Oneida

Happy New Year

2006 (Jagjaguwar)
psych-rock

Potevamo beccarci un triplo album intitolato “Thank Your Parents” e, invece, alla fine gli Oneida si sono accontentati di poco. Ma va bene così. Altroché. Dopo la scelta della melodia con l’ultimo “The Wedding”, la band newyorkese continua a scompaginare generi e stili. La solita scatola magica, insomma. Una scatola capace di tutto, di mischiare le carte in tavola con nonchalance , di suonare fascinosa e di intrigare con poco, anche se non sempre in maniera, come dire?, decisiva. Ma l’impressione è che i Nostri si stiano, man mano, adoperando per il grande botto, magari tale da eguagliare, anche se da una prospettiva diversa, quello dell’ormai classico “Each One Teach One”. Non bisogna avere fretta, insomma. Anche perché per il momento c’è già molta carne al fuoco in queste undici tracce e, in un modo o nell’altro, bisogna venirne a capo.

Sperimentali ma estremamente comunicativi: ecco come sono questi Oneida. Certo non chiusi sotto la solita campana di vetro. Che ci sia un mondo lì fuori, questo non lo mettono in dubbio. E si sente, anche. C’è un aria di gioiosa magnificenza qui dentro. Che New York si stia, poco a poco, liberando dai suo fantasmi più recenti? Sembrerebbe di sì, tanto che l’aura medievaleggiante, magica, direi quasi arcana di “Distress” potrebbe quasi rappresentare il presagio di nuovi mondi “paralleli”, il bisogno di un’evasione, il piacere di un’illusione. Folk e psichedelia, ma come venivano declinati negli anni Sessanta. Out-folk , per l’esattezza, e con tanto di scale mediorientali in “Busy Little Bee” e voci "acquatiche", dilatate e attraversate da droni evanescenti nella ballata in punta di piedi di “Reckoning”.

Ma questo è solo l’altra metà del cielo, sia ben chiaro. E ce lo ricorda, per prima, la stessa title track : appiccicoso-sintetico-circolare midtempo , organo distorto, vaneggiamenti pianistici nell’aria. Il tutto a recintare un campo di paranoia flower-power . Ma non lo manda di certo a dire anche la successiva, contagiosissima “The Adversary”, trionfalistica fanfara distesa lungo un groove scintillante, solido, para-robotico ma poliritmico; e derelitto, per di più, ma come un giovincello alle prime armi: le mani nelle tasche sfondate. Insomma, un discorso “carnevalesco” sul corpo mai agonizzante del rock. E come potrebbe esserlo, se penso e ripenso a “Up With People”: fisicità urbana, emotività stellare. Giocattolo funky-krautrockedelico. O giù di lì. A ballare ‘sta roba ci andrei tutte le sere, io che non sopporto le discoteche.

E' un trip dancey, un’allucinazione, al solito, post-moderna, chiassosa e sborona (pigola, improvviso e senza preavviso anche un flauto…), ma in preda all'ebbrezza del panico.E quando la chitarra deraglia in preda all’acido, è un gran bel rovinare di sensi, santa miseria! Zucchero filato elettronico e voci darkish (“Pointing Fingers”), sintetizzatori come flipper di minimali melodie pianistiche, rumorini, screzi armonici (“History’s Great Navigators”, ovvero esiste anche il lato più svagato e gioviale dei cerimoniali lisergici dei Liars) e un gioco sornione di specchi, torpore vocale, piccole rifrazioni soniche (la marziale “You Can Never Tell”).

Dal canto suo, se per “The Misfit” si può parlare ancora di scorza pop, è pur vero che si tratta di un pop che nasce, miracoloso, all’incrocio tra motorik, psichedelia indianeggiante (l'organo distorto, molto Pink Floyd prima maniera) e contrappunti come palpitazioni inesorabili. Che poi la conclusiva “Thank Your Parents” sia “solo” una marcia annoiata con semplice motivetto pianistico, cambia poco. Il cerchio si chiude, come è giusto che sia. E ben fatto pure. C’è di che accontentarsi.

01/08/2006

Tracklist

  1. Distress
  2. Happy New Year
  3. The Adversary
  4. Up With People
  5. Pointing Fingers
  6. History's Great Navigators
  7. Busy Little Bee
  8. Reckoning
  9. You Can Never Tell
  10. The Misfit
  11. Thank Your Parents