Anche nel 2007 si torna a parlare di dubstep, soprattutto tra gli appassionati di musica elettronica. Principalmente per quel piccolo gioiello di nome "Untrue", firmato Burial, che ha portato da un lato molte conferme, mentre da un altro ha già aperto un nuovo cammino. Lasciamo stare la figura misteriosa che gira attorno a quel moniker e mettiamoci a parlare di un altro personaggio rilevante nella scena dubstep, il dj e produttore Rob Ellis. Fattosi notare con un bel po’ di singoli sparsi nell’underground londinese, ora si mette il vestito della domenica, si fa chiamare Pinch e cambia le carte in tavola. Sì, perché questo "Underwater Dancehall" è un disco che, nel bene o nel male, batte nuovi sentieri nel mondo dubstep.
La componente fondamentale di "Underwater Dancehall" è la voce. Ricordo che stiamo parlando di un genere che, nei tre quarti dei casi, è musica strumentale, senza voci di sorta, né tantomeno con veri e propri cantanti scelti appositamente per il disco. Rob Ellis, invece, decide di costruire un album dubstep interamente sulle voci, sperimentando un bel po’. Non come Burial, che destruttura le voci raccolte in giro per comporre nuove frasi, nuovi versi, magari totalmente stravolti e deformati. Ellis preferisce lasciare la voce al suo stato naturale e ricamare su misura, come un sarto pignolo, la musica. Nonostante le voci dei quattro personaggi presenti siano molto diverse per timbri, genere e stile, Rob Ellis riesce a plasmare attorno a loro una musica su misura, che calza a pennello.
Il disco si apre con "Brighter Day": la ritmica sullo sfondo, in ombra, marcatamente dub, e la voce ragga di Juakali che si fa strada nell’atmosfera densissima, squarciata da fendenti di archi che illuminano per pochi secondi il brano. Nientemeno che una dichiarazione d’intenti, in cui si manifestano le soluzioni comuni a tutto il disco. I suoni prodotti da Ellis hanno tutti un marchio distintivo: quel senso di lontananza, un soffocamento involontario che rende ogni battito un’esplosione lontana, formando una cortina densa, penetrata da piccoli spilli fatti di charleston in levare, archi o, appunto, voci. "One Blood, One Source" è, probabilmente, la traccia-simbolo del disco: Rudy Lee vaga libero sul tappeto tremendamente dub tessuto da Ellis, mentre attorno si aprono piccole scintille vagamente orientaleggianti, i battiti sono dilatati all’infinito. Paradossalmente, è anche la traccia che più rispecchia il passato del dubstep; sarebbe infatti fin troppo facile nominare i Massive Attack, soprattutto dei primi due album.
Nella seconda metà il disco cambia lentamente faccia, passando dai primi momenti vagamente solari, quasi a ricordare che in fondo stiamo parlando di una dancehall, anche se sottomarina, ad atmosfere molto più cupe e drammatiche. L’anticamera è un altro pezzo strumentale ("Widescreen"), ma nella seconda parte a farla da padrona è "Angels In The Rain", un coro angelico dalle tinte asiatiche che si leva tra i pulsanti beat dub che Ellis muove con estrema scioltezza. Siamo verso la fine, stiamo raggiungendo il fondo dell’oceano di Ellis e il mood si fa nero. Tornano così Yolanda e Juakali in due pezzi cupissimi (rispettivamente "Battered" e "Trauma"): se nella prima Ellis cerca di sollevare la voce verticalmente, a partire dalle ritmiche orizzontali solidissime, nella seconda abbandona tutto per sfornare un inno suburbano in connessione diretta con le origini del dub.
Nel secondo disco, tanto per non smentire lo spirito dubstep, sono raccolti tutti i pezzi privati delle voci. Stranamente il risultato non cambia, l’assenza delle voci tende quasi a intensificare la presenza di esse nelle originali, come se il vuoto sottolineasse la necessità delle tracce vocali.
Con "Underwater Dancehall", Ellis si mette in gioco apertamente, camminando su una fune sospesa tra genio e banalità. I pezzi sono arditi nel cercare di aprire il dubstep all’uso della voce popolarmente intesa, magari rivalutandone l’utilizzo fatto dall’avventura precedente del trip-hop. Il lato musicale del disco, che non va comunque trascurato, è tanto interessante in alcune tracce, quanto poco innovativo e senza nulla da dire in altre.
06/02/2008
Cd 1 (With Vocals)
1. Brighter Day (ft. Juakali)
2. Get Up (ft. Yolanda)
3. Airlock
4. One Blood, One Source (ft. Rudy Lee)
5. Widescreen
6. Gangstaz (ft. Juakali)
7. Angels in the Rain (ft. Indi Kaur)
8. Battered (ft. Yolanda)
9. Trauma (ft. Juakali)
10. Lazarus
Cd 2 (Without Vocals)
1. Brighter Day Instrumental
2. Get Up Instrumental
3. Airlock
4. One Blood, One Source Instrumental
5. Widescreen
6. Gangstaz Instrumental
7. Angels in the Rain Instrumental
8. Battered Instrumental
9. Trauma Instrumental
10. Lazarus
11. Battered Instrumental (Alternative Version)