Dadamatto è un classicissimo power trio chitarra-basso-batteria dell’entroterra anconetano. "Ti tolgo la vita" è però un importante traguardo di superamento di barriere, luoghi comuni, o stereotipi legati - per forza di cose - a genere, stile, impostazione, configurazione della line-up. Non c’è, in questo loro debutto su lunga distanza, solo punk-core veemente, o c’è a latere: è presente soprattutto una dimensione di camuffamento, di prese per i fondelli, o di caricature insistite.
"Videodrome", l’opener, è un vasto vanesio epico, una loro visione dantesca d’Inferno, Purgatorio e Paradiso, e uno dei capolavori del rock italiano 2007. L’attacca si sviluppa a partire da spezzoni campionati di dialogo (monologo) con arpeggio e batteria in fluttuazione, quindi una marcetta tra jazzato e fumoso e il piano sfocato sullo sfondo (dagli effetti quasi mistici). L’inizio vero e proprio è un cattivo hardcore fugaziano con basso in bella evidenza, compresso e in tempo binario, da schiacciasassi infernale, che traghetta a nuovi inserti caotici e improvvisazioni noise-core alla Cow. Quindi c’è la melodia vocale, stavolta sviluppata con maggiori volontà collagistiche (pure un’imprevedibile citazioncina del riff "Come As You Are" dei Nirvana) e storpiata da un intermezzo acido-industriale e dissonanze fiatistiche, e dall’ennesima variazione armonica. La mite parte finale aggancia tastiere liturgiche-cosmiche a intrecci free-form di carillon nostalgico.
"Il mio pappagallino mediterraneo", canzonaccia mainstream da tardi Marlene Kuntz, è invece la classica caduta di tono post-capolavoro. "Sinceramente…" riprende il tono metafisico di "Videodrome": aria malsana Jesus Lizard (o gli italici One Dimensional Man, a preferenza) che s’irretisce in un punk-funk sghembo su sottofondo di feedback, in un cambio di tempo di nuova cattiveria fugaziana (circa "In On The Killtaker") e in una magistrale coda alla Slint, di piena distorsione ciclica cerebrale-dissonante (in fade-out con inserti di elettronica minimale). "1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8’s Rock’n’Roll!" accoppia parti vocali aggressive a zone caotiche di sax e distorsione, secondo un jazzcore crossover d’ispirazione Primus.
"Urlo confuso" e "Spizz" sono corse a perdifiato di scarsa originalità (Black Flag, Negazione), ma dal tiro elevato, mentre "Disordine" passa dall’hard-rock slabbrato alla vaga psichedelia per organetto, dalla foga violenta al raga elettronico delle tastiere. "Bambola gonfiabile", altra canzone di musica leggera sanremese (o finta tale: vedi Snaporaz), rubacchia tonalità e arpeggio alla "Lady Jane" stonesiana, senza rendersi indegna, e "Natalino stammi vicino" è un’agile nenia soffice (acustica) tra Barrett e Mariposa, con contrappunto di flauto e impalpabili dissonanze concrete. "Mentre Marco dorme" è una breve parentesi acustica-concreta adornata da rumori naturali e artificiali, mentre "Eros", di contro, è un altro tour-de-force che riprende la lunga tortura di "Videodrome".
Il punto da appurare è quanto (e come, e dove) Marco Imparato, voce e basso, Andrea Vescovi, chitarra, e Michele Grossi, batteria (con aiuti da parte di Mattia Coletti, genietto elettronico, Roberto Mazzoli, Marco Bernacchia, Marco Emoli) riescono a piegare le usurpazioni stilistiche a loro favore. Pur nel costante richiamo a strutture inflazionate, ci riescono spesso. Vuoi per la produzione, vuoi per l’affiatamento d’interplay (pure open-minded, a ospitare inserzioni e intrusioni tra le più improbabili), è un disco che scorre, s’inceppa, capitombola scadente, riparte esoso. Masterizzato al Bips Studio di Milano, con ciclopica co-produzione di ben quattro indie-label.
(09/05/2007)