Rosolina Mar, ovvero: come suonare il rock in modo convincente, nel 2005.
Con una formula apparentemente semplice - chitarra, chitarra, batteria, molti riff, assoli quel tanto che basta, gusto ben calibrato tra strizzate d'occhio al passato e robuste dosi di presente - ma frutto di un'evoluzione costante e ben pensata.
Se l'esordio del trio (l'album omonimo pubblicato da Wallace nel 2004) era un primo tentativo di coesione ancora orientato verso panorami dilatati e "post" (il proverbiale primo album promettente ma acerbo), la seconda tappa del viaggio dei tre veronesi ci mostra un gruppo maturo, che aggiorna in maniera impeccabile la formula del power trio e - non ci stancheremo mai di ripeterlo - porta il rock, quello sudato, quello divertente, in una terra un tempo dominata da arpeggi sincopati ed equazioni sulla sei corde.
Il trio veneto, con questo "Before And After Dinner", tira le somme del proprio lavoro e dei propri ascolti, affinando il proprio linguaggio, definendo più accuratamente certe coordinate solo immaginate durante il primo viaggio: quello che propongono alle nostre orecchie è, insomma, un tentativo di sintesi, un sommario tutt'altro che ordinato e standard della passione bruciante per il rock nella sua più totale accezione.
Come un ottimo fotografo, l'animale a tre teste Rosolina Mar cerca lo sguardo panoramico e, allo stesso tempo, la cura per il particolare improvviso, quello che balza agli occhi come una scintilla. Si parlava di sintesi e non si può che richiamare il termine ascoltando "Protopapetti", in cui la sincope rabbiosa dei Fugazi si sposa con cadenze chicagoane mutando ancora e ancora e "Mingozo di mongozo", tutta sinuosità funky aspro per via delle due chitarre, orfano di un basso assente giustificato dall'ottima riuscita del tutto, reso ancor più ritmico e saltellante dalle percussioni un po' latine che via via si fanno strada.
Un frullato di passioni, verrebbe da dire, e non si sbaglierebbe di molto il tiro, visto che nel calderone si scorgono i contorni di declinazioni rock quali l'indie (le cadenze wave di "Il culto del cavo elettrico"), il college (in "Flesh Dance" pare di sentire certi Weezer meno scolastici e abbottonati), l'hard dei Led Zeppelin e degli Ac/Dc e il blues deviato di Captain Beefheart prima e degli Us Maple poi.
Che dire, poi, di "Amore Tossico", l'unico ibrido possibile tra i Dinosaur Jr. e i Police...?
C'è di che divertirsi, insomma: questo gioco di colto revisionismo e di delirio organizzato conserva la sua freschezza anche dopo diversi ascolti, contro ogni aspettativa.
Non era facile giocare in questo modo con il rock, ma i tre Rosolina, tutti e tre tecnicamente molto bravi e musicalmente intelligenti, ci sono riusciti.
(A margine della recensione dell'album, aggiungiamo che il gioco dei Rosolina riesce molto bene anche dal vivo: prendete gli stessi ingredienti descritti sopra, shakerate molto, molto ma molto a lungo, e avrete uno spettacolo che mantiene tutto ciò che l'album promette, con esecuzioni dei pezzi furiose e coinvolgenti, qualche chicca - schegge di King Crimson o Ac/Dc e altre citazioni che compaiono quando meno te le aspetti - e quel paio di brani del primo album che ancora reggono il confronto con quelli attuali. Come dire: la rivincita delle chitarre e della fisicità?)