“With timeless melodies and insightful lyrics - interspersed with witty storytelling - his songs take many poetic turns before bringing you back home”.
Prelevata tra le poche essenziali parole che si possono leggere nella biografia sul sito di John Craigie, questa citazione descrive molto bene la sensazione di intimo e familiare calore, come quella che si prova nel ritrovarsi accanto al focolare domestico, che rappresenta il filo conduttore (e forse anche la meta ultima) del viaggio on the road intrapreso da Craigie nella tradizione folk a stelle e strisce, dove i diversi territori esplorati vengono ripercorsi con convincente personalità ed elegante maestria.
Il quinto lavoro in studio di John Craigie ha una storia curiosa, poiché la opening (e title) track “Soft Hail” era stata originariamente pensata come ninna-nanna da inserire in coda nel precedente e piuttosto colorito “A Picnic On The 405”, album che con le sue incursioni bluegrass è forse il più coraggioso dell’intera produzione del songwriter californiano. Tuttavia un destino differente (ed evidentemente più “importante”) attendeva questa bluesy-ballad, e così “Soft Hail” ha finito col costituire il punto di partenza nonché manifesto d’intenti per la realizzazione di un nuovo album, che discostandosi notevolmente dal suo predecessore ha in parte recuperato le sonorità più marcatamente cantautoriali dei primi lavori di Craigie.
L’approccio di John Craigie alla scrittura è emozionale ed istintivo, il suo songwriting è a tratti asciutto e diretto (“Madison Bound”), a tratti più morbido e disteso (“Tacoma”, “Somewhere She Can’t Find Me”), spesso venato di blues (“Soft Hail”, “Spit At The Stars”). Se è vero che il leit-motiv di “Soft Hail” è ingentilire le sonorità più prettamente roots attraverso una impostazione di base melodico-cantautoriale, è altresì vero che questo resta comunque, per struttura di base e arrangiamenti, un album fortemente legato al folk delle origini, rispetto al quale Craigie si diverte a creare tante “variazioni sul tema”, dando alla coralità complessiva un senso di movimento e di freschezza che rifugge qualsiasi tipo di appiattimento da un lato o di reiterata ciclicità dall’altro, rendendo l’ascolto sempre vario e interessante, man mano che i brani si susseguono.
La forza di “Soft Hail” sta soprattutto nella sua capacità di stupire piacevolmente senza mai peccare in superbia, grazie alla curiosità esplorativa di Craigie, che si immerge nel glorioso passato per recuperarne e rielaborarne le melodie e gli stilemi più disparati, passando così in maniera disinvolta dallo struggente e corposo assolo in sfumato sul finale di “Portland Basement” alla serrata ritmica minimale di “Madison Bound”, senza peraltro mai correre il rischio di generare un qualche senso di stridore all’ascolto.
Il fulcro dell’album è rappresentato tuttavia dalle ballate, nelle quali Craigie dimostra di eccellere in grazia ed eleganza, impreziosendo i singoli brani con raffinati accorgimenti che rendono ciascuno di essi unico e potenzialmente indimenticabile.
John Craigie riesce a incarnare perfettamente lo spirito del cantastorie, proponendosi in appassionati racconti che parlano sostanzialmente d’amore, di gente, di luoghi, come tanti piccoli viaggi in grado di trasportare l’ascoltatore in paesaggi emotivi diversi, ogni volta nuovi e suggestivi.
Nel caso di Craigie, poi, come nella miglior tradizione del cantautorato folk, a quello metafisico si associa spesso e volentieri anche il viaggio concreto, poiché la sede live costituisce un aspetto fondamentale nel suo approccio col pubblico, un’esperienza fisica totale che quasi non conosce tregua e che da circa quattro anni lo ha portato e ancora lo conduce nei più disparati (in termini tanto di dislocazione geografica quanto di “contesto urbanistico”) palchi in giro per gli Stati Uniti.
A soli ventisette anni, con quattro album e una lunga esperienza live alle spalle, “Soft Hail” potrebbe essere salutato come l’album della maturità di questo giovane songwriter californiano. Ma per non porre frettolosamente un paletto davanti a eventuali ulteriori sorprese che John Craigie potrebbe ancora riservare in futuro, sembra opportuno, piuttosto, limitarsi a condividerne le stesse parole: “Folk singers are like wine, they get better with age”, e lasciandosi andare al morbido e caldo abbraccio di questo “Soft Hail”, pregustare gli sviluppi di una carriera artistica che già si preannuncia più che promettente.
06/04/2008