Se si ricercano informazioni si scopre che questo Willy Mason è proprio un personaggio, viene da Martha Vineyard, Massachusetts, e dopo l’esordio acclamato di “Where The Humans Eat” del 2004, ha messo sul suo myspace una singolare iniziativa, l’”House Concert Tour” in cui invitava i fan a chiamarlo per tener un concerto dove volevano. A casa di qualcuno, a una festa, in un fienile o in un ristorante, ovunque; proposta tanto bizzarra quanto simpatica.
Nella sua musica invece di bizzarro non c’è proprio nulla, Willy ha poco più di vent’anni e una voce profonda e sofferta come se ne avesse il doppio, con questa dote canta ballate tra il country-rock e il folk, canzoni semplici che riflettono un’America di polvere e fatica, viaggi, solitudine, problemi e cose semplici.
L’iniziale “Gotta Keep Walking” è tutto questo, viaggio senza meta con qualcuno che ti ruba gli stivali, ma è solo un sogno e “she said/we gotta keep walking on”.
Mason, nella sua pur giovane età, si dimostra uno storyteller sincero, che parli di rapporti tormentati tra padri e figli (la dolcissima e povera “The World That I Wanted”) o dell’incertezza del domani (“We Can Be Strong”, dove emerge chiaro il fantasma di Townes Van Zandt), Willy riesce a creare atmosfere toccanti e reali.
Il songwriter americano a volte prova a riempire un po’ le orchestrazioni delle sue canzoni ma non sempre il risultato è gratificante; “Save Myself” è bruttina, “I Can’t Sleep” va meglio con la sua ninnananna di tenore beatlesiano, mentre “Ripide” possiede un ritornello solare e trascinante.
Se il country-rock di “When The River Moves On” e la title track dallo zuccheroso refrain sono piacevoli, lo stesso non si può dire di “The End Of The Race”; Mason però dimostra appieno le sue doti in altre due canzoni: “Simple Town” è perfetta nella sua desolazione folk sottolineata emotivamente da violoncello e archi, “When The Leaves Have Fallen”, invece, è una degnissima torch song di chiusura, prima parte per voce e chitarra, poi alla chitarra si sostituisce il piano e infine i due strumenti si armonizzano in un delicatissimo finale.
Un disco in cui non cercare cose strane e certamente non immune da errori o canzoni poco riuscite ma “If The Ocean Gets Rough” è anche (e soprattutto) un album fatto da uno storyteller molto genuino e naturale nel riversare emozioni e storie in musica.
Willy Mason non tenta di stupire, si limita a raccontare con la maturità della voce di un Townes Van Zandt o di un Richard Buckner, ma con tutta la sincerità dei suoi ventitré anni.
(21/05/2007)