Zuccherino dal retrogusto amaro. Isobel Campbell, dolce biondina dalla gloriosa carriera alle spalle, colonna (magari non portante) degli anni d'oro dei Belle and Sebastian ed esordio solista foriero di buoni propositi ("Amorino", 2003). Duemilasei d'esplorazione: gennaio per un disco a due, discreta collaborazione con il maledetto ex-Screaming Trees Mark Lanegan (qualche deluso non concorderà sull'aggettivo, aspettandosi sempre qualcosa di più, o di diverso, rispetto a questo "delicato confronto d'anime", dal cantautore di Seattle); ottobre a viaggare da sola, in un terreno non proprio di competenza: un disco di folk arcaico.
Già. Era lecito aspettarsi un cantautorato pop, magari con qualche stravaganza strumentale, una specie di Lisa Germano sotto il sole e col vento nei capelli. E invece "Milkwhite Sheets" è quanto di più lontano possa esserci, un lavoro composto nelle pause di "Ballad" e da esso influenzato, o meglio influenzato dall'acustica e dalle tracce di passato. La sorridente Isobel si dà così alle folk-outsider come Shirley Collins e decide di cantare direttamente da quella sottile linea di demarcazione che separa Ronald McDonald da It.
E' convivenza fra purezza e oscurità quella che sgorga dalle note di "O Love Is Teasin'", carezzevoli vocalizzi su pennate di chitarra. Contrasti che non si chetano, anzi vengono rilanciati, come in "Yearning", arpeggi di chitarra esotici e frasi di violino, per sussurri fra l'infantile e il lascivo. La formula, già qui apprezzabile, trova il suo apice quando è maggiore lo spettro strumentale schierato. Il nome è "Willows Song", nenia poggiata su violini e tamburi lontani, arrangiamento di banjo e flauto a soffiare soffice, la partitura che pian piano si irrobustisce sino al respiro conclusivo.
Ma "retrogusto amaro" non va riferito solo al lato oscuro della bella autrice. Dopo uno strumentale pastorale sullo stile del Drake di "Bryter Layter", ("James", per una soluzione già provata, con maggiore successo, nel disco di gennaio) qualcosa s'incrina. Il faccino dolce che tanto aveva funzionato nell'immaginazione dell'ascoltatore, accoppiandolo alla traccia d'apertura, non riesce più a sostenere i brani principalmente di chitarra, come "Hori Horo", scarno folk base, frutto di studio ma senza sostanza. "Reynardine" fa un pizzico meglio, svegliato ogni tanto da una buona soluzione strumentale, ma la filastrocca di "Cachel Wood" (con tanto di armonica) e la ninna nanna di "Beggar, Wiseman or Thief" sono due mazzate non indifferenti. Il centro è molle e il dolce affonda, la principessa di baci e sussurri è diventata pedante disquisitrice dell'arte del ricamo.
Un buon passaggio strumentale di mezzo (la title-track, per violini ed arpa) ed un altro poco dopo ("Over the Wheat and the Barley", intonazione da battaglia a lanciare fendenti di archi, preceduto dall'ipnotico rituale tribale di "Are You Going to Leave Me?") risollevano un po' da un tepore davvero sin troppo rilassante. A chiudere in vetta ci pensa poi "Thursday's Child", trip dal buon sapore vagamente acido e sognante, adeguatamente lungo passaggio psichedelico atto a sciogliere le negatività.
Non basta questo, però, a salvare un disco che aveva illuso troppo, che non ha veri punti di forza e la cui ambizione raggiunge gli scopi prefissati solo grazie alla perizia di strumentista della Campbell (laddove doveva soggiogare con la sua statura di ammaliatrice e vi riesce una volta su sei tentativi). Anche sommandovi i momenti buoni, il bilancio chiude in negativo, seppur non di molto.
18/10/2006