection non occupa né l'uno né l'altro: è esso stesso il piano, il grado della neutralità, lo zero attorno al quale tutto esiste e si manifesta. Ovviamente non si tratta del silenzio, bensì di uno spazio trasparente e traspirante sul quale stille di suono puro precipitano, si depositano e si espandono in cerchi concentrici.
Se lo stato meditativo coincide col faticoso – se non impossibile – annullamento dell'azione cerebrale, lungo lo spazio di questi 60 minuti Brian Eno compie forse il suo definitivo esercizio di assenza, abbandonando anche il più tenue carattere immaginifico per fare il passo decisivo verso la vacuità digitale di un salvaschermo della mente, pellicola infinitamente sottile adagiata sulla realtà sensibile.

Nel 2018 viene pubblicato il box Music For Installations, che raccoglie materiale in gran parte già pubblicato su cd in edizione limitata a marchio Opal. Con questi lavori Eno è giunto a tagliare i ponti fra il procedimento di riduzione e il suo risultato finale, eliminando apparentemente la distinzione tra il noumeno e il fenomeno del suo artigianato sonoro.
I suoi procedimenti di sintesi espressiva trovano dunque un nuovo compimento nelle opere installative, le cui composizioni ad hoc vengono proiettate in un orizzonte potenzialmente infinito, dialogando con spazi e oggetti fisici e così modificando la comune esperienza del tempo in musica, inseguendo l’utopia di una musica autonoma e immortale, sempre meno dipendente dall’azione umana per potersi (ri)generare ad libitum.
Dalle opere realizzate per esposizioni personali al dialogo con sculture ("I Dormienti") e collezioni museali ("Lighting"), passando per software dalle innumerevoli combinazioni audiovisive ("77 Million Paintings"), ogni parte di questa preziosa collezione d’arte racchiude in nuce il motivo stesso per cui oggi ascoltiamo e guardiamo con riverenza all’opera di Brian Eno, che a dispetto delle apparenze non ha mai smesso di inseguire nuovi livelli di perfezione formale attraverso i quali sopravvivere a se stesso, consegnando ai posteri un’eredità musicale inesauribile.

Il 2020 è l'anno della prima collaborazione ufficiale col fratello Roger. Colori e mondi che si confondono tra per dare vita al nuovo Mixing Colours, figlio una lunga serie di piccole composizioni per piano di Roger, successivamente riviste e modificate da Brian, in modo abbastanza simile alle due collaborazione di Brian Eno con Harold Budd di “The Plateaux Of Mirror” (1980) e “Pearls” (1984). Le brevi bozze di piano di Roger sono manipolate dal fratello e arricchite di nuovi colori timbrici (da qui il nome) che danno nuova essenza a quello che poteva essere un semplice nuovo album di modern classical per piano.
La leggerezza romantica di Roger si collega all’elettronica di Brian per aprire nuovi scorci di luce dove è il colore a dominare. Brani come “Blonde”, “Obsidian”, “Cerulean Blue”, “Celeste” manifestano l’intento di ricerca timbrica che alterna romanticismo a ricerca di estasi quasi religiose, sonate di piano classiche a ricerche di da un'immagine (sonora) a sfuocati paesaggi della memoria. Tra i tanti brani, diciotto per una durata di settantacinque minuti, i più riusciti risultano essere quelli dove l’equilibrio tra melodia e timbro appare meglio messa a fuoco, come nei tintinni di “Spring Frost” o “Burnt Umber”, gli organi religiosi di “Obsidian”, i giocosi squarci modern classical di “Blonde”, la ninna nanna elettronica di “Verdigris”, lo stile sonata classica a là Erik Satie di “Iris”.

Dopo un ventennio Eno affida nuovamente al canto un ruolo primario, una scelta che ha creato un’attesa quasi spasmodica per FOREVERANDEVERNOMORE (anche se questo era già accaduto con Another Day On Earth), ma il vero motivo d’interesse, è la profonda riflessione sul futuro del pianeta e sull’emergenza climatica, nodo centrale di un disco che idealmente si ricollega alle tematiche di  Another Day On Earth, il terrorismo, e a The Ship, l’orrore della guerra. Con queste esplicite premesse concettuali in molti hanno sperato in una rivoluzione creativa, ma musicalmente FOREVERANDEVERNOMORE è un disco dimesso e solenne, ricco di quelle già note affinità con il tardo Scott Walker o David Sylvian. Un confronto che è evidente nei due episodi più intensi del progetto, in primis la notevole “There Were Bells” un flusso di synth dal tono ostile che neanche il canto degli uccelli e le ambientazioni oniriche e cosmiche riesce a stemperare del tutto. Ancor più aspre le stratificazioni minimal di “Garden Of Stars”, tra cascate di oscure trame di synth ed uno spietato richiamo alla realtà: “Questi miliardi di anni finiranno”. Il non-musicista non è mai stato così fatalista e drammatico.
Ma FOREVERANDEVERNOMORE è nonostante tutto un disco ambient: anche l’uso della voce è funzionale a un corpo unico fortemente descrittivo (“We Let It In”), languori strumentali e vocali, tra i quali una voce femminile, accennano paesaggi glaciali (“I'm Hardly Me”), fino a quasi scomparire (“Making Gardens Out Of Silence In The Uncanny Valley”, “Inclusion.
La peculiarità di FOREVERANDEVERNOMORE è quella di essere l’album più antropico e passionale del musicista inglese, un capitolo che segna un confine di cui ci è ancora ignota la dimensione fisica e temporale.

Nel 2023 esce Secret Life, pubblicato dall’etichetta Text, di Four Tet, nato dall’unione del pioniere dell’ambient Brian Eno e del produttore, enfant prodige e hit-maker Fred Gibson, in arte Fred Again. La collaborazione tra i due inizia molto tempo fa, quando Brian Eno aiuta il giovane deejay a inserirsi nel mondo della produzione di artisti ad alto profilo quali Ed Sheeran, Sweedish House Mafia e molti altri. Nel 2020 lo spinge a pubblicare l’album che lo consacra alla fama, “Actual Life”, rilasciato durante la prima fase della pandemia, caratterizzato da campionamenti sonori di video YouTube, Instagram, estratti di slam poetry, voci di amici dell’artista e di perfetti sconosciuti. Nello stesso anno inizia il progetto Secret Life, che viene rilasciato solo nel 2023 concludendo la trilogia di "Actual Life".
L’album contiene molti dei capisaldi dell’ambient: campionamenti vocali, note di pianoforte che decadono lentamente, voci rallentate, sintetizzatori sparsi, un fruscio statico, il tutto meravigliosamente tenuto insieme dalle basi caleidoscopiche del pioniere Eno. Tra i momenti più efficaci, la rarefatta declamazione iniziale di "I Saw You", la spiazzante "Cmon", che sembra quasi implodere su se stessa dopo i groove di basso iniziali, e l'onirica "Trying", con gli struggenti vocals di Lola Young.
La produzione è eccellente - d’altronde non potrebbe essere altrimenti, considerati gli artefici- e la successione dei brani al suo interno consente all’ascoltatore di accedere a un unico e prolungato panorama introspettivo.
Il disco inonda lo spazio e attiva la corteccia cerebrale, richiama l’attenzione e chiede di essere anche ascoltato. La compartecipazione dei due artisti trasforma delle tecniche preesistenti in un prodotto mainstream, accessibile a tutti, creando un nuovo modello di percezione emozionale, in un prisma di influenze inserite in rapida rotazione.
Attraverso i rumori e le campionature, attraverso la voce, che a sua volta diventa rumore, Brian Eno e Fred Again hanno prodotto un album che si può sia sentire che ascoltare, anzi, che si deve sia sentire che ascoltare, che in un ellissi cognitivo emozionale crea un nuovo spazio sonoro per la musica ambient.

 

Contributi di Matteo Meda ("Someday World", "High Life", "The Ship"), Michele Mininni ("Before And After Science"), Michele Palozzo ("Reflection", "Music For Installations"), Mauro Roma ("Another Day On Earth"), Raffaello Russo ("Everything That Happens Will Happen Today"), Michele Saran ("Small Craft On A Milk Sea", "Drums Between The Bells", "Lux"), Valerio D'Onofrio ("Mixing Colours"), Gianfranco Marmoro ("FOREVERANDEVERNOMORE"), Giulia Papello ("Secret Life")

Brian Eno

Discografia

Here Come The Warm Jets (EG, 1973)
No Pussyfooting (w/ Robert Fripp, 1973)
Taking Tiger Mountain By Strategy (EG, 1974)
Evening Star (w/ Robert Fripp, 1975)
Another Green World (EG, 1975)
Discreet Music (EG, 1975)
Music For Films (EG, 1978)
After The Heat Sky (Skyclad, 1978)
Fourth World, Vol. 1: Possible Musics (1980)
Day of Radiance (1981)
Empty Landscapes (1981)
On Land (EG, 1982)
Apollo: Atmospheres & Soundtracks (EG, 1983)
Music For Films vol.2 (EG, 1983)
Begegnungen (Gyroscope, 1984)
The Pearl (with Harold Budd, EG 1984)
Working Backwards (anthology, EG, 1984)
Thursday Afternoon (EG, 1985)
Begegnungen II (Gyroscope, 1985)
More Blank Than Frank (anthology, EG, 1986)
Desert Island Selection (anthology, EG, 1986)
Music for Films, Vol. 3 (Opal, 1988)
Imaginary Landscapes (1989)
Boxed Set (anthology, 1989)
Wrong Way Up (w/ John Cale, Opal, 1990)
One Word (1991)
My Squelchy Life (1991)
Shutov Assembly (Opal, 1992)
Nerve Net (Opal, 1992)
Neroli (Gyroscope, 1993)
Instrumental (Alex, 1993)
Eno Box II: Vocals (Virgin, 1993)
Eno Box I: Instrumentals (Virgin, 1994)
Dali's Car (Griffin, 1994)
Here Come the Warm Jets/ Another Green... (Virgin, 1994)
Essential Fripp & Eno (anthology, 1994)
Headcandy (Ion, 1994)
Instrumental (anthology, Alex, 1994)
Vocal (anthology, Virgin, 1994)
Spinner (w/ Jah Wobble, Gyroscope, 1995)
The Drop (Thirsty Ear, 1997)
Lightness (Opal, 1997)
Music for Ommyo-ji (Victor Japan, 1998)
Drawn from Life (Astralwerks, 2001)
Bell Studies (Opal, 2003)
Another Day On Earth (Hannibal, 2005)
Everything That Happens Will Happen Today (w/ David Byrne, everythingthathappens.com, 2008)
Small Craft On A Milk Sea (w/ Jon Hopkins & Leo Abrahams, Warp, 2010)
Drums Between The Bells (w/ Rick Holland, Warp, 2011)
Lux (Warp, 2012)
Someday World (w/ Karl Hyde, Warp, 2014)
High Life(w/ Karl Hyde, Warp, 2014)
The Ship(Warp, 2016)
Reflection (Warp, 2017)
Music For Installations(Opal / Universal UK, 2018)
Mixing Colourswith Roger Eno (Deutsche Grammophon, 2020)
FOREVERANDEVERNOMORE(Verve/UMC, 2022)
Secret Life (con Fred Again) (Text, 2023)
Pietra miliare
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