Il passaggio alla Universal (datato duemiladue), con conseguente abbandono del lo-fi folk degli esordi, aveva creato malumori nei fan della prima ora del Bugo. Il ritorno a nome "Golia & Melchiorre" consiste in un doppio album che, vuoi per scelta propria vuoi per imposizione dall'alto, cerca di conciliare le due anime finora emerse del "cantautore" novarese.
L'elettrico "Arriva Golia!" prosegue sulla strada del precedente capitolo della saga, "Dal lofai al cisei". Si tratta per l'appunto di un prosieguo e non di una ripetizione in quanto, fermo restando il suono e l'influenza beckiana nell'arrangiamento, si punta ad accentuare la fruibilità dei pezzi e a forzare la venatura pop in sede di scrittura. La maggiore commerciabilità ricercata non è in sé un difetto (anzi), ma il dramma è che nel disco non vi è la minima traccia di ispirazione profonda. La corsa frenetica da un genere all'altro non basta a destare attenzione: si passa così dal r&b di "Hasta la schiena siempre" (una versione indie di Jovanotti) all'elettro-rock di "Caramelle", dal funky di "Un altro conato" al rap alla Caparezza di "Devo fare un brec" in uno stato di noia catatonica. Sono canzoni davvero bruttine, degne di un suo "worst of". A salvarsi (anche a livello testuale, dato che ampie delusioni arrivano anche da quel versante), restando sulla soglia della decenza, sono i due pezzi più immediati: il pop-rock di "Carla è franca" che mette a confronto una ragazza con problemi di linea, Carla, con un'amica magra, Franca ("Forse è troppo facile per me, pollo e bignè, io mangio tutto quello che c'è, sono Franca") e "Il sintetizzatore", divertente pop'n'roll con (s)folgorante assolo di synth nel finale, che narra appunto di un "cantante di synth" appiedato da un guasto elettrico ("No, io non suono la chitarra! - Perché? - Amo il sintetizzatore!"). A convincere invece è la sola "Mezzora prima di morire", stralunato paesaggio preso a prestito proprio dal maestro Beck.
Con l'altro capitolo, "La gioia di Melchiorre", composto con Joe Valeriano, invece ritroviamo il folk (pur restante l'abbandono della veste lo-fi) con (e qui la novità) una serietà (pur a modo suo) e un intimismo inedito. Ed è, cosa importante, lavoro di tutt'altra pasta, a tratti di una profondità difficilmente preventivabile, che regala parecchie canzoni notevoli: "Non mi arrabbio mai", per chitarra acustica accompagnata dal contrabbasso, una ballata dolente con armonica straziante e gran finale strumentale; "Rimbambito", tra i capolavori di Bugo, con un'apertura melodica e un testo degni (se non migliori) dei tempi d'oro ("chiedo a te, prendimi a schiaffi, io non riesco a vivere"); "Sentirsi da cane" soffiata da un vento elettronico, con le chitarre che imitano mandolini; "Quando vai via", dalla cadenza epica e fatalista; "Che diritti ho su di te?", che fa meglio di tutte, con voce rotta e toccante (nonostante sia palese che Bugo non sia un cantante: l'importanza della tecnica cede quando si trova un tono del genere, ai livelli di Battisti), piena di paura per la vita e per il futuro. Parimenti azzeccata è la chiusura, affidata al religioso psych-folk di "Alleluia".
Come si evince, la differenza qualitativa tra le due parti dell'album è abissale. Si potrebbe dunque concludere che la tesi di una scelta imposta dall'alto tanto peregrina non sia (ovvero: ti si pubblica "La gioia" solo se fai qualcosa di più radiofonico): oppure più semplicemente Bugo non si rende conto né dei suoi limiti né di dove sia davvero la sua arte. Ad ogni modo la sensazione forte è quella di trovarsi di fronte a un talento sprecato, potenzialmente in grado di realizzare opere di alto livello, ma che, per scarsa consapevolezza o mancanza di volontà si limita a pubblicare lavori, come questo, incompleti.
24/11/2006
Arriva Golia!
La Gioia di Melchiorre