Jason Collett

Idols of Exile

2006 (Arts & Crafts)
country/folk-rock, songwriter
5.5

Un paio di band (Ursula, Bird) e di dischi solisti alle spalle sono il background di Jason Collett, cantautore di Toronto, messo sotto contratto lo scorso anno dalla Emi per incidere il suo terzo disco, "Idols of Exile". Il lavoro, uscito a fine giugno, per la produzione di Howie Beck, non ha ottenuto le vendite sperate e viene ristampato a marzo di quest’anno per il mercato indie dalla Arts & Crafts, che aveva già edito il suo disco precedente, "Motor Motel Love Songs" nel 2003.

Collett mostra grande perizia e si muove a suo agio nella materia country/folk-rock, ha un buon gusto melodico, è un finissimo arrangiatore. Quello che rende, però, "Idols of Exile" un disco dal poco interesse, è l'essere frutto di un alunno sicuramente diligente, ma dedito a esercizi di stile, tanto accurati quanto vacui. Si prendano i primi tre pezzi. "Fire", che si distende indecisa fra ballata pianistica e country-rock con arrangiamento discreto per basso e pianoforte; "Hangover Days", che sfrutta invece un passo festaiolo, cori, pulsazioni di organetto e piano rock’n’roll, la voce che prima si lancia in vocalizzi buckleyani poi viene raddoppiata da una femminile; "Brownie Hawkeye", un saltarello svagato e svogliato, vagamente funky con lievi spinte di fiati.

Sono brani lindi e pinti, lucidati e rilucidati, melodici ed eclettici senza mai esagerare, senza forzare una qualsiasi soluzione realmente pericolosa. Non sono brutte canzoni, sono semplicemente innocue.

Ben venga, allora, il bagno di pathos portato da "We All Lose One Another", bella perché profondamente bella, per quanto troppo curata nel suo lamentarsi, con violini e chitarre dal taglio melanconico; perfette le note di banjo che sostengono l’inciso, mentre purtroppo è poco lo spazio concesso al crepitio dell’armonica. "Parry Sound" presenta invece una melodia dimessa da ballo scolastico di fine anno, nobilitata dal lungo solo di chitarra nel finale (stona un po’ invece il contrappunto di fiati un pizzico depressi che lo accompagna). A queste due fa compagnia, sul versante ballata dolente, "Pink Night", dove Collett tritura il Neil Young di "Harvest", riprendendone la cadenza ma non il candore, e strappando con il finale urlato (e maledettamente sfuocato) quel minimo di grandeur esistenziale al grande vecchio.

Per il resto si trova qualche pezzo fuori fuoco, come l’inutile riempitivo "I’ll Bring the Sun" (un pop-rock squillante) e "Almost Summer" (un noiosetto chitarra e voce); e qualche variazione a tema, come il divertissement "Pavement Puddle Stars" per slide, piano, basso e clap-hand e la tesa "Tinsel and Sawdust", lungo recitato a voce bassa.
Lapidariamente, ecco il dramma di "Idols Of Exile": per quanta abilità si possa riscontrare nella sua confezione, il disco non riesce quasi mai a suscitare consenso. Una bocciatura, anche se non netta, è inevitabile.

12/03/2006

Tracklist

  1. Fire
  2. Hangover Days
  3. Brownie Hawkeye
  4. We All Lose One Another
  5. Parry Sound
  6. I’ll Bring the Sun
  7. Tinsel and Sawdust
  8. Feral Republic
  9. Pavement Puddle Stars
  10. Almost Summer
  11. Pink Night
  12. These Are the Days

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