Scelsero come simbolo una pentagono per rappresentare come ogni membro del gruppo - ogni lato della figura - contribuisse fattivamente e ugualmente alla struttura musicale complessiva. Un simbolo semplice che definisce in modo appropriato le capacità e il talento dei Pentangle, uno dei gruppi più importanti di quella corrente musicale che - dalla seconda metà degli anni Sessanta - intraprese il recupero di temi e melodie popolari riarrangiandoli in chiave moderna.
In verità, questa definizione sta un po' stretta ai cinque musicisti, capaci di prodursi con abilità e virtuosismo sia nel campo del blues, sia in quello del jazz o della musica colta. Il loro viaggio musicale, durato a fase alterne quasi sino ai giorni nostri, va ascoltato e analizzato soprattutto nella sua prima parte (1968-1972), quella che consentì alla formazione-base di produrre sei album davvero interessanti e, per certi versi, fondamentali nell'ambito della musica pop-folk moderna.
Sostanziati dalla capace sezione ritmica formata dal percussionista e batterista Terry Cox e dal contrabassista Danny Thompson, John Renbourn e Bert Jansch - due tra i più valenti chitarristi del Regno Unito, capaci di svariare dal blues del delta alle partiture rinascimentali e barocche - creavano gli ideali tappeti sonori per il soffice velluto canoro di Jacqui McShee, interprete sopraffina di ballate popolari e spiritual.
Il talento dei cinque consentiva all'ensemble di avventurarsi con sicurezza lungo "terreni" impervi. La frequente interpretazione di materiali tradizionali britannici e la contemporanea crescita dei folk-club, in seguito alla riscoperta del patrimonio di musiche e folklore favorito da Bob Dylan, trovò il gruppo pronto a spiccare il volo verso nuovi paesaggi sonori.
Prima di diventare Pentangle, i cinque si erano cimentati nei rispettivi settori con successo e competenza. Jansch e Renbourn, in particolare, erano ampiamente conosciuti e, tra l'altro, avevano già maturato assieme "Bert and John", un album che in qualche modo aveva gettato le fondamenta per i Pentangle a venire.
Così il loro esordio fu giustamente interpretato come quello di un supergruppo. I musicisti riuscirono a dar vita veramente a qualcosa di importante, evitando le ridondanze e le esagerazioni di quelle "grandi" formazioni spesso create solo per dar spazio all'ego o per rimpolpare il borsellino dei protagonisti. Diversi materiali suonati dai cinque nelle precedenti prove soliste vennero rivisitati nella nuova avventura.
L'album d'esordio Pentangle è un manifesto programmatico delle intenzioni del complesso. Ci sono innanzitutto il jazz e i tempi pluricomposti di "Bells", "Pentangling" e "Waltz", il blues di "Hear My Call" e "Way Behind The Sun" e, certo, il folk dei tradizionali "Let No Man Steal Your Thyme" e soprattutto di "Bruton Town", classica ballata inglese con tutti gli "ingredienti" del genere: amore, assassinio e apparizioni di spettri. Tutti suonano al massimo contribuendo al risultato complessivamente ottimo dell'opera. Perfetta l'intonazione cristallina della cantante, secco e avvolgente l'arpeggio aggrovigliato di Jansch, sicuri gli spunti all'acustica e all'elettrica di Renbourn, perfetto l'affiatamento della sezione ritmica, capace di assecondare senza affanno ogni spunto dei solisti.
Con il senno di oggi, è difficile inquadrare il gruppo nella corrente di "revival" folkloristico. I tradizionali, nell'economia dei Pentangle, occupano in queste prime opere davvero poco spazio.
Il secondo album, il doppio Sweet Child, continua nella direzione succitata, offrendo al pubblico un disco "live" registrato alla Royal Albert Hall e uno di studio. C'è di tutto: il jazz di Mingus ("Haitian Fight Song"), il blues di "Turn Your Money Green", lo spiritual di "No More My Lord", le ballate spigolose e accordate "apertamente" di Jansch ("A Woman Like You"), il folk britannico (ancora "Bruton Town", "Sovay", "The Trees They Do Grow High), jazz e improvvisazioni in "No Exit" e "Three Part Thing", musica colta del '500 e del '600 nelle "Three Dances" condotte da Renbourn e Terry Cox. Alla resa dei conti, ancora un'opera importante, suonata in maniera eccellente e con un buon riscontro da parte del pubblico.
Per molti rimane, però, Basket Of Light (1969) l'album "pentagonale" per eccellenza. Il 33 giri contiene, per cominciare "Light Flight", singolo di successo e sigla di un programma televisivo, contraddistinto da un tempo pluricomposto: 5/8 e 7/8 con un 6/4 nella parte mediana. Il risultato? Si vola, ascoltare per credere... Il resto dell'album è un capolavoro dietro l'altro, dalla delicata ballata "Once I Had A Sweetheart" alla magica "Hunting Song", ispirata al ciclo letterario di Re Artù e della sua corte, al lamento blues di "Train Song".
Con il successivo Cruel Sister, il gruppo si tuffa totalmente nella musica tradizionale anglo-americana, per un totale di cinque brani suonati magistralmente. "Jack Orion", che occupa tutta la seconda facciata, presenta nella sua parte centrale una improvvisazione jazzata prendendo spunto da una tenebrosa ballata britannica. Tenera e drammatica la title track dell'album, ancora una vicenda cupa e simbolica, dove assassinio e magia la fanno da padroni. Assoluta protagonista dell'opera, Jacqui McShee, perfettamente a suo agio sia nelle parti solistiche che nei cori.
Nel 1971 Reflection segna un ritorno alle tematiche jazzistiche e blues. Ci sono certo i tradizionali - eccezionale l'apertura di "Wedding Dress", tanto amata pure da Frank Zappa, che la ripropose poco prima di morire, nel suo "The Lost Episodes" - ma il gruppo preferisce continuare l'esplorazione di temi moderni soprattutto lungo la seconda facciata.
Solomon's Seal chiude nel 1972 la prima e più importante avventura del gruppo. Il disco non offre certo novità assolute, ma ripropone la formula vincente dei "pentagoni", capaci di reggersi in equilibrio su una corda esposta sopra un baratro di influenze e stili. Alla resa dei conti, un altro capolavoro che offre un momento sublime con la tenera filastrocca "The Cherry Tree Carol", indimenticabile prova corale di tutto il gruppo.
Dopo la sesta prova, i cinque Pentangle si sciolgono, continuando la rispettiva ricerca musicale con uguale coerenza, anche se con risultati alterni. Le successive reunion non aggiungono granché agli esordi. Piccolo asterisco per Open The Door del 1984, disco onesto anche se non trascendentale, che presenta 4/5 della formazione originale, fatta eccezione per John Renbourn sostituito dal chitarrista violinista Mike Pigott. Nell'album del 1986, In the Round, riecheggiano a tratti le atmosfere degli esordi. So Early in the Spring del 1990 e Think of Tomorrow del 1991 chiuderanno l'attività del gruppo, nel segno di un folk-rock senza grandi pretese.
John Renbourn è stato trovato morto il 26 marzo 2015 nella sua casa a Hawick: la sera precedente avrebbe dovuto esibirsi insieme al gruppo di Wizz Jones a Glasgow.
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