Principessa Kate, noi ti amiamo. Ma dove sei stata tutti questi anni? A dialogare con le fate? Non importa, appena abbiamo saputo del tuo ritorno abbiamo gioito aspettando un'emozione che ci svegliasse dal torpore, una canzone, un piano, una voce. Principessa, noi continuiamo ad amarti, ma adesso stiamo rigirando in mano un bel digipack, sorridiamo felici, ma con un retrogusto amaro, un filo sottile di delusione.
Due cd (il primo "A Sea Of Honey", il secondo "A Sky On Honey") per poco più di 80 minuti complessivi. Forse ci si poteva sforzare e farne uno solo, magari tagliando un brano (ma forse non era nemmeno necessario), ahimé c'è l'imbarazzo della scelta, e farlo pagare come tale, ma queste sono considerazioni grette che facciamo noi che siamo terra terra, i cuori puri della casa discografica non possono comprendere.
Si parte con "King Of The Mountain", è il singolo ma il brano non entra e ci lascia indifferenti dal primo all'ennesimo ascolto: un brutto tentativo di rifare "Running Up That Hill", con cui condivide l'andamento cadenzato . Il secondo brano, "Pi", ci lascia addirittura perplessi: bel lavoro di basso e molto curioso il lirismo con cui Kate Bush canta dei numeri (ovviamente 3, 14...), una spruzzata di elettronica di contorno, ma ci sembra che siamo caduti nell'escamotage del certosino arrangiamento atto a mascherare la debolezza del pezzo. Bei suoni, ma poco altro.
Cambio completo di registro con "Bertie", una delle tracce migliori, con un'atmosfera curiosamente rinascimentale, con tanto di cello e "renaissance guitar". Sembra veramente un brano di John Renbourn dei Pentangle. Arriviamo finalmente con il quarto brano alla dimensione che preferiamo, la nostra Principessa al piano. "Mrs. Bartolozzi", voce bellissima come al solito, piano romantico e cupo, un saliscendi denso di dolcezza e tensione, però si ha l'impressione di un roteare attorno a una melodia che non arriva, aspettando una magia che non si delinea. Rimaniamo interdetti, bel brano ma incompleto, inespresso.
Con "How To Be Invisible" riprende tono una dimensione ritmica, con retrogusto quasi blues e arrangiamenti ricchi, ma sostenendo una linea melodica inesistente... siamo sempre più perplessi. Poi arriva "Joanni", il punto più basso del disco: ritmica elettronica, birignao a profusione per infiocchettare un brano scialbo e inutile. Siamo scorati, la Principessa lo capisce e ci regala in chiusura di primo cd un gioiello, "A Coral Room", piano e voce, cuore in mano e grande poesia, un abisso di spleen. Da pelle d'oca.
Il clima e lo stile di "A Coral Room" pervade anche l'inizio del secondo cd, un continuum (non propriamente una suite), come già "A Ninth Wave" da "Hounds Of Love". "Prelude" è quello che dice il titolo e introduce "Prologue", grande intimismo con un filo di oscurità inquieta, poi "An Architect's Dream", come sospesa su un tappeto di tastiere e percussioni, e "Sunset", introdotta dalla brevissima "The Painter Link", ancora focus su piano e voce, bellezza cristallina con finale finto latino. Siamo ai momenti migliori del cd, grande coesione interna dei brani, ascolto solo apparentemente facile, in realtà impegnativo, con melodie oblique e sfuggenti, suoni e voce pieni di sfumature.
Il clima si alleggerisce un po' con "Somewhere In Between" (introdotta da "Aerial Tal"), una piccola svisata verso un pop più di maniera non congruo con il tono del disco. Arriviamo verso il finale fiduciosi, eppure "Nocturn", in cui ritorna un clima elettroacustico, si rivela certamente accattivante e piena di raffinatezze, ma alla fine ti porta in giro per otto minuti in maniera un po' inconcludente, e il finale, con la title track, ritmica sintetica a tratti incalzante, ci lascia molto perplessi nella sua evanescente ossessività.
Lavoro a tratti molto raffinato, spesso intimo e non di facilissima assimilazione, si pone come sicuramente il disco di Kate Bush più lontano dagli stereotipi pop/rock, come il più impegnato e forse impegnativo e coraggioso, però altrettanto certamente non come il migliore. Una certa cerebralità di fondo, la mancanza di aperture melodiche, di cui sarebbe maestra, un tono un po' troppo compresso e soprattutto la presenza di diversi pezzi deboli ci lasciano il sapore di un'occasione mancata.
Ti amiamo ancora, Principessa Kate, ma ci perdonerai se ora torniamo ad ascoltare "The Kick Inside" o "Hounds Of Love".
P.S. Nel disco ci sono alcune parti orchestrali, e l'orchestra è condotta e arrangiata da Michael Kamen, scomparso da non molto: lo ricordiamo.
30/11/2006
Disc 1
Disc 2