Si sa quanto difficile possa essere per una band trasformarsi in maniera significativa senza staccarsi di dosso le etichette in precedenza attribuitele e senza dover vedere paragonata ogni nuova opera a un passato ormai superato da situazioni contingenti e scelte consapevoli.
I Múm rappresentano un esempio lampante di questa difficoltà, con la quale nel loro caso va tuttavia ammesso sia andata di pari passo quella avente ad oggetto la (ri)definizione del suono della band islandese, prima nella transizione dall’elettronica a un folk-pop giocoso e sognante, poi soprattutto nei cambiamenti di line-up che l’hanno ormai tramutata in un collettivo aperto.
A “Sing Along To Songs You Don’t Know”, quinto album della band, ha infatti partecipato un ampio novero di musicisti che, accanto a componenti di lungo corso (Gunnar Örn Tynes e Örvar Þóreyjarson Smárason), comprende collaboratori saltuari, incaricati di apportare nuove variopinte tessere al complesso puzzle di un lavoro interamente dedicato al tema dell’acqua. E la consistenza “liquida” della musica dei Múm si percepisce in maniera costante lungo i cinquanta minuti dell’album, con evidenza incentrato sulla ricerca di una freschezza pop, venata da reminiscenze alla tradizione corale e caratterizzata dalla coesistenza di residui elettronici sotto forma di battiti, crepitii e glitch, con una miriade di suoni provenienti da una strumentazione ricchissima, che comprende pianoforte, ukulele, marimba, organi e ricorrenti archi (questi ultimi ad opera di un quartetto di cui fa parte la violoncellista Hildur Guðnadóttir).
Realizzato tra la natia Islanda, la Finlandia e l’Estonia – con particolare attenzione alle rispettive tradizioni narrative popolari - “Sing Along To Songs You Don’t Know” riesce dove il predecessore “Go Go Smear The Poison Ivy” aveva sostanzialmente fallito, ovvero nella definizione di un’identità musicale in grado di delineare una più netta discontinuità con la produzione precedente.
È pur vero che in anche qui non mancano florilegi elettro-analogici e quel gusto per ritmi scatenati e giocosi che rimanda alle origini folktroniche dei Múm, ma si tratta di una presenza ormai timida e residuale, filtrata e sovrastata anche quanto ad efficacia di riuscita da indirizzi sonori più vari e convincenti.
Decisamente apprezzabili risultano le continue mutazioni stilistiche che pur senza scossoni si susseguono per tutto il corso dell’album, offrendo tante diverse sfaccettature del pop liquido e del trasognato folk corale che lo caratterizzano quali elementi salienti. Uno spirito pop solare finora inedito e la propensione a misurati coretti e controcanti permangono infatti quali costanti a partire dalle quali la band si cimenta in percorsi sonori in qualche caso sorprendenti. Accanto alla delicatezza infantile di acquerelli pop e dolci filastrocche corali (“If I Were A Fish”, “Show Me”), si passa così con agilità dalle scanzonate orchestrazioni – che in qualche occasione fanno correre il pensiero addirittura al Sufjan Stevens più lieve e arioso – alla liquidità analogica da modernariato che riecheggia l’obliqua raffinatezza di Pram o Stereolab (“A River Don't Stop To Breathe”, “Kay-ray-ku-ku-ko-kex”).
Ma è soprattutto la parte conclusiva dell’album quella in cui i Múm mostrano di essere in grado di affrancarsi dal loro passato e da quanto superficialmente ci si potrebbe attendere da loro: basti considerare la polifonia vocale del finale di “Kay-ray-ku-ku-ko-kex” e la sognante irregolarità acustica dell’ottima “Last Shapes Of Never”, inframezzata da tante piccole screziature che ne rendono vitale ed efficace il futuribile impianto ambient-pop; e ancora la coralità vintage di “Illuminated” – un po’ Stereolab, un po’ Grizzly Bear – e infine il commiato in punta di dita sulle note notturne del piano di “Ladies Of The New Century”, che chiude il cerchio del disco con le stesse delicate melodie con cui era cominciato, in un’autentica trasfigurazione del suono e della stessa storia musicale dei Múm.
Si aggiunga infine l’ulteriore dettaglio della pubblicazione dell’album da parte di Morr Music, che segna il simbolico ritorno a quella Berlino dove dieci anni fa tutto era cominciato, per considerare “Sing Along To Songs You Don’t Know” come un nuovo inizio, non perfetto ma senz’altro ricco di spunti nella direzione di una divertita scrittura pop.
La realtà dei Múm, oggi, è quella di una band che ha ritrovato una discreta personalità e freschezza espressiva, e “Sing Along To Songs You Don’t Know” suona proprio come un invito a lasciarsi coinvolgere dal gusto della scoperta, badando al contenuto di un’opera in apparenza piacevolmente fuori contesto, piuttosto che a sterili riferimenti a un passato artistico ormai compiutamente dietro le spalle.
Scontato parafrasare il titolo dell’album, ma sta di fatto che, se approfondite a dovere, le melodie di molte delle canzoni in esso comprese risultano alla fine molto efficaci, restando impresse come di dovere quanto si tratta di pop: e tanto basta per plaudire alla sostanziale riuscita dello sfaccettato pop folktronico che ormai può ben considerarsi quale nuova dimensione del collettivo-Múm.
30/08/2009