Guster

Gangin' Up On The Sun

2007 (Ryko)
pop-rock, folk-rock

Pressoché sconosciuti nel vecchio continente, ma molto famosi in patria, gli americani Guster realizzano con “Gangin’ Up On The Sun” un delizioso mix di pop-rock, armonie vintage e calde trame chitarristiche. Per molti, il loro disco più maturo, per noi certamente un lavoro piacevolissimo e senza troppi “perché”, da ascoltare nei momenti di relax, quando il disimpegno è d’obbligo.

Così, dopo la crepuscolare, inquieta “Lightning Rod”, accogliamo il radioso folk-rock di “Satellite” come un raggio di sole, dondolando la testa inebetiti dal fascino tutto estivo di armonie diamantine, disinibite e fresche come un bicchier d’acqua. Che spasso, poi, il piano gigione di una “Manifest Destiny” che, dice bene Ryan Miller (voce e chitarra), è un vero e proprio esorcismo contro la frustrazione (e si veda, allora, anche il numero indie-rock di “The New Underground”).

E’ innegabile, infatti, che quando ascolti questa musica, quando ti confronti con brani come “One Man Wrecking Machine”, hai sempre la sensazione che il sentimento dello svanire della giovinezza sia un carburante niente male per la nostra, cara popular music. Aria di malinconia, nostalgia canaglia, senso di disfacimento e, al contempo, stupore ed effervescenza emotiva per le cose che puoi fare qui ed ora, nonostante quelle irrimediabilmente perse.

In “The Captain” è il brio contagioso del country-western (con tanto di banjo impertinente) a dominare la scena, mentre “Ruby Falls” (il loro brano più lungo di sempre, con i suoi sette minuti e spiccioli) è la classica, accorata ballata rapita da palpiti fiammeggianti, con eccellente coda d’atmosfera in cui una tromba solitaria ci dice la sua in fatto di ricordi smarriti… Aria di Traffic, invece, nell’hit radiofonico di “C’mon”, tutto un dejà vu di sixties tralucenti e rinvigoriti: una piccola meraviglia per gite fuori bordo, lontano da tutto e da tutti. Spazio alla semplicità che subito rapisce, insomma. Anche se, poco dopo, hai un sussulto perché una “Empire State” così maleficamente toccante proprio non te l’aspettavi, col suo gioco di sottrazione, con il suo imprendibile, penetrante lirismo “aereo”. Come un panorama interiore disvelato palmo a palmo, che sembra trovare la redenzione giusto un attimo dopo, con una “Dear Valentine” che è folk-rock andante con tanto di fiati scenografici.

Certo, questi ragazzotti non inventano niente e camminano su di un terreno più che sicuro. Però ci piace, senza riserve, consigliare questo disco un po’ a tutti, sicuri di fare cosa gradita.

17/06/2007

Tracklist

1.Lightning Rod
2.Satellite
3.Manifest Destiny
4.One Man Wrecking Machine
5.The Captain
6.The New Underground
7.Ruby Falls
8.C'mon
9.Empire State
10.Dear Valentine
11.The Beginning of the End
12.Hang On

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