Il nome Electrelane, quartetto di Brighton tutto al femminile, è ormai divenuto sinonimo di girl-group post-moderno. Gli ingredienti della band: armonie vocali (spesso e volentieri appunto old-fashioned), cavalcate wave-kraut basate su ritmiche ballabili ma ribattenti (quasi ossessive), nenie liriche cupe, e riff stilizzati post-punk che in parte richiamano le Raincoats di "Moving" (Rough Trade, 1984), ma più spesso ammiccano alla coeva musica dei rave. Ma non basta. Verity Susman, frontwoman e polistrumentista, ha praticamente sfidato le leggi di gravità del rock. Sebbene il loro agglomerato stilistico di retronuevo - pur d’innegabile originalità - porti con sé limiti creativi ben evidenti, Susman e compagne hanno cocciutamente perseguito una progressione ambiziosa.
Dapprima "Rock It To The Moon" (Let’s Rock, 2001), oltre ai primi singoli e all’Ep "I Want To Be The President" (Let’s Rock, 2002), quindi con quello che ad oggi è forse il loro album più riuscito, quale "The Power Out" (Too Pure, 2004), le Electrelane mischiano il tutto con fare sempre più accattivante. Al cocktail da loro proposto mancava però una produzione che ne facesse godere appieno le potenzialità. Con "Axes" (Too Pure, 2005) succede qualcosa; a un’aumentata (quasi esagerata) ambizione, data dall’impianto quasi interamente strumentale (la voce copre nemmeno un quarto della durata del disco), dalla comparsa del buon Albini alla produzione, dall’intellettualismo (cover illustri, vignette cacofoniche, citazioni pseudo-colte, etc.) che cede il passo all’intrattenimento, corrisponde una fruizione più monotona. "No Shouts, No Calls", il nuovo arrivato, mostra il trucco.
C’è in ogni caso una presa di coscienza. La ricerca stilistica (o para-stilistica) sembra essere arrivata a un punto di non-ritorno, e le canzoni si fanno rilassate, pure sognanti. Tipico Too Pure-sound sono "Tram 21", aperta da una stasi dissonante-luccicante, con mefistofelico groove basso-batteria, organo alla Stereolab e glissando fantasmagorici della chitarra (adornati da cori wordless da ragazzette ye-ye angeliche), e "The Greater Times", electro-pop fluorescente dall’accompagnamento sostenuto. In "To The East" si fa largo persino un organo a canne, mentre una voce serafica duetta con chitarre appena elettrificate.
Ma il rovescio della medaglia è l’appiattimento. Le Electrelane cominciano già a sembrare vecchie, o autoindulgenti. La già citata "To The East" sembra uno scarto degli album precedenti, o una canzone provata poco. "After The Call" ha ritmo lento da ballata epica alla 4-Non-Blondes, ma la cosa si riduce ben presto a camomilla (pure lo scatto distorto nel mezzo è un qualcosa di già sentito più volte nei loro album). "Between The Wolf And The Dog" e "Five", a parte riff eroici e barocchi allo stesso tempo, sono semplici altalene metronomiche di furia e calma ieratica. "In Berlin" è una serenata mesta (che tende ad assumere i tratti inquietanti della generica musica da balera) e "Cut And Run" un sing-along poco significativo. Il resto procede tra alti e bassi (la fantasia delle chitarre in glissando nell’apertura di "The Lighthouse", l’associazione folkish-wave alla Klinex di "At Sea", l’elegia leggera leggera di "Saturday").
Fiaccherello in molte parti, anche se riprende e rimette in sesto le incoerenze di "Axes", è un disco che sintetizza intenzioni lodevoli (c’è anche un concept marino di mezzo, quasi dimenticavamo) e contenuto nebuloso, o proprio impreciso. Il rapporto tra canzoni di leggerezza romantica e rincorse di robustezza corposa è impacciato, freddo, e annacqua un po’ tutto. Preferivamo l’ambizione. Il senso d’equilibrio stavolta va in difetto, e manca al tatto, ma soprattutto si fa sentire l’assenza di una messa in discussione stilistica.
16/07/2007