Esordiva nel 2005, con l’acerbo “Mord und Totsclag”, la creatura L’Acephale, progetto varato dal chitarrista Set Sothis Nox La.
Unendo la ferocia del black-metal all’enfasi militaresca del martial-folk e alle trame inquiete del dark-ambient, la band di Portland, Oregon pubblica con “Stahlhartes Gehause” il suo disco manifesto. Suddivisa in quattro lunghe composizioni, l’opera è arricchita da tutta una serie di riferimenti letterari e filosofici, a cominciare dalla derivazione Bataille-iana del moniker e di quella Weber-iana del titolo (la “gabbia d’acciaio” riferita al sistema capitalistico).
Si diceva, dunque, del mix sonoro della band: un mix che prende immediatamente consistenza già a partire dai primissimi secondi del brano eponimo, tra la registrazione di un tradizionale canto funebre rumero, field-recordings, percussioni rituali (le radici Crash Worship di Markus Wolff non mentono!) e cori ultraterreni basati su elementi della tradizione estone. Una lunga introduzione che conduce direttamente al cuore del brano, un’intensissima eruzione di purissimo black-metal, pronto, di lì a poco, a cedere il passo all’austerità teutonica della voce baritonale dello stesso Wolff (che recita, cantando, versi del poeta tedesco Trakl) cinta dagli arcani arabeschi della chitarra acustica e del violino. L’alternanza ossessiva di stati emozionali prosegue fino alla fine, in un tripudio di scatti febbrili, panoramiche spettrali e mesti declivi che si confondono con il tramestio di un treno inchiodato sull’orizzonte.
La rilettura di “Psalm Of Misery”, già presente sul cd-r d’esordio, si snoda per oltre dodici minuti di terrore e malinconia (qualcosa di molto simile alle “rovine umane” degli Amesoeurs), anche se è “Perdition” il momento più devastante e coinvolgente per quanto concerne l’investigazione della matrice "metallica" (qui resa ancora più intrigante dal ciondolare tribale delle percussioni), con coda austera per piano e chitarra e dieci minuti di silenzio assoluto.
Dal canto suo, "The Book Of Lies - Seventh Gate" salta fuori con l’ennesimo tripudio di furia assassina. Tenendo, comunque, fede alla struttura sotterranea del disco, anche qui il frastornante movimento tellurico si sfaccetta tra diversi rivoli stilistico-sonori: una voce diabolica che chiama dall’oltretomba, temibili fasce sonore che invadono lo spazio come schiume di angoscia e un coro femminile sull’orlo della follia.
Tra efferatezza ed evocatività, il percorso musicale di L’Acephale trova in “Stahlhartes Gehause” (a differenza delle sperimentazioni intriganti ma dispersive di "Malefeasance", l'altro disco uscito quest'anno) un momento assolutamente degno di nota.
30/11/2009