Grazie per aver cominciato il processo del lasciarmi andare, di affrontare il cordoglio e poi trasformarlo celebrando questa morte che sta arrivando. Questo è il modo in cui voi potete contribuire, questo sarebbe un enorme regalo per coloro che sono emotivamente e spiritualmente legati a me. Vi amo e sarò con voi per sempre,
Daevid
Era il 13 marzo 2015. Quel giorno moriva
Daevid Allen dopo aver scritto una bellissima lettera d'addio al mondo, terminandola con queste parole. Molti fan piangevano allora la morte di colui che è stato, senza alcun dubbio, il catalizzatore della scena di
Canterbury, oltre che uno dei personaggi più stravaganti dell'intera storia musicale del Novecento. Era quindi logico pensare che, con la scomparsa di "Bert Camembert", si chiudesse per sempre anche la saga dei
Gong. Come spesso accade, tuttavia, i posteri hanno trovato un modo per smentirci; ma, in fondo, quella sua schietta richiesta di celebrazione a chiusura della sua lettera doveva un po' farcelo presagire. Qualcuno però ha ugualmente storto il naso appena è venuto a conoscenza di un nuovo album dei superstiti Gong, trovando ridicolo o addirittura blasfemo che la band potesse proseguire senza il proprio guru spirituale.
Il 22 agosto del 2016, a neanche un mese dalla data di uscita ufficiale del disco, il destino ci mette ancora la sua impronta ironicamente necrofila e così capita che muore perfino la storica compagna di Allen, la "Mother Gong"
Gilli Smyth. La coppia regale di Canterbury se ne è così andata per sempre. Il nuovo disco dei Gong, già oggetto di perplessità, sembra ora ancora più inopportuno. Eppure, anche se allora la situazione era reversibile, bisogna ricordare che per un breve periodo nell'infinita storia della band l'allontanamento del duo non aveva fermato la macchina spaziale. Le teiere avevano infatti continuato a volare. Era il 1974: la Smyth decideva di dedicarsi per un periodo esclusivamente ai suoi figli, mentre Daevid Allen si trovava alle prese con un campo magnetico avverso che gli impediva di avvicinarsi ai suoi compagni sul palco. I problemi erano, tuttavia, molto più profondi e a turbarlo era soprattutto l'evoluzione della Virgin, che si era trasformata in una faraonica
major. Pierre Moerlen prendeva allora il posto di guida nei Gong, fino a quando nel 1977 Allen e la Smyth decidevano di rientrare nel nucleo, inaugurando la lunga stagione delle "Gong Global Family" a formazioni variabili.
Si giunge così al 16 settembre 2016. A due anni di distanza dal buon "
I See You" (2014) esce il ventottesimo album della band dal titolo encomiastico "Rejoice! I'm Dead" ("Rallegratevi! Sono morto!"), che richiama proprio l'epistola d'addio del fondatore dei Gong. A detta di Dave Stuart, l'album è infatti "ispirato dalla luce, dall'amore e dalla morte del nostro caro amico e mentore Daevid Allen". Non poteva essere altrimenti. Bastano pochi minuti per capire che le sue parole sono sincere. Ogni membro della band, del resto, si rivela fondamentale nello sviluppo del disco, che trova finalmente un certo equilibrio tra le sonorità dei Gong di Daevid Allen e quelli di Pierre Moerlen (anch'egli, ormai, lassù).
La formazione riunisce i fedeli Kavus Torabi e Fabio Golfetti (chitarra, voce), Dave Stuart (basso, voce), Ian East (sax, fiati) e Cheb Nettles (batteria), ma non mancano all'appello neanche gli ospiti illustri dal passato. Graham Clark presta il suo violino già nello psichedelico
klezmer d'apertura di "The Thing That Should Be", mentre Steve Hillage, uno che nei Gong ha lasciato un segno indelebile, celebra Allen in "Rejoice!", con la sua chitarra che prende repentinamente la strada della galassia nella seconda parte di questo indisciplinato requiem.
Dopo i ritmi da
space-doom-metal di "Kaptial", un altro gradito ritorno è quello di Didier Malherbe, il cui duduk scalfisce "Model Village" assieme alla voce di Allen. Il folletto australiano è presente anche in "Beatrix", una sorta di malinconico "Prostitute Poem" ("Angel's Egg") senza i sussurri lascivi e gli spogliarelli verbali della Smyth.
Alle atmosfere spazial-clericali di "Visions" fa poi seguito il trittico finale, impregnato di qualche momento della trilogia "
Radio Gnome Invisibile", in particolare "You"; dal sovraccarico space-rock di "The Unspeakable Stands Revealed", alla siderale lotta su teiere volanti di "Through Restless Seas I Come" (con ancora Didier Malherbe), fino al
divertissement multi-etnico di "Insert Yr Own Prophecy".
"Rejoice! I'm Dead!" si chiude com'era iniziato, all'insegna della gioia e della celebrazione, e non poteva che essere così. Anche se i capostipiti non ci sono più, bisogna soprattutto sottolineare come i Gong senza Daevid Allen possono e devono continuare a esistere: perché, in fondo, se c'è una cosa che "Bert Camembert" e "Shakti Yoni" ci hanno insegnato, è che la storia dei Gong è sempre stata quella di una grande
global family, con tutti i lutti e le tragedie che ogni famiglia deve prima o dopo affrontare.
16/09/2016