Il quintetto romagnolo dei Quintorigo, con un piede nelle sonorità del Balanescu Quartet e un altro tra le chitarre distorte del rock più duro, mescola suoni ed emozioni in una centrifuga musicale alimentata da un intreccio di violini e violoncelli.
Nei dieci brani di Grigio si alternano composizioni, che partono da una base d'ispirazione classicheggiante, per decollare verso altri lidi, sfociando sul bivio che porta da una parte al jazz e dall'altra al rock. Si comincia con il singolo dall'andamento reggae "La nonna di Frederick lo portava al mare" per arrivare alla ripresa del tema del film di Spike Lee "Lola darling" e all'atmosfera da musical di "Nola". La title track è un chiaro omaggio a un Paolo Conte in "Grigio", mentre "Precipitango" (con un assolo di flicorno firmato da Enrico Rava) è un tango alla Piazzolla stravolto in chiave jazz. "Malatosano" è un blues alticcio, "Egonomia" un tema impegnato, e la tesissima cover di "Highway star", classico hard-rock dei Deep Purple, è un saggio eloquente della capacità dei Quintorigo di eseguire rock anche duro con una strumentazione di impostazione quasi da camera. E non manca nemmeno una performance a più voci ("Zara") impreziosita dalle straordinarie qualità del cantante John De Leo. Inediti e cover, insomma, formano un intrico di sonorità graffianti, ritmi obliqui e vocalizzi stranianti. "Bisogna uscire dalla visione pop-centrica delle cover - racconta De Leo, le cui acrobazie vocali rievocano quelle del grande Demetrio Stratos degli Area - Una visione che tende a confinare le cover come si trattasse di un repertorio di serie B rispetto ai brani di composizione propria. In realtà, se sbandiamo in altri generi musicali, primi fra tutti il jazz, l'interpretazione di una cover è un tassello essenziale del mondo musicale di un artista. Da parte nostra poi, anche la rilettura di una cover finisce per trasformarsi in un brano originale: per via dell'arrangiamento ma anche solo della strumentazione del nostro quintetto che è di per sé portato a riscrivere radicalmente la tessitura sonora di un brano vestendola con panni propri. Ciò senza mai dimenticare quell'ironia di fondo che ci consente di prendere la musica con la stessa leggerezza di un gioco. Ma di un gioco serio: il gioco dei bambini che imparano proprio nel momento in cui giocano con maggiore serietà".
A far funzionare il gioco musicale dei Quintorigo, è una formula che rinuncia agli strumenti classici del rock a vantaggio di un set acustico: violino (Andrea Costa), violoncello (Gionata Costa), contrabbasso (Stefano Ricci) e sax (Valentino Bianchi), cui si aggiunge il flicorno di Enrico Rava. Il risultato è un guazzabuglio un po' sconnesso, ma sicuramente affascinante, di suoni e parole. Dopo l'esordio al Festival di Sanremo del 1999, dove si sono guadagnati il Premio della Critica e quello della Giuria di Qualità, per trionfare poi anche al Premio Tenco, i Quintorigo si sono ormai affermata nella nuova scena della musica italiana d'autore, insieme ad artisti come Avion Travel, , Massimo Volume.
Anche in concerto, i Quintorigo osano molto e sfidano gli spettatori, con l'intento segreto di educare gradualmente al jazz e alla musica classica il pubblico più sprovveduto del pop. I risultati, per ora, sono positivi. "I fan di Biagio Antonacci e Jovanotti magari possono trovare alcune nostre cose un po' difficili - dice il sassofonista, Valentino Bianchi - e forse un jazzista può non rimanere del tutto soddisfatto, ma abbiamo notato che la nostra musica riesce gradevole alla maggior parte delle persone, perché ci trovano dentro mille influenze. Il nostro è un genere contaminato, ma non difficile, non vuole essere cervellotico. Fondamentalmente seguiamo un orientamento pop".
Alle spalle dei Quintorigo, una lunga esperienza live con musicisti jazz e pop, e studi classici nei conservatori della Romagna. Due approcci non più agli antipodi: "Ormai sono molti i conservatori che iniziano ad aprire cattedre di musica jazz ed elettronica, e si aprono gradualmente a generi non strettamente classici - ricordano -. Ma dipende ancora molto dalla gestione singola e dagli insegnanti". Tra le loro principali influenze, i Quintorigo citano Stravinskij, Miles Davis, Fats Waller, Jimi Hendrix, Faith No More, Herbie Hancock.
Da tante musiche diverse è nato anche l'album d'esordio, Rospo , in cui si incontrano archi che suonano come chitarre elettriche, sassofoni indiavolati, il contrabbasso a sostenere da protagonista il ritmo e l'incredibile voce di De Leo a spaziare tra numerosi timbri diversi, da James Brown a Bobby McFerrin, da Demetrio Stratos (Area) a Johnny Rotten (Sex Pistols). Un matrimonio ben riuscito, premiato anche al Festival di Sanremo 1999, dove i Quintorigo si sono aggiudicati il Premio della critica. E ora, con "Grigio", per la formazione romagnola sembra arrivato il momento della definitiva consacrazione.
Nel 2003 i Quintorigo tornano prepotentemente alla ribalta con In Cattività.
A far gridare al capolavoro basterebbero due brani, posti in apertura appena dopo l'introduzione di "Illune (ninna-nanna)": la prima gemma è "Neon Sun" che svela tutto il loro talento ritmico (pur facendo a meno della batteria), la loro innegabile energia "rock", le loro capacità mimetiche. Ma i Quintorigo sono anche maestri dell'insidiosa arte della cover e non hanno paura di confrontarsi con i più importanti mostri sacri della musica: ed ecco allora "Clap Hands", dal repertorio di Tom Waits, artista spiritualmente affine al nostro quintetto.
In tempi come questi anche i Quintorigo non rinunciano ad esporre la loro opinione sui fatti del mondo e lo fanno con la sarcastica invettiva "U.S.A. e getta". Ma sono i momenti più intimisti a cogliere nel segno, a partire dalla splendida "Dimentico", impreziosita dalla partecipazione di Ivano Fossati, per proseguire con un'altra cover, sempre personalissima, del fin troppo abusato standard swing "Night And Day" di Cole Porter, e infine con la ripresa di "Deux Heures Des Soleil", forse l'episodio più oscuro e affascinante del disco.
Altro capolavoro è la suite "Raptus", divisa in tre movimenti, che rappresenta il lato più sperimentale del complesso, quello dove i Quintorigo danno libero sfogo alle loro visioni, dividendo il trittico tra pura avanguardia, incursioni jazz e aperture ritmiche che sfiorano l'hip-hop (per la prima volta compare una batteria). A chiudere, arrivano "Darn That Dream" e "Illune", di nuovo con Fossati ospite d'eccezione.
L'abbandono da parte di De Leo, però, mette a dura prova l'esistenza stessa del gruppo.
Il Cannone (2006) mostra infatti una band ancora piuttosto spaesata. Al microfono ora c’è una donna, Luisa Cottifogli, che mostra comunque di trovarsi a suo agio sui ritmi indiavolati e perversi dei Quintorigo. Dalla delicatezza reggae di “Alligator Man” fino alla severità di “Il Cannone”, l'incanto sembra reggere. Ma lo straniante pop-rock de “Il Clone del Padre” non graffia. Più affascinante semmai l’arabesca sensuale di “Ranni Li” oppure l’esercizio di stile a cappella di “Soon I Will Be Done”.
Numerose le cover: dal jazz di Charles Mingus, al pop dei Police, al reggae di “Redemption Song” di Bob Marley, la Cottifogli ci porta alla scoperta dei nuovi Quintorigo, fino alla cover della discordia: “Luglio agosto settembre (nero)”. Il duello a distanza tra Stratos e De Leo non c’è stato. Intendiamoci: la versione con la Cottifogli è eccezionale, ma il rimpianto per non averla ascoltata dalla voce del barbuto e carismatico vocalist è grande. L’ultima cover è... dei vecchi Quintorigo: “Grigio”.
Il Cannone dà vita a un nuovo percorso, regredendo per forza di cose dal suo onirico e introverso predecessore In Cattività. Tanto intimo e carico di spleen era stato quell’album, tanto questo lascia una sensazione di compitino svolto.
Contributi di Mauro Roma ("In Cattività"), Dario Ingiusto ("Il Cannone")
Rospo (2000) | 7 | |
Grigio (San Remo, 2001) | 6,5 | |
In cattività (Universal, 2003) | 7 | |
Il Cannone (Venus, 2006) | 5 |
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