Del passato terroristico della band nessuna traccia, anzi nessunissima traccia, tanto che forse la prima critica da fare è la mancanza di impatto. Gli Opeth sono stati poi più realisti del Re e non è possibile non notare nelle otto tracce un approccio compositivo vicino al produttore leader dei Porcupine Tree: stesso incedere compassato dei pezzi, stesso impianto melodico ben definito ai limiti (e oltre) del pop, stesse aperture tastieristiche, qui affidate ad un onnipresente mellotron suonato dallo stesso Wilson, stessi giri chitarristici che conducono il pezzo per poi aprirsi in parti solistiche sempre ben bilanciate, stessa incapacità di andare oltre un cliché e soprattutto stessa incapacità cronica di manifestare tensione emotiva e creativa.
Intendiamoci, il talento non manca, i pezzi sono tutti ben costruiti, assolutamente piacevoli, alcuni molto piacevoli, discretamente cantati. Però questa musica è un po’ come acqua su pietra, non lascia il segno, manca di forza emotiva, di dramma, di tensione, di colore e di eclettismo anche solo tecnico, e i pezzi alla fine risultano tutti un po’ monocordi.
Disco tutt'altro che disprezzabile, piacerà molto ai fan del Porcospino (per me è comunque meglio di "In Absentia"), gli altri lo ascolteranno con più sufficienza. Ma davvero prima erano così cattivi?
(29/10/2006)