Qualsiasi cosa i Gong significhino per te, è molto probabile che significhino per qualcun altro l'esatto opposto, il che è molto soddisfacente per me. Sono orgoglioso dello spirito libero dei Gong, che non è mai stato compromesso per ragioni commerciali, giuste o sbagliate che fossero.
(Daevid Allen)
Spesso inseriti in fretta e furia nel calderone "Canterbury", i Gong hanno in realtà ben poco da spartire con Caravan e soci. La loro parabola artistica si è distinta in maniera netta da quella di qualsiasi altra band, avendo essi coniato uno stile inconfondibile, peculiare, frutto di una mentalità aperta a ogni influenza e soprattutto della creatività esplosiva di Daevid Allen, personaggio tremendamente affascinante, che ha saputo essere tanto innovativo quanto coerente.
Capaci di estraniarsi dallo show-business e di modificare le mode adeguandole alle loro esigenze e al loro spirito, i Gong hanno dato vita a una delle saghe più bizzarre e importanti della storia della musica rock.
La storia dei Gong inizia nel 1967, quando Daevid Allen, ventinovenne hippie australiano trapiantato stabilmente in Europa e già fondatore dei Soft Machine, storica formazione della scena jazz-rock inglese, viene bloccato in Francia dalle autorità causa problemi burocratici ed è costretto ad abbandonare la band di Robert Wyatt e compagni. Ciò gli permette di intraprendere un progetto insieme alla poetessa Gilli Smyth, che presto diventerà la sua compagna, e a una serie di musicisti che entrano ed escono dalla nuova band, jam dopo jam.
Nel 1969 il duo incontra Didier Malherbe, un promettente flautista e sassofonista francese, che li aiuta a registrare il loro disco d'esordio, Magick Brother/Mystic Sister, terminato l'anno successivo e prodotto dal magnate Jean Karakos, leader di un'etichetta emergente schierata contro il business musicale, la Byg. Alla formazione si aggiungono permanentemente anche il bassista e chitarrista Christian Tritsch e il batterista Rachid Houari. Nonostante qualche buono spunto degno di nota, è un disco ancora acerbo e poco indicativo per il futuro "stile Gong".
Il 1971, al contrario, è un anno fondamentale nella carriera della band: il leggendario Pip Pyle rimpiazza Houari alla batteria e con questa line-up, stabilitasi in un quintetto, il gruppo inizia le registrazioni di quattro dischi, dei quali solo due usciranno a nome Gong.
Il primo, in ordine cronologico, è Bananamoon, accreditato al solo Allen. In realtà si tratta di una collaborazione della band con Robert Wyatt, la cui presenza venne espressamente richiesta dal produttore. Il materiale è di indubbia qualità, anche se le canzoni veramente degne di nota sono quelle dove canta Wyatt oltre alla lunga "Stoned Innocent Frankestein", il primo grande esercizio compositivo del chitarrista australiano, destinato a diventare un classico del suo repertorio.
Qualche mese più tardi, invece, il complesso si trova a lavorare su tre progetti contemporaneamente: Obsolete, frutto di una session col poeta Dashiell Hedayat, che contiene "Cello Drive", un lungo esperimento ai confini della musica cosmica; Continental Circus, una colonna sonora per un film-documentario riguardante un ex campione di motociclismo; poco più che un antipasto di Camembert Electrique, il primo capolavoro dei Gong e uno dei dischi psichedelici più originali e importanti di tutti i tempi.
L'album è innanzitutto, insieme ai successivi, il manifesto più attendibile della personalissima filosofia demenziale di Allen: egli immagina un pianeta (appunto Planet Gong) abitato da omini verdi (Pot Head Pixies), che si autogovernano con un sistema definito Floating Anarchy. Usano come mezzo di locomozione le teiere volanti (Flying Teapot) e ascoltano una radio pirata (Radio Gnome); il tutto sotto la supervisione di grandi saggi dall'intelligenza sovrumana (Octave Doctors).
Le canzoni riflettono queste tematiche ponendole sotto una luce goliardica, buffonesca, a tratti quasi infantile, con un'ironia nei testi ereditata direttamente da Frank Zappa, forse il personaggio che nella storia del rock più si avvicina a Daevid Allen. Da un punto di vista prettamente musicale, invece, i Gong sono ancora un calderone impareggiabile di influenze: dalla tarda psichedelia al nascente space-rock, dal jazz-rock alla musica cosmica. Nei brani più arditi e maturi i risultati sono eccezionali: la semplicità del bizzarro tema di "You Can't Kill Me", la loro prima cantilena mantrica; l'esasperante "Dynamite/ I Am Your Animal"; l'ipnotica cavalcata cosmica "Fohat Digs Holes In Space", con il famoso "space whisper" di Gilli Smyth che aggiunge alle composizioni un tocco talvolta etereo, talvolta intenso, talvolta orgasmico; e per finire "Tropical Fish/Selene", uno dei più grandi capolavori della loro carriera, un folle melodramma che nei suoi sette minuti tocca tutti i lati del magnifico diamante Gong.
Nonostante la sua miscela straordinaria, Camembert Electrique non è in realtà altro che un disco di transizione: i Gong stanno infatti preparando qualcosa di ancor più grandioso e, nel 1973, pervengono al loro lavoro più importante e a uno dei maggiori dischi di tutta la storia della musica rock.
Il 1972 è un anno vissuto in tourneé per l'Europa: terminato il contratto con la Byg, la band si prende un po' di pausa prima di iniziare a lavorare sul nuovo materiale. Nel gennaio del 1973, Allen e compagni entrano in studio per registrare Flying Teapot con una formazione fortemente rimaneggiata. Accanto all'inseparabile trio Allen-Smyth-Malherbe troviamo infatti due grandissimi specialisti e sperimentatori dei loro strumenti come Tim Blake al synth (di cui diventerà uno dei maestri della scena internazionale) e Steve Hillage, ex di Arzachel e soprattutto Khan, alla chitarra. Alla batteria si cimenta Laurie Allan, mentre al basso direttamente dai Magma viene assunto Francis Moze. Entrambi però resteranno nel complesso solo per il tempo delle registrazioni dell'album.
Prodotto dalla Virgin, Flying Teapot si può considerare (a differenza di Camembert, concepito più come un insieme di brani sconnessi) a tutti gli effetti un concept-album riguardante la vita sul Planet Gong, ed è il primo di una trilogia, quella di Radio Gnome Invisible, che comprenderà anche i successivi Angels Egg e You.
Sin dalle prime note di "Radio Gnome Invisible", una strampalata filastrocca che trabocca di spirito hippie, è chiaro che ci si trova di fronte a un capolavoro senza tempo. Abbandonate alcune ingenuità riscontrabili in Camembert, lo stile della band si è evoluto in maniera impressionante: gli arrangiamenti sono spettacolari e curati al punto giusto, mai invadenti, mai banali. Persino una cantilena infantile come "Pot Head Pixies" viene trasformata in una godibilissima canzone, ma il brano più riuscito (e forse il momento migliore dell'intera saga Gong) è la title track, dodici minuti nei quali la musica prima cresce piano in un delicato tema jazz, con un brillantissimo Malherbe ai fiati, poi esplode in un ritornello mantrico e ipnotico di un'intensità impareggiabile, un esasperante proclama ricoperto da ondate di effetti sonori, prima dell'improvviso silenzio e di un'outro tutta percussiva.
Blake ha carta bianca nell'intermezzo ambientale di "Crystal Machine", che introduce la magnifica "Zero The Hero And The Witch's Spell" (la narrazione dell'epopea del fantomatico Zero, uno dei "Pot Head Pixies"), un'altra traccia estesa e complessa, in continua evoluzione, prima malinconica e solenne, poi delicata, sofisticata, dopo ancora mistica, eterea e infine di nuovo ipnotica, in un memorabile crescendo da pelle d'oca che sfocia nelle prime, devastanti note di "Witch's Song/ I Am Your Pussy", un folle poema psichedelico per chitarra wah, sax e la voce della "strega" Smyth, che regala una prova memorabile.
Durante questa fase della loro carriera, i Gong sono passati da un estremo all'altro: dall'amatorialità delle prime produzioni alla professionalità quasi certosina di Shamal, dalle tematiche bambinesche degli esordi alla seria maturità di You. Flying Teapot è l'album più equilibrato dell'intera discografia del gruppo, anche sotto il punto di vista umoristico
Con l'ingresso del batterista e percussionista Pierre Moerlen, rinomato a livello internazionale, e del bassista Mike Howlett, si completa la formazione "classica" dei Gong, quella destinata a registrare in pochi mesi gli altri due capitoli della trilogia.
In Angels Egg (1973), secondo capitolo della trilogia, il sound subisce una decisa evoluzione. Hillage e Blake, relegati a semplici ospiti nel primo disco, hanno ora più peso nelle composizioni dei brani e viene lasciata loro più libertà nell'esecuzione delle parti strumentali. Allen, al contrario, si concentra sempre di più sui testi. Non a caso, è probabilmente il disco meglio concepito dei Gong e, anche se non raggiunge la brillantezza del predecessore, gli standard si mantengono su livelli di eccellenza. La musica è più fluida e "ambientale", in alcuni momenti quasi meditativa, pervasa da una sorta di misticismo che si manifesta in diversi modi. La varietà delle influenze raggiunge il livello più alto, anche se di Camembert Electrique rimangono assai pochi richiami. Le composizioni sono brevi, curate, frizzanti, mai ripetitive o noiose. Il vaudeville decadente di "Prostitute Poem" è forse la perla del disco, assieme a uno dei loro classici, "Outer Temple/Inner Temple", con tanto di gliss guitar, gorgheggi di synth e atmosfera fra il cosmico e l'hawaiiano. In "I Never Glid Before" Hillage anticipa la strada che intraprenderà da solista due anni più tardi, mentre "Ooby-Scooby Doomsday" rappresenta l'ultimo episodio di goliardica follia della prima parte della carriera dei Gong.
Il successivo You (1974), infatti, è un album piuttosto scarno. Il problema principale è, per la prima volta, la mancanza di intuizioni: il gruppo ricicla il materiale di Angels Egg e lo "aggiorna" aggiungendo dilatati accompagnamenti elettronici, che aumentano la solennità di alcuni passaggi ed evidenziano il ruolo predominante di Hillage e Blake. Ogni legame con i Gong di tre anni prima è troncato. La sensazione è che, nonostante il disco sia suonato in maniera impeccabile e risulti piacevole all'ascolto, le idee, fondamentalmente, siano poco originali e significative. I Gong, privi dell'esaurito estro di Allen, si sono ridotti a semplici esecutori: di gran classe, ma pur sempre esecutori.
Felici eccezioni "Master Builder", un crescendo in grande stile (di cui si approprierà Hillage cambiandone il titolo) e la lunga "You Never Blow Your Trip Forever", che contiene campionamenti dagli altri due album della trilogia che sembrano un po' il testamento di Allen, ormai in evidente crisi di creatività. Di lì a pochi mesi, infatti, l'hippie lascia il complesso assieme alla moglie e a Tim Blake.
Il gruppo, menomato e senza un leader, sembra perso, ma la Virgin offre a Pierre Moerlen la possibilità di ricostruire la band sotto la sua guida. Il percussionista francese, assieme a Malherbe, Howlett e Hillage (ma solo come ospite) e a un gruppo di sessionmen, registra nel 1976 Shamal, prodotto da Nick Mason. Le tracce sono prevalentemente strumentali (il cantato di "Wingful Of Eyes" è decisamente patetico) e incentrate sull'incredibile tecnica del frontman, senza dubbio un mago con le bacchette, ma privo di un adeguato talento compositivo. Il risultato è piuttosto noioso e banale, se non fosse per la title track, unico momento degno del passato.
Chiaramente questa nuova formazione dei Gong non ha nulla in comune con quella guidata da Allen. Moerlen prende a sfornare una serie di dischi fotocopia, dei quali solo Gazeuse! si eleva dal generale livello di mediocrità, nobilitato dalla collaborazione col funambolo della chitarra Allan Holdsworth, che movimenta brani simili a quelli di Shamal con la sua esplosiva tecnica.
I Gong sono diventati un complesso per virtuosi: dopo Holdsworth arriva Lozaga, ma il complesso ha già saggiamente cambiato nome in Pierre Moerlen's Gong. Pierre Moerlen, però, muore improvvisamente il 3 maggio 2005, a 53 anni.
Negli anni 90 lo stesso Lozaga fonda i suoi Gongzilla, un gruppo fusion, ottenendo risultati decisamente migliori ("Suffer" del 1995 è un album degno di nota).
Nel frattempo Hillage e Blake danno vita a prolifiche carriere soliste: il primo sfoga i suoi progetti di connessione fra Canterbury ed elettronica con lo straordinario "Fish Rising" (1975), uno dei capolavori del rock progressivo inglese, seguito da una serie di dischi di livello inferiore; mentre il secondo pubblica "Crystal Machine" e "New Jerusalem".
E Daevid Allen? Dopo essersi preso tre anni di pausa, torna anche lui sulle scene musicali assieme alla compagna, più carico che mai, con un nuovo esaltante progetto: i Planet Gong, che nel 1977 partono per una tourneé europea i cui risultati sono testimoniati sul live Floating Anarchy, un album che, una volta di più, non lascia dubbi sul genio totale del chitarrista australiano, che ha saputo reinventarsi con lo spirito della nascente generazione punk.
Floating Anarchy inanella una sorpresa dopo l'altra, a partire dalla title track, una frenetica canzone che brucia tutta l'energia del duo (accompagnato dagli Here And Now) in due intensissimi minuti. Sulla stessa scia è "Opium For The People", un altro elettrizzante anthem, iscritto di diritto fra le migliori canzoni (nel senso stretto del termine) del compositore, ma il meglio è racchiuso nei due brani che superano i dieci minuti di lunghezza, jam cosmiche dalla potenza impressionante, contorte, vibranti, emotive.
Sembra dover essere il disco della rinascita per Allen, invece a conti fatti è rimasto il suo secondo testamento: nel 1981 sparisce per la seconda volta, stavolta concedendosi una pausa ben più lunga, terminata solo nel 1988: sette anni trascorsi nella sua terra natìa, al termine dei quali ritorna con un progetto chiamato GongMaison. La nuova formazione comprende Allen e Malherbe, circondati da un folto gruppo di sessionmen e amici. L'idea di fondo è interessante: aggiornare il sound dei Gong contaminandolo con le più disparate influenze, dal dub alla musica latina e soprattutto alla dance. La realizzazione, però, è piuttosto scadente, a tratti persino squallida. Si salvano solo "Titicaca" e, soprattutto, il ballabile ipnotico di "We Circle Around".
Nel frattempo Allen riprende a suonare anche con Gilli Smyth e i suoi Mothergong, fino a quando, nel 1992, il grande Pip Pyle ritorna a far parte della band, che abbandona il tag "Maison" riappropriandosi dopo quindici anni del suo nome originario. L'imprevista reunion produce in settembre un disco, Shapeshifter, il primo album in studio dei Gong con Allen dal 1974. È un lavoro di pregevole fattura, originale, che rilancia prepotentemente il complesso. Permane la babele di influenze di GongMaison, ma in maniera molto meglio misurata e meno moderna, meno modaiola. Anche se non manca qualche passaggio infelice ("Loli"), le tracce sono sorprendenti, a partire dalla cavalcata elettronica di "Dog-O-Matic", passando per l'introspettività di "Give My Mother A Soul Call" e per il bizzarro rock'n' roll "Heaven's Gate". In "Goddess Invocation" vengono riscoperti alcuni motivi classici intrisi in un clima meditativo e spirituale. Il pezzo più riuscito comunque è la spettacolare jam jazz-rock di "Can You You Can", l'unico episodio fino ad allora veramente inedito in tutta la loro carriera.
Nel 1994, per celebrare il 25esimo anniversario della nascita della band, viene indetta una grande reunion: a Allen, Smyth, Malherbe e Pyle si uniscono infatti Tim Blake e Mike Howlett, ricomponendo la line-up del periodo della trilogia (completata dal giovane Steffi Sharpstrings alla chitarra a rimpiazzare Hillage). Il risultato (stampato su cd dalla Gas con il titolo di 25th Birthday Party) è uno straordinario concerto di quasi due ore, con il gruppo che ripropone i grandi classici, da Camembert a You, e poi si lancia in jam cosmiche ispirate al materiale più recente. È un concentrato di emozioni unico, la definitiva consacrazione per una delle formazioni più importanti di sempre.
Da quel momento le strade dei musicisti si dividono di nuovo, ma non in via definitiva: nel 2000 uscirà l'ultimo disco in studio dei Gong, Zero To Infinity, ancora farcito di tanta musica spettacolare e con momenti che hanno poco da invidiare ai fasti del passato ("The Invisible Temple", "Infinitea", musica sempre più spirituale e ambientale).
Fra i progetti principali, ricordiamo gli Acid Mothers Gong, un'esplosiva collaborazione di Allen con gli Acid Mothers Temple; la University Of Errors, il gruppo di Allen con il chitarrista Josh Pollock (notevole l'esordio "Money Doesn't Make It", 1998) e i Goddess Trance di Gilli Smyth ("Electric Shiatsu", 1999). Tim Blake ha ripreso la sua carriera solista dopo tredici anni di silenzio ("Magick", 1992, piuttosto deludente). Steve Hillage ha collaborato con gli Orb e ha fondato il suo gruppo techno, i System 7, suggellando una delle carriere più eclettiche della storia della musica.
Nel 2009, a sorpresa, si aggiunge un quarto volume alla "Radio Gnome Trilogy". Dal 1974 (You) è la prima volta che Steve Hillage si ritrova a suonare con la band di Daevid Allen e il risultato è straordinario. Il nuovo album dei Gong suona attuale, fresco, ricco d'inventiva e humour.
Il 2032, che titola l'albo, allude all'anno nel quale il pianeta Gong, abitato dai Pot Head Pixies con le loro teiere volanti, entrerà in contatto con il pianeta Terra, a seguito di un armonico allineamento astrale. La ricetta è la solita: progressive intelligente, iniezioni psichedeliche, idee a profusione, ritmi mozzafiato, cambiamenti di tempo e atmosfere, umorismo zappiano, rime buffe, droni e larghi brani di puro space rock visionario con tanto di space whispers. A parte Pip Pyle e Pierre Moerlin (entrambi passati a miglior vita) la formazione è quella originale, con qualche aggiunta come quella di Yuji Katsui (violino elettrico) della jam band progressive-psychedelic giapponese Rovo.
La classe non è acqua: "City Of Self Fascination" apre l'album con pulsare contemporaneo. "The Year 2032" è un brano poetico, nello stile migliore di Daevid, con interventi di Didier Malherbe al sax soprano che tolgono il fiato e portano la mente al collegamento ideale col passato.
Difficile indicare un momento migliore, davvero, sebbene "Guitar Zero" offra un groove irresistibile, nel quale il liquido fraseggio di Steve Hillage introduce a un bellissimo assolo di sax di Theo Travis. "Portal" è fortemente rock e hillagiana, "Digital Girl", il singolo ideale tratto dall'album, pura canzone gnomica, così come "How To Stay Alive", che ancora una volta vede il talento di Allen per l'affabulazione, la rima improbabile su un tempo divertentissimo psychorap su scala araba di antica memoria in veste nuova. Dalla canzone anche un divertente videoclip a cartone animato che ben descrive la complessa cosmogonia gonghiana.
Le esperienze recenti di Daevid con - per esempio - gli University Of Errors, o in tempi meno recenti con Kramer e Microcosmic, sicuramente hanno attualizzato il sound dei nuovi Gong, rendendolo più contemporaneo, sapendo declinare verbi moderni e significanti nuovi per significati classici.
Un senso di divertita gioia pervade tutto l'album, con il quale i Gong non potevano festeggiare in modo migliore il quarantesimo anniversario della band.
Arzillo ed instancabile settantaseienne, fresco di vittoria di una prima (e ci auguriamo anche ultima) battaglia contro il cancro, Daevid Allen riunisce nel 2014 una nuova formazione in gran parte inedita, cui unici membri reduci dal passato sono il fiatista Ian Est e il bassista Dave Stuart. Con loro, il figlio Orlando alla batteria e i due chitarristi Fabio Golfetti (dritto dai Violeta de Outono) e Kavus Torabi (Monsoon Bassoon, Cardiacs, Knifeworld e mille altre esperienze minori), rispettivamente brasiliano e iraniano, ad ampliare ulteriormente lo spettro geografico del Pianeta Gong.
E la cosa sorprendente è che quella che potrebbe sembrare (o forse a tutti gli effetti è) una band di supporto al solo leader sforna quello che è forse il disco più coeso della carriera del gruppo: I See You. L'incipit della title track è emblematico del contenuto dell'intero album: il tipico Gong-sound, in gran parte delle sue migliori sfaccettature, tirato a lucido e ridotto ai minimi termini. E quest'ultimo è probabilmente l'aspetto più interessante, quello che fa del disco qualcosa in più di una semplice e nostalgica autocelebrazione. La svisata ruvida di “Occupy” tanto quanto la scanzonata e fiabesca “Syllabub” e la nervosa “You See Me” si rivelano privi di qualsiasi eccesso tecnico o esibizionistico. L'accento è invece posto sulle progressioni melodiche, siano esse affidate alla chitarra piuttosto che ai fiati. L'assenza di un concept elaborato e complesso è un'ulteriore dimostrazione di una sobrietà inattesa: fungono da perfetti esempi il viaggio nella foresta dell'esotica “Zion My T-Shirt”, il rito spiritato a suon di contrasti di “When God Shakes Hands With Devil” ma anche la passeggiata cosmica di “The Eternal Wheel Spins”. Quelle poche volte che Allen concede spazio al suo estro folle, poi, ne escono passaggi ugualmente pittoreschi come la filastrocca “Pixielation” o il curioso poema musicato di “This Revolution”, trip allucinati che continuano a dare una paga incalcolabile a gran parte degli alfieri contemporanei della psichedelia. La maestria si condensa infine in un saggio monolitico formato dal trittico di chiusura: l'incipit ai confini del noise di “A Brew Of Special Tea”, i dieci minuti di fanfara teatrale di “Thank You” e il buco nero conclusivo di “Shakti Yoni & Dingo Virgin”, un passaggio nello spazio aperto tanto caro ai corrieri cosmici tedeschi. Quarant'anni suonati e non sentirli. Quarant'anni di amori, rancori, tradimenti, riappacificazioni. Di parole ne abbiamo già spese abbastanza, qui parla unicamente la musica: la leggenda continua.
Purtroppo, però, per Daevid Allen la malattia è in agguato. Il 2 giugno del 2014 gli viene rimossa dal collo una ciste, poi rivelatasi come cancerogena. Da allora, una battaglia vana, alla quale decide di porre fine consapevolmente: "Non sono interessato a operazioni chirurgiche senza fine ed è giunto come un sollievo sapere che la fine è in vista", aveva dichiarato. "Sono un credente e penso sia venuto il tempo di venire a patti con l'evidenza che ormai la fine sia vicina. Credo sia il momento di smettere di resistere per arrendersi all'evidenza dei fatti".
Il commovente addio ai fan viene sancito in una straordinaria lettera, in cui Allen trovava la forza per scherzare sul suo male: "Salve a tutti kookaburra", aveva esordito, annunciando la sua fine imminente, diagnosticata dai medici che il 5 febbraio 2015 gli avevano dato sei mesi di vita. Di vita, ad Allen glien'è rimasta ancora per un mese e mezzo. Ma, pur consapevole del suo destino, il musicista australiano aveva ironizzato ancora, chiamando in causa i suoi amati felini: "Ok, mi hanno fatto la scansione Pet-Cat", scherzava, giocando con le parole "pet-cat" ("animale domestico-gatto") che in realtà significano "Pet/Ct", la radioterapia usata per curare il cancro.
Daevid Allen è morto a Byron Bay, nella sua Australia, a 77 anni. Lascia un patrimonio unico di idee e suoni, e un esempio di vitalità e ironia che travalica anche i confini della morte.
Il 22 agosto 2016 muore anche la compagna storica di Allen, Gilli Smyth. A neanche un mese di distanza esce il ventottesimo album della band, intitolato Rejoice! I'm Dead! in omaggio al folletto australiano. Tornano per l'occasione i membri del passato Steve Hillage, Didier Malherbe e Graham Clark, a commemorare e celebrare un nuovo inizio. Proprio Clark presta il suo violino già nello psichedelico klezmer d'apertura di "The Thing That Should Be", mentre Hillage celebra Allen in "Rejoice!, con la sua chitarra che prende repentinamente la strada della galassia nella seconda parte di questo indisciplinato requiem. Dopo i ritmi da space-doom metal di "Kaptial", un altro gradito ritorno è quello di Didier Malherbe, il cui duduk scalfisce "Model Village" assieme alla voce di Daevid Allen. Il folletto australiano è presente anche in "Beatrix", una sorta di malinconico "Prostitute Poem" ("Angel's Egg") senza i sussurri lascivi e gli spogliarelli verbali della Smyth. Alle atmosfere spazial-clericali di "Visions", fa poi seguito il trittico finale, impregnato di qualche momento della trilogia "Radio Gnome Invisibile", in particolare "You"; dal sovraccarico space-rock di "The Unspeakable Stands Revealed", alla siderale lotta su teiere volanti di "Through Restless Seas I Come" (con ancora Didier Malherbe), fino al divertissement multi-etnico di "Insert Yr Own Prophecy".
Si tratta di un disco encomiastico, all'insegna della gioia e dei ricordi, e non poteva essere diversamente. Daevid Allen e Gilli Smyth avrebbbero voluto così e i Gong continuano la loro saga senza i membri fondatori. Anche se i capostipiti non ci sono più, bisogna però sottolineare che, se c'è una cosa che "Bert Camembert" e "Shakti Yoni" ci hanno insegnato, è che la storia dei Gong è sempre stata quella di una grande "global family", con tutti i lutti che ogni famiglia deve prima o dopo affrontare.
Dopo il doveroso commiato a Daevid Allen, The Universe Also Collapses si rivela invece il punto di partenza di una nuova era. Lo spartiacque definitivo tra ciò che i Gong sono stati nelle mani del loro creatore e quel che invece, con ogni probabilità, continueranno a essere nel futuro. D'altronde, il ritorno della band non stupisce chi ne ha seguito le vicende più recenti: la volontà di Daevid è sempre stata quella di lasciare il gruppo in balia del fato, non volendo che esso si celasse dietro rimpianti e perpetui funerali sonori.
Il salto quantico si ripercuote sul sistema sonoro, tornando alle origini del tempo e dello spazio: l'intento dichiarato dal chitarrista Kavus Torabi è stato infatti quello di produrre un album di pura psichedelia, ad alto tasso lisergico. Via quindi molte delle sovrastrutture che hanno caratterizzato parte della saga centrale dei Gong; non c'è spazio per nette contaminazioni jazz e progressive, ma solo per un unico flusso psych-rock che agisce direttamente nella mente dell'ascoltatore.
Che ci sia qualcosa di strano lo si intuisce dalla durata dell'opener, "Forever Reoccurring", 20 giri d'orologio che sembrano usciti direttamente dalla testa di Timothy Leary. Il modus operandi si lega a quello dei primi Gong spaziali di "Camembert Electrique", in un accavallarsi di sintetizzatori, sassofoni, chitarre e stupefacenti cavalcate percussive. Il risultato finale non convince tuttavia pienamente, in quanto alcune sezioni si rivelano quasi inconcludenti e ridondanti.
L'anima più dinamica e propriamente canterburiana dei Gong è presente invece nel breve interludio di "If Never I'm And Ever You", che lancia il secondo brano più lungo del disco, i 13 granitici minuti di "My Sawtooth Wake". Anche qui a far da padrone è il glissando della chitarra, vecchio marchio di fabbrica di Allen, che assieme ai sax di Ian East diviene il vero protagonista di quella che è la traccia più convincente del conio. Una vera e propria dichiarazione di intenti dove il manierismo si fa da parte, rivelando ciò che davvero i Gong possono dare negli anni a venire. Tutto si annulla, però, nel conclusivo space-folk di "The Elemental", incentrato intorno alla voce di Kavus Torabi, che in un'ambientazione così ritmicamente spoglia non sembra riuscire a reggere il peso da sola e a portare la canzone a un livello superiore. Un finale lievemente sottotono, ma ci appuntiamo per il futuro ciò che è davvero importante: anche se l'universo collassa, c'è ancora vita sul pianeta Gong.
Contributi di Valeria Ferro ("Rejoice! I'm Dead" e "The Universe Also Collapses")
GONG | ||
Magick Brother/Mystic Sister (Affinity, 1970) | ||
Obsolete (1971) | ||
Continental Circus (Charly, 1971) | ||
Camembert Electrique (Philips, 1971) | ||
Radio Gnome Invisible Part 1: Flying Teapot (Virgin, 1973) | ||
Radio Gnome Invisible Part 2: Angels Egg (Blue Pate, 1973) | ||
Radio Gnome Invisible Part 3: You (Virgin, 1974) | ||
Shamal (Virgin, 1976) | ||
Gong est mort... vive Gong (Tapioca, 1977) | ||
Live Etc. (Virgin, 1977) | ||
About Time (Charly, 1980) | ||
Live Au Bataclan 1973 (New Rose Blues, 1989) | ||
Live At Sheffield 1974 (New Rose Blues, 1990) | ||
Shapeshifter (Celluloid, 1992) | ||
Live On TV 1990 (DEM, 1993) | ||
25th Birthday Party (live, Voiceprint, 1995) | ||
Pre Modernist Wireless: The Peel Sessions (1995) | ||
Sideshow (live, 1993) | ||
You Remixed (Cleopatra, 1997) | ||
Zero To Infinity (Snapper, 2000) | ||
2032 (A-wave, 2009) | ||
I See You (Madfish, 2014) | ||
Rejoice! I'm Dead!(Snapper Records, Madfish, 2016) | ||
The Universe Also Collapses (Kscope, 2019) | ||
DAEVID ALLEN | ||
Banana Moon (Caroline, 1971) | ||
Good Morning! (Virgin, 1976) | ||
Now Is The Happiest Time Of Your Life (Affinity, 1977) | ||
N'Existe Pas! (Charly, 1979) | ||
Divided Alien Playbox 80 (Charly, 1982) | ||
Stroking The Tail Of The Bird (1990) | ||
The Australian Years (Voiceprints, 1991) | ||
The Seven Drones (Voiceprints, 1991) | ||
Live At The Witchwood 1991 (live, 1992) | ||
Who's Afraid (Shimmy Disc, 1993) | ||
Twelve Selves (Voiceprints, 1993) | ||
The Voiceprint Radio Sessions (1994) | ||
Hit Men (Shimmy Disc, 1996) | ||
Divided Alien Clockwork Band - Live At Squat Theatre New York August 1980 (Blueprint, 1997) | ||
Dreamin' A Dream (Gas, 1997) | ||
Eat Me Baby, I'm A Jellybean (GAS, 1998) | ||
22 Meanings (1998) | ||
PLANET GONG | ||
Floating Anarchy (live, Charly, 1977) | ||
GONGMAISON | ||
Gongmaison (Voiceprint, 1988) |