Con tutta questa bella gente il nostro è riuscito a delineare le sue coordinate: malinconiche divagazioni sonore capaci di gigioneggiare con inquietudini urbane, rappate in maniera aggressiva dai suoi quattro scagnozzi mercenari, “The Dinosaur, The Monkey, The Brakdance” è la fusione di questa imprevedibile strutturazione, mentre il violino di “You Father’s Head” rincara tale dosaggio, le arpeggiate tediate di “Put Me In Your Shoes”, fatte pulsare in quel modo, non possono che rievocare gli osannati Notwist. Con un trittico d’avvio di questa portata non c’è che da rallegrarsi, peccato che “My Wild Civilization” ruoti troppo lo sterzo alla prima curva, sminuendo momentaneamente l’ottima partenza mediante un’emulazione contorta dei ritornelli spensierati proto-rap di fine millennio. Una piccola sbandata che chiude il proprio raggio di curvatura con “Tradiction & Abraction”, insipido passaggio strumentale che non aggiunge nulla di menzionabile al disco. Alti e bassi che spesso si rincorrono anche all’interno dei singoli pezzi, esplicitando l’andazzo globale di un percorso intrapreso forse con troppa veemenza.
Eppure questo guazzabuglio ha un suo fascino, focalizzabile solo attraverso i ripetuti ascolti, in sostanza, Nuccini è riuscito nell’arduo compito di far coincidere diverse entità strumentali e svariate tipologie di suono. Le sue velleità traspaiono progressivamente: urbanizzare le digressioni concettuali dei Giardini di Mirò sotto il verbo dell’hip-hop e rigirarle casualmente attraverso loop elettronici di fabbricazione domestica. Basta ascoltare “Divine Example” per schiarirsi le idee, laddove una base angosciata di riverberi acustici, elettrificati dal beat, funge da appoggio allo speaker di turno, un mesto violino ad armonizzare l’intero contesto, spinto nella fase conclusiva da tre accordi di piano lievemente sussurrati in lontananza; trattasi, se non altro, della traccia capolavoro dell’album. Con la successiva “You Killed My Father, Prepare To Die” riassaporiamo nuovamente il sapore della mediocrità fascinosa dell’hip-hop new school, quasi come se il nostro provasse gusto a rimescolare puntualmente le carte sul tavolo da gioco; peccato che lo faccia ogni volta nei momenti sbagliati, soprattutto nei punti in cui la fortuna comincia a incastrarsi adeguatamente al suo talento.
Per dirla tutta: “Matters Of Love And Death” lascia qualche perplessità di fondo, ma trova nelle sue certezze un progetto (parallelo) per il futuro da non perdere assolutamente di vista; è proprio per quest’ultimo motivo che a Nuccini basterebbe una maggiore chiarezza di intenti e qualche melodia giusta in più per centrare un obiettivo che ha già il sapore di una nuova, energica tendenza.
(08/04/2007)