Non ho nessuna ambizione, credo di essere fuori luogo
perché preferirei andare a pescare che prender parte a una gara.
Sono pigro di natura, cosa ci posso fare?
Sono nato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato
(Am I Really Marcel?)
Kevin Ayers è uno di quei personaggi finiti clamorosamente nel ripostiglio della memoria collettiva. In parte, perché è certamente difficile emergere dal ginepraio dei nomi che hanno animato la scena musicale degli anni Sessanta e Settanta. Ma la dimenticanza storica del biondo ex-bassista dei Soft Machine è, prima di tutto, la scelta personale di un uomo “senza ambizione, fuori luogo e pigro di natura”. Il risultato di un autogol voluto e cercato. Di un musicista abituato a sparire dalle scene quando nessuno se lo aspettava. O, per meglio dire, quando ancor meno conveniva alla sua carriera.
Canterburiano d’adozione, Kevin Cawley Ayers nasce in un paese marittimo del Kent (Herne Bay) il 16 agosto del 1944. Suo padre è il poeta e produttore della Bbc Rowan Ayers, che in seguito avrebbe lanciato il celebre programma di musica rock "The Old Grey Whistle Test". Dopo il divorzio dei genitori, Kevin trascorre la sua infanzia in Malesia a causa del lavoro del patrigno, un impiegato della diplomazia inglese: è proprio lì che il giovane Ayers impara quell'amore per la vita semplice e il relax che avrebber condizionato tutta la sua vita. Malgrado le apparenze, la vita malese non è tuttavia sempre facile, specialmente quando il piccolo Kevin si ritrova essere l'unico bianco in una scuola di 80 alunni. Non gli va meglio neanche quando sua madre lo iscrive in un collegio cattolico, che Ayers ricorda "pieno di preti omosessuali" pronti a contendersi il piccolo angelo biondo.
Durante la sua adolescenza, Kevin ritorna con la famiglia in Inghilterra, a Londra, per poi stabilirsi a Canterbury attorno al 1961. Anche questa tappa non è una scelta voluta: viene infatti spedito in campagna dopo aver avuto dei guai con la polizia. Proprio qui, Kevin ha però modo di entrare nella Wellington House dei genitori di Robert Wyatt, grazie alle conoscenze della sua ragazza: si tratta di Jane, la sorella di Pye Hastings, il futuro leader dei Caravan. Fra le persone che frequentano la casa vi sono tutti i protagonisti principali della futura scena di Canterbury: i fratelli Hugh e Brian Hopper, i cugini Richard e David Sinclair, Mike Ratledge. C'è, ovviamente, anche il freak australiano Daevid Allen, il vero catalizzatore del gruppo. La leggenda vuole, tuttavia, che Robert Wyatt avesse già sentito parlare di Kevin Ayers prima di allora: era infatti l’unico ragazzo nel Kent orientale a portare i capelli lunghi, a quell'epoca fonte inevitabile di guai. Anche l’attore Julian Glober, fratellastro di Wyatt, lo ricorda come “il primo a portare camicie di jeans e medaglioni: assolutamente stupendo”.
Dopo aver bazzicato con gli amici tra Maiorca e Londra, Kevin Ayers inizia la sua esperienza artistica dapprima nei Wilde Flowers e poi nei Soft Machine, di cui è cantante, bassista e principale compositore nel primo album. Come succederà spesso durante la sua carriera, Kevin decide tuttavia di abbandonare le scene quando capisce di essere inadatto ai ritmi estenuanti dei tour. Nel 1968, i Soft Machine si ritrovano infatti girovaghi negli Stati Uniti al seguito di Jimi Hendrix, al culmine della sua fama. Il bassista trascorre così le sue serate in compagnia di decine di donne e fiumi di alcol, due fattori che diverranno una costante nella sua vita; si arriverà perfino a vociferare che di Ayers esistono solo tre tipi di canzoni: canzoni sul bere, canzoni da ubriaco, canzoni sui postumi da sbornia.
A un certo punto, però, anche la migliore delle feste finisce. Nonostante l’apparente gioia di vivere, proprio come il Grande Gatsby, Ayers porta in sé quella vena malinconica, quello spleen tipico dei decadenti, che lo accomuna all’amico Robert Wyatt. Inizia quindi a stufarsi dei party e preferisce rimanere in hotel a cucinare pesce su un fornelletto da campeggio. Nick Mason, che in quel periodo trascorre molto tempo con la band, lo ricorda perennemente intento a mangiare riso integrale e a seguire una dieta macrobiotica. Non proprio l’atteggiamento che ci si aspetterebbe da una rockstar.
Non andavo più alle feste. Mi estraniai da tutto ciò che accadeva intorno a me, per via della violenza e degli eccessi. Nei momenti peggiori era: aereo, albergo, concerto, albergo, aereo, concerto, Mike [Ratledge] e io restavamo in camera: lui a leggere libri, io a guardare il soffitto.
Alla fine del tour, Ayers compie la sua decisione, vende il suo basso a Mitch Mitchell e si mette in viaggio verso le Baleari. Il primo album dei Soft Machine vende però inaspettatamente più copie del previsto ed entra nella Top 40, tanto che la band è costretta a riunirsi per rispetto dei vincoli contrattuali. Di Ayers si sono invece perse le tracce: non è solo la stanchezza a frenarlo, ma è soprattutto la svolta jazz imposta ai propri compagni da Mike Ratledge. I Soft Machine si stavano difatti allontanando sempre più dalla melodia e dalla forma-canzone a favore di pezzi strumentali e totalmente free. Non è la strada voluta da Kevin Ayers. Non sarà neanche quella di Robert Wyatt... Ma questa è un'altra storia.
Gli esordi da solista: ludiche gioie e spari alla luna
Nonostante le premesse, il primo canterburiano a esordire come solista nel 1969 è paradossalmente proprio Ayers. Complice e promotore della sua ritrovata fiducia è Jimi Hendrix, che lo spinge a continuare regalandogli una Gibson J-200. Dopo un breve soggiorno alle Baleari, Kevin decide quindi di rientrare a Londra e inizia a comporre il suo esordio solista, tra vecchi spunti dei Soft Machine e nuove ispirazioni. È proprio con quel materiale che si presenta alla fine da Malcolm Jones della neonata etichetta Harvest (“succursale” progressiva della EMI), che gli propone di registrare assieme a Peter Jenner per la somma – allora esorbitante – di £4.000.
Il titolo, Joy Of A Toy, riprende un brano presente sul primo LP dei Soft Machine, ma allude anche agli strumenti-giocattolo usati per comporre il disco. Le tracce sono infatti il frutto dello stravagante modo di Kevin Ayers di miscelare in un unico pentolone un sense of humour tipicamente infantile, una nostalgica e adulta malinconia, la sensualità dei paesi esotici, la spontaneità dell’arte dada e le follie del rock psichedelico. Una serie impressionante di strumenti non convenzionali (oboe, violoncello, ottavini, oboi, kazoo, trombette, fischietti) sono stati utilizzati, portati in dote da una lunga sfilza di musicisti ospiti, tra cui spiccano i suoi ex-compagni dei Soft Machine e l’arrangiatore David Bedford, che ci mette il suo filo d’Arianna.
Ad aprire le danze è proprio la marcetta lisergica di “Joy Of A Toy Continued”, il giusto anello di congiunzione tra il passato e il presente: non è un caso che sia proprio Wyatt a sedere alla batteria. “Song For Insane Times” incorpora invece l’intera line-up dei Soft Machine, rendendo la melodia inevitabilmente più jazz, con un suono fedele alla matrice canterburiana in tempi dispari e una torsione maniacale verso la fine, dove Ratledge impazza sul suo organo; pochissimi musicisti rock hanno sublimato così bene la loro delusione per la cultura degli anni Sessanta come Ayers in questa canzone. Nel novero sono presenti alcuni componimenti pop dal dinamismo molto particolare, come il viaggio lisergico di “Stop This Train (Again Doing it)” e il mix focoso di tromboni e mellotron su “The Clarietta Rag”, mentre nelle due inquietanti visioni di “Girl On A Swing“ e “Lady Rachel” (dedicata alla figlia), la musica assume perfino contorni sinistri, con immagini di struggenti e arcane malinconie. Una fiaba psichedelica à-la Lewis Carroll, che capovolge i valori del mondo di superficie e avvolge anche l'ambivalente folk di "Eleanor's Cake (Which Ate Her)", dedicata a Eleanor Barooshian, che aveva fornito assieme alle Cake il controcampo nel brano "Why Are We Sleeping?" dei Soft Machine.
C'è spazio anche per i riti dell’infanzia: “Oleh Oleh Bandu Bandong” viene infatti cantata in Malay, in ricordo degli anni di Kevin in Malesia con la famiglia. Chiude l'edonistica lode folk alla vita di “All This Crazy Gift Of Time”, come a ricordarci che in fondo era ancora la Londra acida di Donovan e dell’amico Syd Barrett, presente nella bonus-track con la sua chitarra in “Religious Experience (Singing A Song In The Morning)”.
Nonostante il titolo, in realtà Joy Of A Toy si rivela un disco molto più complesso, in grado di miscelare con sapienza proto-glam, acid-folk, psych-rock e allegorie demodé assai vicine ai Pink Floyd del periodo barrettiano. Luci e ombre, dunque, e non solo la colonna sonora di un pomeriggio di sole e ozio: dietro al sorriso naïf di Kevin Ayers c’è molta più amarezza.
Subito dopo aver pubblicato il disco d’esordio, Ayers di rende conto di aver bisogno di una band stabile come supporto e chiama alla sua corte alcuni dignitari di Canterbury, nominando superbamente la nuova formazione “The Whole World”. Tra tutti gli album di Ayers, Shooting At The Moon (1970) è di gran lunga il più sperimentale e difficile da definire, risultando maggiormente disomogeneo rispetto al resto della sua produzione. Si potrebbe perfino dire che, nella sua schizofrenia, suona come avrebbero suonato i Soft Machine se avessero proseguito con Kevin Ayers. Eppure, quando ci si ricorda che “il mondo intero” venuto in suo aiuto è composto da quattro artisti eclettici, la sua stravaganza ci appare come una lucida forma di follia; sono infatti presenti personaggi come Lol Coxhill (sax), David Bedford (tastiere, chitarra, fisarmonica, marimbafono), Mick Fincher (batteria, percussioni) e il diciasettenne Mike Oldfield (basso, chitarra), su cui Ayers è pronto a scommettere.
Kevin mi prese sotto la sua ala, in un certo modo: invece di voler insegnarmi la musica, lui voleva insegnarmi la vita. E’ difficile spiegare il perché tutto questo è stato importante per me. Dalla lite che ho avuto con mio padre prima di lasciare Reading, ho sentito di aver perso un’àncora. Non stavo esattamente cercando una nuova figura paterna, ma avevo bisogno di qualcuno di cui fidarmi, qualcuno su cui poter fare affidamento come guida. (Mike Oldfield)
Con il secondo album siamo lontani dal reame del bello e le canzoni vengono sempre quantomeno portate fuori dal recinto del normale. Spesso fino all’assurdo. Non è però questo il caso di “May I?“, chanson da cafè parigino della Rive Gauche, scandita dal sassofono di Lol Coxhill e dal basso di Mike Oldfield che guidano il gruppo nella parte successiva della canzone, dove David Bedford alla fisarmonica e la voce baritonale di Ayers deviano la traccia in un romantico vaudeville. Semmai non rendesse l’idea, fra le bonus track della ristampa in commercio ne è presente una versione in francese, dal titolo “Puis Je?”.
Ma la pazzia è dietro l’angolo e così, oltre la barricata, vi è un triangolo di canzoni piuttosto sperimentali, a iniziare dalla pièce d'avanguardia di “Rheinhardt & Geraldine/Colores Para Dolores”, con incipit canterburiano, sviluppo rock psichedelico con increspature progressive, e quindi una repentina cascata di tapes a clonare lo spazio abitualmente assegnato all’assolo. Poi via di nuovo nel tema principale a chiudere, come niente fosse. Strutture e concetti che avremmo apprezzato un quarto di secolo dopo, negli eretici campionamenti prog dei Tortoise o nelle surreali divagazioni di Jim O’Rourke.
Ayers dà pure la sua versione del rock’n’ roll con la babilonica “Lunatic’s Lament”, prima di perdersi nei suoni in forma libera di “Pisser Dans Un Violon” (“pisciare in un violino”, recita un colorito adagio francese), caracollando fra silenzi, brusii e sparute improvvisazioni d’archi: una sfida che conduce fra le pieghe di un’avanguardia sottilmente allucinata.
Il Kevin Ayers cantastorie visionario e dolceamaro è tuttavia ancora presente in brani come “The Oyster And The Flying Fish” (in duetto con Bridget St. John) e “Clarence in Wonderland”, scritta quando si trovava con Daevid Allen su una spiaggia a Dejà nel 1966, in ricordo di una festa privata coi Soft Machine in cui era presente anche Brigitte Bardot. “Red Green And You Blue” disegna ancora nuovi orizzonti di pop ballad paralleli a quelli verso cui si muove John Cale. Vi è sempre quella velata voglia di provocare e giocare, come nel caotico carnevale di “Shooting At The Moon”, che discende per parentela diretta da “Jet Propelled Photographs” (1967) dei Soft Machine, srotolandosi in un robotico ipnotismo che sposta in avanti i confini del rock psichedelico, offrendo più di uno spunto persino agli Stranglers che verranno.
Dal punto di vista musicale, l’album mette chiaramente i bastoni fra le ruote alle aspirazioni commerciali che la casa discografica nutre per il bel Kevin Ayers, quando già il disinteresse dell’ex-Soft Machine a promuovere il suo disco pende da solo verso l’auto-sabotaggio. Nulla, nel suo modo di fare e intendere la musica e la vita, è chiaro e definito. La festa sta quindi ancora una volta per finire. L’esperienza dei Whole World terminerà infatti poco dopo Shooting At The Moon, complice, manco a dirlo, ancora l’incapacità dell’ozioso Ayers di sopportare la fatica dei tour.
Banane e confessioni: gli album della maturità
Nel momento di registrare il terzo album, Ayers si ritrova ancora una volta da solo, costretto a richiamare il tastierista Bedford e il chitarrista Oldfield dalla precedente formazione. A completare il parterre ci pensano ancora diversi musicisti e amici ospiti, su cui spiccano l’ex-East of Eden Dave Dufort (batteria) e Didier Malherbe dei Gong (sax, flauto). La musica di Whatevershebringswesing (1971) è ancora fortemente radicata nella tradizione di Canterbury: un pop obliquo, a volte jazz, intervallato da molte idee strane, ma sempre sotto il carattere solare dell’estroso crooner Ayers. Nonostante la sua malinconia non manchi di venire a galla, al bassista basta cogliere le cose belle della vita tra le foglie secche, che si tratti di una spiaggia assolata, di un buon bicchiere di vino o di una donna ammiccante.
L’aria di sortita è una mini-suite del conio Ayers/Bedford, “There is Loving/ Amongst Us/ There is Loving”, il cui tema introduttivo venne estrapolato barbaramente da un 45 giri del 1970 di Ayers (“Butterfly Dance”), qui incollato in un tripudio di suoni orchestrali sotto il sassofono di Malherbe che si deposita poi nell’anticamera psichedelica delle riflessioni filosofiche del testo (una combinazione che Ayers avrebbe maggiormente sviluppato in The Confessions Of Dr. Dream And Other Stories, qualche anno più tardi).
Dopo un’apertura all’avanguardia, il resto dell’album appare più convenzionale: è questo il caso della sfuggente seduzione “Margaret”, che vede la partecipazione del violino di Johnny Van Derrick, sopra al quale un intimo Ayers canta contrappuntato da un lussureggiante pianoforte. I ritmi sensuali a lui tanto cari sono presenti nella sarabanda jazz di “Oh My” e nelle feste western di “Stranger In Blue Suede Shoes” e “Champagne Cowboy Blues”, quest’ultima nata da Oldfield mentre aspettava ad Abbey Road il suo mentore in perenne ritardo.
C’è spazio anche per alcune reminiscenze del dada-rock dei Soft Machine nella lugubre “Song From The Bottom Of A Well”, un esperimento in studio che suona esattamente come indicato dal titolo: un brano cantato dal fondo di un pozzo, in cui la voce cavernosa di Ayers sembra risalire strisciando dagli abissi, fino a venire gradualmente sommersa da una raffica di stridenti effetti sonori. Un brano che non avrebbe certo sfigurato accanto a “Why Are We Sleeping?” dei primi Soft Machine. E proprio l’ex-compagno di squadra Robert Wyatt ritorna infatti nella title track, un sincero inno all’amicizia con un ritornello alcolico e dionisiaco (“So let’s drink some wine and have a good time/ but if you really want to come through let the good times have you”), in cui la voce profonda e baritonale di Ayers si arena dolcemente nelle tonalità acute di Wyatt, che sembrano sempre sul punto di infrangersi. Lo faranno sul bell'assolo di chitarra prolungato di Oldfield, che anche in questo pezzo porta il suo significativo contributo. Chiude il disco “Lullaby”, liquida ninnananna per flauto e pianoforte eseguita dal folle Didier Malherbe in un’atmosfera sorprendentemente new age, completata dai ruscelli nel background.
Lo stile di vita dandy di Kevin Ayers, fuori dall’ordinario e dalla smania di successo, lascia la sua impronta anche in questo album, la cui irregolarità qualitativa delle singole tracce ben dimostra come il bassista non avesse mai approfondito del tutto il suo talento.
Penso che debba mancarti qualcosa in testa, o solamente devi essere proprio affamato di fama e denaro per far parte del gioco dell’industria musicale. Non sono molto bravo in questo.
Poco dopo Whatevershebringswesing, Ayers chiama a sé un altro gruppo di aiutanti per registrare il nuovo album, Bananamour (1973), l’ultimo del primo periodo Harvest. A tal fine, all’inizio del 1972 fonda gli Archimbald assieme al bassista Archie Leggett (presentatogli da Daevid Allen), la cui unica testimonianza è lo strano avanspettacolo glam-rock di Banana Follies (Hux, 1998), tenuto assieme a Lol Coxhill e David Bedford nel sotterraneo Hampstead Theatre di Londra. Il disco, uscito postumo, è però una versione radiofonica dell'omonimo show teatrale, datata 1972.
Poco dopo quell'esperimento, il duo confluisce nei Decadence, con l’aggiunta del batterista Eddie Sparrow e del chitarrista Steve Hillage. Anche in questo caso, Ayers si circonda per registrare degli amici di sempre: Robert Wyatt, Mike Ratledge e David Bedford; assente giustificato, invece, il giovane Mike Oldfield, che in quel periodo sta forgiando ”Tubular Bells”.
Arrivato a questo punto della sua carriera, Ayers è sempre meno buffone di corte. Inizia a muoversi verso uno stile più tradizionale e nonostante la presenza di personaggi all’avanguardia come Wyatt e Hillage, la migrazione verso un clima più caldo comincia a essere evidente. Proprio su questo disco Kevin raggiunge l’apice delle sue possibilità commerciali, evitando di immergersi in pseudo-avanguardie e optando piuttosto per una musica pop eccentrica, con un inedito R&B che sostituisce il country-rock del precedente album come principale leit-motiv. Il titolo del disco allude a ciò che per il triste giullare canterburiano è il simbolo stesso della sua musica, la banana: “fiera e dignitosa, diventa ridicola se la sbucci”. Un disco che, come lo stesso artista, cammina nel crinale tra il serio e il faceto, tra melodie orecchiabili e bizzarri pastiche sperimentali. Come aria di sortita vi troviamo un primo rimando allo spleen esistenziale di Ayers (“Don’t Let It Get You Down”), con una grande sezione di fiati e coi cori delle voci celestiali di Doris Troy, Liza Strike e Barry St. John (tre nomi che suoneranno familiari a chiunque abbia letto le note di copertina di “The Dark Side of The Moon"), unite ad Ayers in un pop dai nervi rilassati.
Vi sono poi eccentrici momenti blues-rock in “Shouting In A Bucket Blues”, probabilmente uno dei punti salienti del disco, soprattutto grazie agli assoli spaziali della chitarra di Steve Hillage. Largo anche a momenti funky-psichedelici (“Interview”), istantanee soul (“Internotional Anthem”) e per un lento blues come “When Your Parents Go To Sleep”, con la voce del bassista Archie Leggett scelto in quanto Ayers voleva qualcuno che cantasse alla maniera di Ray Charles.
Uno dei climax del disco è quello segnato dall’alienante crescendo di “Decadence”, in cui vi è un potente accumulo di pathos che ricorda le dinamiche dei Velvet Underground di “Heroin”, prive però dei turbamenti lisergici della band newyorkese. Ayers canta il suo inno alla maniera di Nico, chiudendo la traccia con un “drink it to Marlene” che omaggia proprio la modella tedesca. L’ex-bassista dei Soft Machine trova il tempo di celebrare anche un altro suo grande amico in “Oh! Wot A Dream”: stiamo ovviamente parlando di Syd Barrett, a cui Ayers riserva una serie di strofe sopra un educato bailamme di estrose percussioni, anatre starnazzanti e bicchieri tintinnanti, insieme in quello che pare un collage di disimpegnata musique concrète, con la chitarra slide che va a suggellare una radiosa cavalcata country-pop. Lo spirito giocoso del “diamante pazzo” viene così evocato nel banale ricordo di una camminata pomeridiana, del suo semplice dono di un panino a un affamato Ayers. Un testo talmente spontaneo e diretto da risultare toccante proprio per questa sua spiazzante sincerità ("tu sei la persona più straordinaria/ scrivi il più particolare genere di brani/ ti ho incontrato che tu fluttuavi nell'acqua/ mentre io ero in barca, un pomeriggio"). In un disco segnato dal ricordo degli amici, non poteva mancare neanche Robert Wyatt, che presta la sua esile voce a “Hymn”, prima che Ayers lasci l’ascoltatore con il finale drammatico che nessuno s’aspetta (“Beware Of The Dog”), merito anche dell’arrangiamento orchestrale di Bedford quasi da brass-band.
Bananamour è un disco che non offre grandi momenti di eccentrica psichedelia, ma è piuttosto una visione variegata e perfettamente accessibile dei pensieri di Ayers. Dopo questo album, le misere soddisfazioni commerciali portano Kevin alla rescissione anzitempo del contratto con la Harvest e a un graduale disinteresse verso la scena artistica in favore del sole delle Baleari, da sempre tana del suo esilio. L’amore per le isole si converte successivamente in un cambio di etichetta: Ayers, infatti, si trasferisce alla più quotata Island, una società di solito nota per spendere molti soldi per promuovere i suoi artisti. Avendo quasi raggiunto i 29 anni in quel momento, Kevin ritiene che è ora di compiere il grande passo; in cambio del sostegno economico, il biondo canterburiano avrebbe però dovuto cedere un po’ della sua libertà artistica: così, per la prima volta, l’ex-Soft Machine non produce il suo nuovo album, lasciando l’intero compito a Rupert Hine. Il risultato è un Ayers diviso in due: un lato, il disco si rivela colmo di potenziali hit; nell'altro, Kevin si diverte a prendersi la sua licenza poetica e sperimentare, a fare ancora una volta il guastafeste del proprio successo.
Dopo aver sciolto i Whole World, alla Island Kevin Ayers ha modo di chiamare alcuni grandi nomi nella sua nuova band di supporto: vengono così reclutati Mike Giles dai King Crimson (batteria), Geoffrey Richardson dai Caravan (viola), Johnny Gustafson dai Merseybeats (basso) e l'amico chitarrista Ollie Halsall dai Patto (in foto), con la presenza di una sfilza di numerosi ospiti, alcuni ormai abituali come il Lol Coxhill (sax), la “chanteuse” Nico, l’ex-compagno nei Soft Machine Mike Ratledge (tastiere) e il neo-milionario polistrumentista Mike Oldfield, reduce dal successo planetario del suo “Tubular Bells”. Non è pertanto esagerato sostenere che al tempo Ayers fosse un po' l'equivalente canterburiano di ciò che fu John Mayall per il blues: dalla sua corte sono infatti passati molti artisti destinati a scrivere la storia della musica.
Il quinto album The Confessions Of Dr. Dream And Other Stories (1974) inizia col funky corale - e un po’ anacronistico - di "Day By Day", a cui fa seguito il country sarcastico di "See You Later", tra campanelli di biciclette e fischi del treno che fungono da preambolo al blues gagliardo di "Didn’t Feel Lonely Till I Thought Of You", imbastito con la pirotecnica chitarra di Ollie Halsall. Dopo la struggente “Everybody’s Sometime And Some People’s All The Time Blues” le cose prendono definitivamente una piega diversa con "It Begins With A Blessing/ Once I Awakened/ But It Ends With A Curse", che è fondamentalmente una versione potenziata della sua “Why Are We Sleeping?”, presente sul primo LP dei Soft Machine. La stessa spaventosa attitudine è presente nella title track, una suite che può essere interpretata come un avvertimento contro l’auto-illusione e, piú in generale, dei pericoli nel prendere troppi farmaci; questa avventurosa epopea farmacologica viene divisa in quattro parti che, in verità, risultano essere quattro canzoni distinte, unite insieme a caso per decisione della Island.
La sezione di apertura (“Irreversible Neural Damage“) è estremamente interessante, tra chitarre acustiche intrecciate, i suoni strani del synth, nastri manipolati, il fuzz dell’organo distorto di Mike Ratledge e il gelo teutonico della voce di Nico; la seconda parte (“Invitation“), interamente strumentale, alleggerisce i toni in un classico hard-rock senza pretese, mentre il terzo movimento ("The One Chance Dance") porta alcune somiglianze al suono dei Gong, tra urla cosmiche, arcane risate e cori farneticanti, che culminano poi nell’ultima parte della suite (“Doctor Dream Theme“), probabilmente la migliore, con il suo folle ritmo lento, le sue chitarre extraterrestri e un riff finale talmente allungato e minaccioso che potrebbe perseguitare l’ascoltatore per giorni interi. Tuttavia, Kevin si rifiuta di lasciarci con un’altra maledizione e conclude il suo album con “Two Goes Into Four“, una delle sue più belle ballate acustiche di sempre, una dolce ninna nanna che sigilla il disco delicatamente così come era stato iniziato.
Il successo: il concerto con Brian Eno, Nico e John Cale
Dopo aver registrato The Confessions Of Dr Dream And Other Stories con un gruppo di musicisti in sessione, nel 1974 l'irrequieto Kevin Ayers decide di formare una nuova band denominandola The Soporifics. Invece di fare la cosa più naturale di portare il suo gruppo in una sala prove, l’ex-Soft Machine li conduce nella Valle del Rodano per un bella vacanza primaverile, utilizzando i proventi del precedente album per finanziare la gita. Questa grande idea dura fino a quando le finanze si prosciugano: proprio allora la Island contatta Ayers per riferirgli che le vendite stanno andando discretamente bene e che hanno addirittura prenotato il prestigioso Rainbow Theatre di Londra per una data il 1° giugno 1974, con un concerto che dopo pochi giorni si rivela già sold-out.
Mancano tuttavia soltanto tre settimane alla fatidica data, così la band raccoglie tutto l’occorrente e ritorna nei sobborghi di Londra, precipitandosi al Walpole Picture Theatre di Ealing per impostare le prove. Dopo una settimana d’ansia, Ayers si rende però conto che non ha assolutamente il tempo per prepararsi, così alza la cornetta e inizia a chiamare alcuni vecchi amici. La prima a essere ingaggiata è Nico, la diva inebriante del primo album dei Velvet Underground che, attraverso la sua influenza, contatta anche uno degli eroi di Ayers, John Cale, che si trovava in città per registrare il suo album; questi, a sua volta, coinvolge nel progetto anche Brian Eno e altri amici di Kevin si uniscono spontaneamente per dargli una mano: così, a un anno esatto dal brutto incidente, Robert Wyatt si presenta in uno dei suoi primi live in sedia a rotelle e Mike Oldfield, al culmine del suo successo commerciale, si unisce al concerto, non avendo dimenticato chi prima di tutti aveva creduto in lui. Tra i tanti ospiti degni di menzione ci sono anche l’amico e chitarrista Ollie Halsall, il batterista Eddie Sparrow, il bassista Archie Leggett e il tastierista John “Rabbit” Bundrick.
Il risultato viene messo su disco in tempo record in June 1st, 1974, opera che raccoglie l’interessante summa musicale di un quartetto inedito. In verità, lo scopo della Island è tutt'altro che meramente artistico ed è quello di quello di promuovere Ayers come improbabile popstar dagli stivali argentati. Il numero di apertura è di Brian Eno con “Driving Me Backwards“, che viene fortemente sottolineato dalla viola di John Cale, mentre altrettanto peculiare, anche se meno sconvolgente, è la successiva "Baby’s On Fire", con tutti i cromatismi glam dei Roxy Music. Su “Heartbreak Hotel” Cale è invece alle prese con una cover di Elvis Presley, una versione inquietante e irriconoscibile che pare rallentare il tempo fino quasi a fermarlo, oltre a dare completamente un nuovo significato alle parole, che sembrano sublimare la frustrazione per un certo “incidente” pre-concerto che potrebbe aver contribuito a fornire una resa così velenosa. Con “The End” il microfono passa invece a Nico, che trascina il capolavoro doorsiano con voce distante e paranoica, accompagnata soltanto da alcune tastiere agghiaccianti.
A questo punto, lo spirito goliardico di Kevin Ayers inizia a vagare sul palco attraverso una serie di cinque brani che vanno dalla docile "May I?" alla scaltra “Shouting In A Bucket Blues” (qui stranamente re-intitolata “Standing In A Bucket Of Blues” sulla copertina), fino alla trascinante “Stranger In Blue Suede Shoes”, con l’assolo di chitarra di Oldfield che scalfisce la sua vecchia canzone come nella versione in studio.
Avvolge infine l’album un dittico compositivo uscito dal più recente The Confessions of Dr. Dream And Other Stories: si tratta di “Everybody’s Sometime And Some People’s All The Time Blues” e “Two Goes Into Four“, innalzata dalla viola di Cale e dal sintetizzatore di Eno.
Quest’evento, come abbiamo accennato, non è però privo di amorosi colpi di scena. Già dalla foto di copertina, scattata da Mick Rock nel foyer del Rainbow Theatre poco prima del concerto, si capisce che qualcosa di strano sta succedendo: lo sguardo ambiguo tra John Cale (a destra) e Kevin Ayers (a sinistra) è spiegato dal fatto che la notte prima dello spettacolo Cale aveva scoperto Ayers a letto con sua moglie Cynthia Wells (aka Miss Cynderella, una famosa groupie appartenente alle GTOs). Come un professionista, Cale sarebbe però salito sul palco e avrebbe preservato l’incidente per il suo successivo album “Slow Dazzle”, nella canzone “Guts”, caratterizzata dalla provocatoria linea di apertura "il bastardo in maniche corte si è scopato mia moglie/ lo ha fatto veloce e se l'è squagliata", dedicata proprio ad Ayers.
Un dolce ingannatore: gli anni Ottanta e l'inizio del declino
Anche se la storia canterburiana, secondo lo stesso Ayers, si conclude idealmente nel concerto del 1° giugno 1974 al Rainbow Theatre, The Confessions Of Dr. Dream and Other Stories rimane indubbiamente l’epitaffio di un periodo d’oro: proprio qui Ayers incontra la sua anima gemella artistica, il chitarrista Ollie Halsall, e proprio per lo shock della morte di questi nel 1992 Kevin decide di ritirarsi per anni dal mondo musicale.
Con il successivo album in studio Sweet Deceiver (1975), Kevin inizia a essere succube delle sue dipendenze. Il disco si contraddistingue per la prepotente presenza di Elton John al piano ma regala ancora alcune perle come "Observations", "Toujours Le Voyage" "City Waltz" e "Circular Letter". L'esilarante parodia di "Guru Banana" dimostra invece, ancora una volta, quanto l'etichetta da idolatrata popstar stesse stretta ad Ayers, ma mentre il primo lato offre delle buone composizioni, la seconda metà si esaurisce con alcuni brani dimenticabili ("Once Upon An Ocean", "Farewell Again").
Dopo Sweet Deceiver la critica inizia a essere ingiustamente crudele con Ayers. In un periodo in cui la carta stampata decide le sorti di molti cantautori, a mettere fine alle poche glorie del dandy canterburiano ci pensa il giudizio indecoroso di Nick Kent (Nme), che dà Kevin per artista finito. Una critica, scossa soprattutto dai pregiudizi per la strada pop imboccata da Ayers, destinata a durare imperterrita fino ai giorni nostri. I suoi album successivi, pur abbandonando la sperimentazione, contengono infatti canzoni orecchiabili, di buon gusto e piuttosto raffinate; senza dimenticare, inoltre, che sono il risultato della spontanea evoluzione del suo autore, se si pensa soprattutto ai motivi per cui Kevin se ne era andato dai Soft Machine.
Non sono mai stato per i rumoracci. Au contraire. Mi attirava la melodia e non mi piacevano quanto agli altri le robe free. Ero più per la melodia e per i ritmi accattivanti e sensuali.
Dopo alcune collaborazioni (tra cui quella con Lady June in “Lady June’s Linguistic Leprosy" nel 1974), Kevin Ayers decide di ritornare alla Harvest con Yes We Have No Mañanas (So Get Your Mañanas Today) (1976) e Rainbow Takeaway (1978), due dischi che contengono ancora qualche pezzo degno di nota. Il primo si divide tra canzoni d'amore ("Falling in Love Again", "Love's Gonna Turn You Round", "Yes I Do") e velate idiosincrasie verso l'industria musicale ("Star", "Mr. Cool", Ballad Of Mr. Snake") ed è un album molto accessibile, che offre qualche eccentrico momento in "Everyone Knows The Song" e "Blue", grazie alla spinta dalla chitarra frenetica di Ollie Halsall.
Non è più uno stravagante giullare della psichedelia: ora Ayers si propone piuttosto come un sofisticato Al Stewart, con la voce profonda di Leonard Cohen e una malinconia esistenziale degna di Nick Drake.
In Rainbow Takeaway a spiccare sono il glam-reggae di "Goodnight Goodnight", il cabaret di "Hat Song" e il disilluso soul di "Ballad Of A Salesman Who Sold Himself", in cui Kevin sembra ormai rassegnarsi ai suoi fantasmi mentre canta "a bottle of booze/ a bit of a tune to sing/ goodbye, everything". Alla fine degli anni Settanta, il punk ha infatti ormai preso piede in Gran Bretagna e Ayers sembra scomparire dalla vista, perseguitato dalle sue dipendenze da alcol ed eroina.
Nel decennio successivo la sua attività discografica inizia pertanto a farsi sempre più rada, preludendo al ritiro francese. Capisce di aver toccato il fondo della sua vita da eroinomane quando vende un intero studio portatile portato in dono da Mike Oldfield, solo per procurarsi denaro. Dopo il mezzo fallimento commerciale di Rainbow Takeaway, Kevin decide di fare le valigie e trasferirsi in Spagna, dove nel 1982 partecipa a "Percussione", una pellicola - oggi introvabile - firmata da Josecho San Mateo, in cui Ayers è attore e compositore della colonna sonora. Il suo fedele partner musicale Ollie Halsall (un'altra perenne next big thing degli anni 70) è in questo periodo anche il suo compagno di dipendenze. Il nuovo decennio si apre quindi musicalmente con i dimenticabili That's What You Get Babe (1980) e Diamond Jack And The Queen Of Pain (1983), quest'ultimo probabilmente la fossa delle Marianne della carriera di Ayers. Lo stesso cantautore dice di non ricordare bene quell'album: un po' perché non era mentalmente nelle condizioni di sapere quello che stava facendo; in parte, per il risultato non qualitativamente in linea con le potenzialità del suo autore.
Convince a metà Deià... Vu (1984), vivacizzato da una esotica cover di Bob Dylan ("Lay Lady Lay"), anche se gli episodi da ricordare sono pochi. In omaggio ai bei ricordi di Maiorca, le canzoni possiedono un fascino malinconico e sensuale, come nel rock old-school di "Thank God For A Sense Of Humor", nei ritmi calypso di "Be Aware Of The Dog" e nel simposio blues di "Champagne And Valium", in cui a emergere è però anche la crescente depressione di Ayers ("Doctor, Doctor, can you feel my pain?/ Doctor said: shit, man! Not you again").
Dopo il piacevole As Close As You Think (1986), a chiudere il decennio ci pensa Falling Up (1988), co-scritto con Ollie Halsall, che regala due delizie soft-rock come "Am I Really Marcel?" e "Another Rolling Stone", oltre a una intrigante cover di Mike Oldfield ("Flying Start").
Natura morta con chitarra: l'isolamento degli anni Novanta e Duemila
Dopo una pausa, Kevin Ayers ritorna negli anni Novanta con il bel Still Life With Guitar (1992) in compagnia di molti membri della Fairground Attraction e dei chitarristi BJ Cole e Mike Oldfield. Accolto da buoni giudizi della critica e da alcune canzoni straordinarie, l'album è quasi interamente acustico, un espediente che permette ad Ayers di cantare i suoi alcolici soliloqui. Ollie Halsall è coinvolto direttamente solo in "Ghost Train", mentre tra le canzoni degne di menzione ricordiamo "There Goes Johnny", "I Don't Depend On You" e "Thank You".
Pochi mesi dopo l'uscita del disco avviene però la tragedia che marchierà inesorabilmente la vita di Kevin Ayers: la morte di Ollie Halsall per overdose. E' una perdita, quella del suo "amante musicale", dalla quale Ayers non si riprenderà mai del tutto, ma che lo porterà a chiudere finalmente con l'eroina.
Gli amanti vanno e vengono ma gli amici sono difficili da trovare.
Sì, io posso contarli tutti su un unico dito
("Shouting In A Bucket Blues")
A distanza di quindici anni, Kevin esce dal suo esilio con The Unfairground (2007) e torna a circondarsi dei vecchi amici ma, soprattutto, ritrova la voglia di condividere e cantare. Per qualche tempo, in questo periodo vive con una cameriera americana che ha la metà dei suoi anni: non c'è dubbio che sia stata lei a ispirare l'acclamato ritorno di Ayers, che ha ammesso più volte di non sapere scrivere canzoni quando non è innamorato.
The Unfairground è un album pop di tutto rispetto, che contiene alcuni gioielli, come la rilettura di “Only Heaven Knows” e le accattivanti “Brainstorm” e “Run Run Run”. Una generale aria di joy de vivre che contrasta con i testi profondi, che narrano racconti di vita vissuta, di cose perse lungo la strada. Tra i musicisti che hanno contribuito, segnaliamo Robert Wyatt ("Cold Shoulder"), Hugh Hopper, Phil Manzanera e Bridget St. John, quest'ultima nell'accattivante duetto di "Baby Come Home".
Nel 2013 sopraggiunge infine la morte, che lo trova a Montolieu, uno sperduto villaggio di 800 anime nel Sudest della Francia, dove Ayers viveva in assoluta solitudine da ormai quindici anni. Dopo una vita passata in compagnia di centinaia di donne, gli sono accanto le tre figlie (Rachel, Galen e la figliastra Annaliese), oltre a sua sorella Kate. La sua scomparsa passa quasi inosservata sulla stampa, malgrado il suo lavoro discografico avrebbe dovuto splendere come quello del suo amico Syd Barrett, altro tassello fondamentale della psichedelia inglese.
Accanto al suo letto viene curiosamente ritrovato un biglietto con scritto “You can’t shine if you don’t burn” (“Non puoi brillare se non bruci”): forse una nota per una canzone, forse un messaggio d'addio. Le circostanze ancora non sono state chiarite. Apparentemente Kevin è deceduto nel sonno per un arresto cardiaco, la morte perfetta per un cantautore "pigro di natura". La notizia della sua scomparsa viene diffusa dall’ufficio stampa di Montolieu, che definisce Kevin come “una brava persona, molto semplice”, ricordando come il musicista avesse lasciato una delle sue chitarre in un caffè del posto, scrivendovi sopra: “Per chiunque voglia suonarla”. Un gesto semplice, eppure non banale, che racchiude tutta la generosità di questo eccentrico artista.
Dopo la sua scomparsa, la figlia Galen - avuta da Kristin Tomassi, l'ex-moglie fedifraga di Richard Branson - ha portato le ceneri del padre a Deià, dove è sepolto anche Ollie Halsall, per farli suonare per sempre assieme sotto le stelle. Alla processione in suo onore è presente soltanto un nostro connazionale, il compositore e pianista Andrea Cavallo, che ci parla di una bella cerimonia, a cui hanno partecipato personaggi importanti come Bob Geldof, John Altman e Bridget St. John, che ha cantato in onore dell'amico defunto.
Non ci sono dubbi che dopo più di quaranta anni di carriera, sempre in disparte e in fuga dal mondo del business che ti ruba l’anima, Kevin Ayers avrebbe meritato molto di più. Quel viso angelico, coperto da una cascata di riccioli biondi e con quel savoir-faire da signore dell'Ottocento, sarebbe potuto stare benissimo su molte t-shirt. Il destino ha però voluto che rimanesse soltanto la faccia di uno sconosciuto dandy di Canterbury.
Contributi di Marco Bercella ("Shooting At The Moon"), Massimo Marchini ("The Unfairground") e un ringraziamento speciale ad Andrea Cavallo
Joy Of A Toy(Harvest, 1969) | ||
Shooting At The Moon (Harvest, 1970) | ||
Whatevershebringswesing(Harvest, 1972) | ||
Bananamour(Harvest, 1973) | ||
The Confessions Of Dr. Dream And Other Stories(Island, 1974) | ||
June 1st, 1974(live, Island, 1974) | ||
Sweet Deceiver(Island, 1975) | ||
Yes We Have NoMañanas (So Get Your Mañanas Today)(Harvest, 1976) | ||
Odd Ditties (raccolta, Harvest, 1976) | ||
Rainbow Takeaway(Harvest, 1978) | ||
That's What You Get Babe(Harvest, 1980) | ||
Diamond Jack And The Queen Of Pain(Roadrunner, 1983) | ||
Deià... Vu(Blau, 1984) | ||
As Close As You Think(Illuminated, 1986) | ||
Falling Up(Virgin, 1988) | ||
Still Life With Guitar(Permanent Record, 1992) | ||
The Unfairground(LO-MAX, 2007) | ||
The Happening Combo (Market Square, 2017 - con Lady June e Ollie Halsall) |
Testi |