La title track (ventuno minuti e rotti) è il volo spaziale che ti aspetti in un disco come questo: la carovana è in fuga verso qualche galassia lontana, ma c’è un’ironia di fondo (la voce della Hao che imita un Paperino disperso nel cosmo…) che ci fa gustare il trip con la giusta dose di menefreghismo, con quell’espressione beota di chi ne ha sentite tante, ma proprio tante di jam così, eppure proprio non riesce a spegnere il cuore per azionare il cervello. Anche perché, diciamocela tutta, Kawabata & co. hanno classe da vendere, per cui, come dire?, si cammina sul filo dell’ovvio, senza mai cadere nel baratro della banalità.
Anzi, una volta terminata “Electric Psilocybin Flashback”, ti rendi conto che sei dinanzi a uno dei loro brani più grandi di sempre. Una suite bella e buona, senza soluzione di continuità. Ecco, quindi, una briosa danza (?) - tra intrugli elettro-cosmici assortiti e droni ribollenti -, una specie di jazz-noir interstellare (con sax di ordinanza), un folk intimista rilassato sui prati dell’eden, con la Hao nelle vesti di una Dea smarrita; e, poi, ancora, un fuori bordo a metà tra una "Dark Star" derelitta e un Hendrix prestato al free-jazz, prima della deriva Stars Of The Lid + profumi indianeggianti del finale.
Insomma: con questi quaranta minuti e rotti, le quotazioni del disco si alzano, facendone non più un affare per soli fan, ma un disco meritevole di attenzione, nonostante una prima parte, lo ripetiamo, un po' troppo legata a certi clichès del genere.
(23/06/2007)