Volcano The Bear è uno di quei fenomeni di cui la critica si accorge all'unisono, senza un grande perché, dopo un po' dalla presenza in "scena". Questo concetto l'avevamo già espresso l'anno scorso, quando è uscito "Classic Erasmus Fusion", uno di quegli album che fungono inspiegabilmente da vagito e che stupiscono mirabilmente tutta una serie di appassionati. L'eco avuta in rete e sui magazine è stata inaspettata e gratificante, quanto capillare e votata al punto della concordia, in maniera tale da ergere questo nugolo di folli d'oltremanica a nuovi guru del crazy-folk.
La culla è Leicester, Inghilterra, città natale di Gary Lineker e Peter Shilton, tranquilla nella sua posizione collinare ben più a nord del caos metropolitano di Londra. Posizione ideale per fuoriuscire dal candore geografico e godersi un po' di sano estro, richiamando un incontro in cui suonare e danzare divengono sinonimi. Ecco, Volcano The Bear, dal nome ironico e pure inquietante, sembra un calderone perfetto per la fusione delle caratteristiche, così come avveniva nell'arte surrealistica. Sono quattro, qualcuno usa pure lo pseudonimo, e suonano tutto ciò che possa rimandare all'idea dell'unione di elementi diversi: percussioni, tastiere, chitarre, fiati, "electronics".
Quest'anno ci riprovano e assemblano un nuovo grigiore psichedelico "nel bel mezzo di rumore e ramoscelli", così come recita il titolo, evocando il brusio dei movimenti naturali.
"Amidst The Noise And Twigs" non è faraonico come il precedente doppio disco, ma si limita alla sintesi di sensazioni racchiusa in un pugno di piccoli, medi e grandi battage sonori, facendo più uso dei campionamenti e continuando a pennellare l'ambiente di atmosfere ora paurose, ora festose. L'insieme è più compatto, addirittura ascoltabile senza il senso di mancamento da capogiro, e ci (tele)trasporta nel percorso in un giardino inglese, pieno di cedri e criptoportici. È fantastico notare la forza intrinseca del suono che pare sorreggere le gambe, più che la testa dell'ascoltatore. Questa è musica folk per amanti del rituale e del gioco bastardo degli amori occulti.
Il grosso è strumentale, al massimo recitato con tono diabolico e favolistico (vedi "She Vang Moon"), ma la morsa dronica di certi passaggi trasmette la percezione di qualcosa di urlato, lontano. E anche quando subentra una tromba impostata quasi sul "modale", come in "One Hundred Years Of Infamy" (titolo molto "metal", invero abitudine frequente del gruppo), si avverte sempre la pressione del lamento continuo.
I Volcano The Bear si collocano evidentemente nella stanzetta dei figliocci dei Comus, perché dai padri putativi prendono in prestito tutte le regole per rendere il folk arte drammatica e non solo musica popolare. A dire il vero, in quest'album compaiono addirittura una canzone dalle tinte low-fi, quale "Burnt Seer", quasi a fare da detonatore nel solito fuoco d'avanguardie, e un brano completamente immerso nel fiume sacro, ma captabile e imitabile se non proprio sotto la doccia, almeno in vasca da bagno quando siamo con la testa sulla nuvola ad est, quale "Before We Came To This Religion". Sono parentesi, sì, ma non spezzano affatto la fluidità di lettura.
C'è da sottolineare l'importanza cruciale dei fiati, intesi come flauti, clarini e sax, usati per verniciare di jazz un album in forma libera, scevro da paletti o statuti, dogmaticamente vicino alle arie classiche di certa musica atonale.
La struttura scheletrica è fatta d'introduzioni dirompenti sulle corde ("The Sting Of Haste"), intermezzi in laptop ("Cassettes Of Berlin") e finali con toni alla "Rosemary's Baby" ("The Three Twins"), con la restante serie atta a imbroccare i segni tangibili d'instabiltà.
In definitiva, "Amidst The Noise And Twigs" aggiunge un tassello di provvisorietà al credo moderno e si siede sul muretto dei prodotti per pazzi scatenati. La famiglia è unica e comprende i parti di No-Neck Blues Band o Phosphorescent (seppur in toni più "pop"), tutti lì a confermarci che i passi indietro nel tempo sono tremendamente di moda. È come guardare un monumento e non riuscire a far altro che considerarlo parte integrante di quello stesso momento storico, con la vita tutta intorno.
01/12/2007