Giunto alla terza fatica, l'assortito quintetto capitanato dal fenomenale vocalist John DeLeo continua a esplorare quella sua peculiare forma di rock deviato e irregolare, suonato con strumenti che col rock tradizionale non c'entrano nulla (per chi non lo sapesse, la formazione è composta da archi, contrabbasso e sassofono), cantato da DeLeo con quel suo inconfondibile stile fatto di impennate folgoranti, di scarti improvvisi, di continui saliscendi lungo scale e registri sempre più impervi.
Era stato pensato inizialmente come colonna sonora del film "La Forza del Passato", di Piergiorgio Gay, questo disco: poi è diventato qualcos'altro, si è diramato in direzioni diverse, sviluppandosi all'insegna di una schizofrenia che rasenta in molti episodi la pura genialità.
A far gridare al capolavoro basterebbero due brani, posti in apertura appena dopo l'introduzione di "Illune (ninna-nanna)": la prima gemma è "Neon Sun" che svela tutto il loro talento ritmico (pur facendo a meno della batteria), la loro innegabile energia "rock", le loro capacità mimetiche. Ma i Quintorigo sono anche maestri dell'insidiosa arte della cover e non hanno paura di confrontarsi con i più importanti mostri sacri della musica: ed ecco allora "Clap Hands", dal repertorio di Tom Waits, artista spiritualmente affine al nostro quintetto, che infatti si trova perfettamente a proprio agio nel rielaborare a modo suo il disordine e la bizzarria del grande cantautore americano.
In tempi come questi anche i Quintorigo non rinunciano ad esporre la loro opinione sui fatti del mondo e lo fanno con la sarcastica invettiva "U.S.A. e getta". Ma sono i momenti più rarefatti e intimisti, come è forse anche più consono alle attitudini del gruppo, a cogliere maggiormente nel segno: momenti posti non a caso nel cuore dell'album, a partire dalla splendida "Dimentico", impreziosita dalla partecipazione di Ivano Fossati, per proseguire con un'altra cover, sempre inventiva e personalissima, del fin troppo abusato standard swing "Night And Day" di Cole Porter, e infine con la ripresa di "Deux Heures Des Soleil", forse l'episodio più oscuro e affascinante del disco.
Altro capolavoro è la suite "Raptus", divisa in tre movimenti, che rappresenta il lato più sperimentale del complesso, quello dove i Quintorigo danno libero sfogo alle loro visioni, dividendo il trittico tra pura avanguardia, incursioni jazz e aperture ritmiche che sfiorano l'hip-hop (per la prima volta compare una batteria). A chiusura di un percorso tanto tortuoso e ostico quanto incredibilmente vivo e straripante di trovate una più brillante dell'altra, arrivano "Darn That Dream" e "Illune", di nuovo con Fossati ospite d'eccezione.
Confermatisi con questo terzo disco come un autentico patrimonio della musica italiana (e non solo) contemporanea, i Quintorigo continuano, come e più che nei dischi precedenti, a spiazzare e sorprendere, rendendosi pressoché inaccessibili, sbattendo la porta in faccia a qualsiasi facile concessione commerciale, come anche era lecito temere visto il successo del loro precedente lavoro e il clamore suscitato dalla loro apparizione sanremese. E invece John DeLeo e compagni hanno scelto di inoltrarsi ancora più in profondità lungo quella strada buia e rischiosa che solo pochi, i migliori, sono capaci di percorrere senza fallire.
(29/10/2006)