Gang Gang Dance

God's Money

2005 (Social Registry)
avant-rock

Oscuro collettivo newyorkese avant-rock, i Gang Gang Dance hanno avuto il loro primo momento di notorietà (talmente piccolo, invero, che già chiamarlo così sembra strano) con l'omonimo disco dello scorso anno, in cui, in due facciate di venti minuti l'una, mescolavano in calderoni ardenti tendenze kraute, sperimentalismo, percussionismo, elettronica e quant'altro (a fare l'elenco di quante cose siano state cannibalizzate in quel disco ci metteremmo tutto lo spazio di questa recensione). Tornano dunque a distanza di un solo anno, i Gang Gang Dance, e lo fanno spiazzando praticamente tutti: se era difficile prevedere quale sarebbe stata la strada intrapresa dalla band, impossibile sarebbe stato prevedere "God's Money".

"God's Money" sono nove vignette in cui le pulsioni del gruppo vengono frullate in un unico tipo di suono, sicuramente più rilassato, in cui a fare la parte del padrone sono tre elementi: a) anzitutto la voce femminile, dal taglio orientale, che accompagna quasi tutti i brani, indubbiamente particolare e incisiva, anche se sin troppo invadente; b) il tribalismo percussivo; c) l'Oriente, tra bacchette, piatti, campanelli e flauto di pan. La delicatezza evocativa dei brani, poi, è spesso marchiata a nero da un'inquietudine e una cupezza di fondo. Si diceva, un unico tipo di suono. Ovvio che poi nel singolo pezzo possa poi prevalere l'aspetto percussivo, la pulsazione elettronica, o, finanche, i synth a disegnare paesaggi ambient.

Si parte così con percussioni e canto tribale che caratterizzano "God's Money I". In realtà trattasi giusto di una breve intro, che porta a uno dei piatti forti del disco, "Glory in Itself/Egyptian": traversata di cinque minuti, aperta da un guizzo elettronico su cui si innestano giri di tastiera e colpi di bacchette, prima che una danza di synth prenda pian piano il sopravvento, inizialmente in modo arioso, poi, dopo un'incursione rumoristica stile Black Dice, facendosi decisamente macabra, con un canto lacerato d'accompagnamento. Il tutto finisce in campanellini e convoglia in "Egowar", altro brano notevole. Il battito del pezzo stavolta è di marca krauta, definito e non libero, e funge da tappeto alla melodia di flauto di pan che domina la scena. Anche qui il rumorismo si fa incursione, prima a spezzare la magia, poi a interromperla a titolo definitivo, divenendo unico protagonista nel finale, con una chitarra grattugiata in primo piano e il percussionismo che torna a farsi tribale.

Ancora campanellini portano a "Untitled (Piano)", dove, appunto, frasi di piano si infrangono su flutti di synth, che sanno essere sia lievi, sia misteriosi, sia spaventosi. "Before My Voice Fails", invece, è la più canzone del lotto, con la voce ad avere un ruolo di primo piano, riff di luccichii e gran finale con violini gravidi d'epos. L'approdo in zona ambient, già lambito in precedenza da "Untitled (Piano)", è invece portato a compimento dai synth di "God's Money VII", presto spodestati da colpi di bacchette. Dopo la declamazione orientale di "Nomad for Love", che non dispiace ma neanche colpisce particolarmente, non resta che chiudere con il balletto di "God's Money IX", tra pesanti affondo di batteria e violini in dissoluzione.

Quel che ne esce fuori in definitiva è un disco, seppur non pienamente a fuoco, con buone idee e dai buoni risultati, completamente diverso dal precedente e per attitudine, e per pretese, e per impostazione. "God's Money" non potrà mai ambire al titolo di capolavoro, né sarà un disco che avrete voglia di sentire di continuo, ma è un lavoro ricercato e personale, con quel pizzico d'incanto che basta a darvi piacere quando deciderete di rimetterlo nel lettore.

Tracklist

1. God’s Money I (Percussion)
2A. Glory in Itself
2B. Egyptian
3. Egowar
4. Untitled (Piano)
5. God’s Money V
6. Before My Voice Fails
7. God’s Money VII
8. Nomad for Love (Cannibal)
9. God’s Money IX

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