Più che per le nuove strade sonore indicate, gli anni Duemila rischiano di passare agli onori della cronaca musicale per le riunioni di vecche glorie. Questa è la volta dei dEUS , anche se la dinamica non è proprio quella descritta. La band belga, infatti, ritorna a incidere, seppur rifondata in tutti i suoi elementi (resta solo il leader Tom Barman, che comunque ne era l'essenza), senza mai essersi ufficialmente sciolta, a sei anni di distanza da "The Ideal Crash", il disco della virata pop.
"Pocket Revolution" si pone come una continuazione del discorso interrotto, come se da allora nulla fosse accaduto. Il ritorno dei dEUS è una raccolta di canzoni, dodici canzoni pop-rock (proprio questo il cambiamento rispetto a "The Ideal Crash", la presenza di una componente fissa più rock), ognuna con una storia da raccontare, ognuna con un aspetto preciso e un messaggio, giusto un riempitivo uno ("Night Shopping").
L'inizio è dei migliori. Vortici di violini distorti accompagnano "Bad Timing", un lungo crescendo di natura post riscritto sotto forma di ballata, tra l'accorato e il distante, con esplosioni calibrate, sincere, incisive. Un basso avvolgente, invece, sostiene l'andatura di "7 Days 7 Weeks" che convoglia presto, spiazzando l'ascoltatore, in un ritornello da perfetta pop-song, sottolineato da una delicata frase di flauto. Un uno-due di altissimo livello.
Ma, si diceva, ogni pezzo una storia a sé. "Stop-Start Nature", sfacciata, ruffiana, basso saltellante e dure spinte di chitarra tagliente: dalla carezza al graffio. "If You Don't Get What You Want", rock da arena, tamarro, consapevole di essere tamarro, sbandieratamente tamarro. "What We Talk About", pulsazione electro, sussurro sensuale e vizioso, seducente invito d'amore e di sesso. Sono pezzi arrangiati letteralmente alla perfezione: la band ricava il massimo che può ricavare da questi brani.
Il problema è che nonostante il messaggio, nonostante l'atmosfera, nonostante l'abilità dei musicisti vadano tutti nella stessa direzione, che è quella voluta, qualcosa non quadra. Perché? Non quadra per il motivo più banale del mondo: questi brani, in fondo, non sono granché. Le eccezioni all'assunto non sono molte, giusto un altro paio, oltre alle prime due tracce. La prima, "Include Me Out", è un altro sussurro, ma diversissimo da quello di "What We Talk About". Una dolce ninnananna, spazzata da una cupa folata di synth, con armonica e campanelli a far comparsa di tanto in tanto. La seconda, "Nothing Really Ends", il brano conclusivo (e in realtà già edito), una serenata un po' trasognata e un po' dimessa, nobilitata da colpi di cristalli e toccante ritornello a due voci. Tra le due qualche episodio evitabile come la title track, soul prima evocativo, con note d'organo in sottofondo, poi chiassoso, con scoppio di chitarre e coro gospel e qualcuno più gustoso come "Sun Ra", rabbioso serpentone ad alta velocità. Ciò a ulteriore conferma di quello che sono, oggi, i dEUS. Una macchina perfetta, oliata, per la quale il tempo sembra essersi fermato.
Quello che manca a "Pocket Revolution" è però, come dicevamo, la sostanza, un numero sufficiente di canzoni belle, belle e basta. A fine ascolto resta dunque l'amaro in bocca: in quantità tale da permettere di dare soltanto una sufficienza stiracchiata al disco.
P.S.: c'è da dire, in ultimo, che molti brani presentano un'attitudine live non indifferente e potrebbero senza dubbio rivelarsi piacevoli sorprese se ben presentati in tale contesto.
19/06/2012