In musica può ormai succedere di tutto. Anche che una trentina di svedesi decidano di mettere su un’orchestrina pop affermando di provenire da Barcellona e finiscano poi con l’ottenere un contratto per la Emi. Può succedere che nel 2007 si compongano ancora canzoni costruendo a colpi di banjo una piccola capanna di legno in un bosco fiorito ("Threehouse"). Può succedere che a questo gruppo basti saltare la corda del ritornello di "We’re From Barcelona" all’interno di un disco di pop imperioso e tuonante, che disegna una campana di gesso e inizia a saltellare su una gamba sola dagli ABBA fino ai Mamas and Papas, ritagliando cartoline color pastello ("Overspleping") o sfogliando la sua collezione di francobolli ("Collection of stamps").
Da "Jenny"e "Ola Kala" in poi, appare chiaro l’intento degli I’m From Barcelona: edificare una grande chiesa naturale risuonante di cori trionfali e spiritual innocenti, istituire un nuovo catechismo che distribuisce il pop ottimistico delle sue canzoni come ostie dolciastre di una più autentica eucarestia. I boy scout, insomma. Più vicini forse agli Architecture In Helsinki, ai Polyphonic Spree o ai Concretes che non alle pistole e ai fucili giocattolo dei Keane, o, peggio, al pop analcolico e vegetariano dei Coldplay o degli ultimi Travis. Ma ormai può succedere anche questo: di ritrovarsi ad apprezzare, o addirittura a cantare, nelle solitudine dei pomeriggi estivi, il canzoniere dei boy scout, riscoprendo quasi il segreto di una superiore felicità...
24/06/2007