Le tracce che sovente seguiamo per scoprire nuovi e intriganti sentieri nella musica rock ci hanno portato a dare sguardi al passato, frustrati per esaurimento-scorte di artisti singoli o gruppi capaci di entusiasmarci veramente. I Devo, che ricordavamo per lo straordinario video della cover di "Satisfaction" dei Rolling Stones, hanno alimentato una luce che languiva nelle più polverose e attraenti stanze della nostra memoria.
I Devo erano genio puro: icone feroci di una società sintetica e seriale, crearono un genere assolutamente nuovo e rivoluzionario, tutt'oggi scopiazzato da molte band riconosciute innovatrici. Da loro nacque una musica ibrida e mostruosa, un punk elettronico che necessitava delle immagini dei suoi eccezionali inventori perché fosse veramente efficace. Grazie ai Devo, un'estetica nuovissima del rock si impadronì dell'immaginario della gente. Un'ironia aspra e intelligente, una comicità a tratti grottesca traspare dai loro video, così come una filosofia e una critica sociale per nulla scontate.
Si formarono nel 1974 ad Akron (Ohio, Usa), per iniziativa di Gerard Casale e di Robert e Mark Mothersbaugh, tutti chitarristi e tutti cantanti con il nome appunto di Devo, contrazione di De-Evolution. Le loro performance erano basate soprattutto sul loro modo di presentarsi al pubblico come simboli assurdi di un uomo tecnoide-robotizzato stile Kraftwerk. Si muovevano a scatti sincronizzati ed erano vestiti e truccati tutti allo stesso modo, dando così l'impressione di essere veramente dei bambolotti privi di vita. I ragazzi di allora furono subito colpiti da questi strambi spettacoli teatral-musicali, e la moda dell'uomo-giocattolo cominciò a impregnare le fibre della new wave. De-Evoluzione non è altro che il contrario delle teorie di Darwin, un regresso dell'essere umano omologato, identico ai suoi simili in tutto e per tutto, nei gesti nelle parole e nelle idee, che affida all'automatismo delle macchine la risoluzione dei propri problemi.
La loro musica, scriteriata e sclerotica, è perfettamente complementare ai loro movimenti nervosi, ai loro tic che tanto hanno influenzato artisti come i bravi Daft Punk o David Byrne, da sempre grande estimatore del gruppo statunitense. Lo stesso musicista scozzese ha, nel suo album "Feelings" (1997 Luaka Bop), ripreso in pieno l'immagine dei Devo facendo di sé una sorta di GI-Joe in una scatola di montaggio. Di queste suggestioni riportate alla luce, il mondo della pubblicità ha depredato tutto quello che ha potuto.
Esordiscono nel 1978 con l'album Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! ovvero una miscela galvanizzante di tremila generi: dal rock al folk, dalla musica tzigana al synth-pop, dal blues al beat. Contrazioni e sincopi continue, cambiamenti di rotta mozzafiato e una notevole dose di auto-ironia ne dettano i tempi dispari. Tutti gli elementi descritti e molti altri dimenticati, fanno di quest'opera una vera e infinita fonte di ispirazione, oltreché un capolavoro assoluto della storia del rock'n roll. Mark Mothersbaugh dalla voce di Joker, ha un che di paranoico, di inquietante e doloroso, mentre accompagna le note di "Jocko Homo", storico e tambureggiante manifesto Devo. Ma nel disco spiccano anche il ritmo frenetico di "Mongoloid" (altro loro grande successo), nonché le sferzanti progressioni meccaniche di "Sloppy" e "Uncontrollable Urge".
A Are We Not Men? seguono Duty Now For The Future (Warner Bros, 1979, con "Blockhead") Freedom Of Choice (Warner Bros, 1980, con la title track e "Girl U Want"), New Traditionalists (Warner Bros, 1981, con "Beautiful World"), Oh No It's Devo (Warner Bros, 1982, con "Peek-A-Boo", poi ripresa da Siouxsie & The Banshees) che ricalcano con alterne fortune i fulgori degli esordi.
Gli ultimi lavori poi: Shout (Warner Bros, 1984), Total Devo (Enigma, 1988) e Smooth Noodle Maps (Enigma, 1990) sembrano, come spesso accade ai grandi artisti, soltanto delle pallide rievocazioni senili di un grande passato.
Anche in Something For Everybody (2010) i Devo sembrano avviati verso la china di una mesta ordinarietà. E allora diventa relativamente facile capire perché ci si arrabatta nella disperata ricerca della nuova "Girl U Want", girandoci intorno a partire dal singolo "Fresh" che propina il tipico riff di tastiera suffragato da stop and go e ritornellino catchy d'ordinanza. Purtroppo il peggio deve ancora venire quando ci si imbatte in "Please Baby Please", che nelle intenzioni vorrebbe restituirci una versione gioviale dei Suicide ma nei fatti si dimostra una evoluzione pokemon della "Macarena", oppure nell'acritico utilizzo delle mercanzie sintetiche in casio style di "Mind Games".
L'ambizione è di creare le atmosfere goderecce del party album, ma l'ironia forzata non regge mancando della necessaria spensieratezza. Tanto che l'unica nota positiva giunge alla traccia numero 11 con "No Place Like Home", che abbandona le piacionerie gratuite per calarsi in un gustoso cocktail fra il primo Julian Cope e gli immarcescibili Ultravox.
Nel loro periodo più felice, i Devo hanno rappresentato nella musica, analogamente a quello che dice il Trattato del Ribelle di Ernst Junger, con arguzia e finezza intellettuali il deperimento dell'uomo moderno e le sue paure in crescita parallela al progresso tecnologico, l'autocelebrazione e l'esasperato autocompiacimento che sono riflessi malinconici della civiltà capitalista.
Contributi di Marco Bercella ("Something For Everybody")