Band di Jesi con la predilezione per l’hardcore viscerale, i Gerda registrano - dopo un mini introduttivo (2001) - un paio di prove su media distanza, quali un “Untitled” del 2003 e “Cosa dico quando non parlo”, del 2007.
Ma il disco omonimo supera quanto prodotto fino ad ora. Le impressionanti scudisciate della band, lunghe sedute alla Neurosis, sono qui rovinose da far rimpiangere la grinta di Settlefish e Fine Before You Came.
La volontà sembra essere quella di dissipare la civiltà hardcore in uragani di cambi di tempo, martellanti furibondi ostinati, e miasmi, e oscillazioni, e rigurgiti vocali, fino a dar vita a entità che mutano in modo pressoché totale (“01”). La labirintica “03” non concede spazio alla razionalità della forma musicale (controtempo costante, abomini d’urla atonali, smodati “fraseggi” di chitarra, frustate di basso). Tritoli come gli 11 minuti di “04” (pur confusionari) sono aggraziati e sobri quanto una sequenza di slavine.
Solo in “02” e in “05” si fanno vivi un po’ di metalcore industriale, un po’ di riff quasi armonici e un po’ di Jawbox.
Nella zona cruciale della scena anconetana, e della Bloody Sound di Alessandro Gentili (la nuova Wallace), già spartita con Lleroy e Dadamatto, è un disco tellurico - realizzato anche in vinile - il cui messaggio finale in fondo rende ossequio al tempestare catatonico della metropoli, con vertici di sublime disorientamento.
02/07/2009