A sei anni dall'ottimo esordio di "Internal Wrangler" e dopo un paio di lavori di un certo interesse ("Walking With Thee" e "Winchester Cathedral"), gli inglesi Clinic tornano a operare sul corpo vivo di un pop mutante ed eclettico, fortemente umorale e tremendamente curioso di comprendere i suoi (possibili) limiti. L'attitudine garage, poi, finisce per fare il resto, riconsegnando alla scena indie una band dal talento indiscusso.
"Visitations", dunque, la cui psichedelica/caleidoscopica copertina è già un biglietto da visita niente male. Quanto alla musica, per chi già li conosce sarà un pò come ritrovare dei vecchi amici: mille risorse, mille influenze, un po' alla rinfusa, un po' cucite con artigiana precisione. Una lente lisergica, però, che ne deforma il senso, ne dilata i contorni. Non ci si annoia dentro questi labirinti, questo è poco ma sicuro. A cominciare dal galoppante & fuzzy surf-garage di "Family" (che, tra le altre cose, mi fa pensare a dei Gun Club ironici), le cose sono chiare: ci si diverte pure!
Il binomio-contrasto "Animal/Human" tira fuori dal cilindro una cosina eterea e lisergica, molto ma molto sixties e con tanto di wah-wah sudicione. Forme musicali d'altri tempi, eppure restituite a nuova vita. Al massimo, basta far finta di niente e ripetersi che il senso del tutto è un lavorio inesausto e divertito di "taglia e cuci". L'importante è comprendere, comunque, che dietro l'apparente naturalezza delle cose si cela un mondo da scoprire passo dopo passo. Perciò, non fermatevi al primo ascolto, e neppure al secondo. Anzi, prendete il vizio di una dose quotidiana - servirà a schiarirvi un pò le idee in fatto di "musica popolare".
Così, godetevi la scorza hard-elica di "Gideon" e ripensate a "Nuggets"; scodinzolate a dovere con "Harvest (Within You)", in cui l'organo erige una scenografia liturgicamente Doors -iana. Evidentemente, Manzarek c'è e batterà pure qualche colpo! E se non può certamente mancare un punk'n'roll pestato a dovere ("Tusk"), una ballata dondolante come quella di "Paradise" fa giustamente da preludio (emozionale) al riff proto-metal, allo scalpitante xilofono e alla voce da John Lydon narcotizzato che incorniciano "Children Of Kellogg". L'eclettismo al potere, insomma. Perciò, nessuna meraviglia se "If You Could Read Your Mind" se ne viene fuori con una spy/surf-music e "Jigsaw Man", con i suoi colori percussivi, potrebbe far pensare ad un rituale pagano. Stesso discorso, inoltre, per il brevissimo, sussurrato bozzetto erotico di "Interlude" e per la pulsante e sghemba "The New Seeker". E, prima che il sipario cali, una fragile e un po' tetra confessione come quella della title-track non farà altro che mettere i puntini sulle "i".
02/10/2006