Accade che un quotato dj di Chicago si metta a comporre canzoni e che l’intuizione sia talmente azzeccata da lasciar partorire un classico dell’electro del nuovo millennio. Dal capolavoro “Kittenz And Thee Glitz” (2001) in poi, per Felix Stallings Jr. la vita non è stata più la stessa, quasi che il dj avvertisse l’obbligo di uscire dai territori dei suoi quotatissimi set, divenuti angusti in forza dei nuovi orizzonti apertisi. La conferma che la stoffa fosse di qualità si è avuta con “Devin Dazzle & the Neon Fever”: la definizione di uno stile, un imprimatur che non ha tuttavia prodotto il botto del suo predecessore.
Il terzo episodio, in questi casi, assume i crismi della resa dei conti col pubblico. A “Virgo Blaktro & The Movie Disco” non fa difetto la produzione, al solito impeccabile, né si possono ignorare i nobili intenti di condurre a comune denominatore il periodo aureo della black music che negli anni 70 trasmutò il soul-funk in quella disco-music che seminò a sua volta tracce copiose nel new pop degli anni 80. E però mancano all’appello importanti tasselli. A cominciare da una composizione delegata più al mestiere che all’ispirazione in un contesto dove l’ironia, che pure non manca, serve non più che a portare a casa il risultato minimo.
Troppo sbracata "Like Something 4 Porno!" con falsetti e levare talmente legati all’estetica seventies da suonare come fuori tempo massimo (vi ricordate la Michael Zager Band di “Let's All Chant”? Allora, almeno, si era nel 1978), troppo ruffiana "Sweetfrosti", fighetta in quanto interamente ritagliata su "Snowball" dei Devo, ma così tallonata dalla base originale da rendere francamente superflua ogni aggiunta: perché allora non remixarla senza cambiarne il titolo? Appena gradevoli sono i felpati refusi “italo” di “Movie Disco” e pigramente calligrafici tanto i riferimenti moroderiani di “It's Been Such A Long Time” che quelli ai Daft Punk di “Discovery” di “It’s Your Move”. Giacché per i francesi la funky-disco, al contrario che qui, è solo uno dei linguaggi utilizzati, un mezzo e non il fine ultimo.
E’ oscura anche la scelta di non sviluppare dei temi, relegandoli a dimensioni non adattabili né a un dancefloor né a una pop-song, così come quella di escludere la versione dodici pollici di “Pretty Girls Don’t Dance”, cui un impalpabile intro parlato ci priva di un simpatico pic-nic in territori Tom Tom Club. E allora nelle orecchie si depositano una serie d’abbozzi, più o meno a fuoco, che lasciano a bocca asciutta tanto i discotecari, cui non si può certo chiedere di mettere in “loop” groove di due o tre minuti scarsi (tanto durano gran parte dei pezzi), che gli habitué radiofonici cui forse ci si voleva rivolgere. Che Felix fosse un bravo producer si sapeva, se con questo disco anelava di confermarci anche il resto, è bene che riprovi.
14/11/2007